Felicemente single

Felicemente single
Mi scrive Stefano, che riceve continuamente consigli e pacche sulle spalle da persone che lo compatiscono per il suo stato di single. ma è ancora così diffuso il pensiero per cui la felicità si raggiunge solo in due? 

se volete scriveremi la vostra storia, o semplicemente una storia: maria.corbi@lastampa.it
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Cara Corbi, 
50 anni, single, senza figli. Per lavoro e amicizie, frequentatore quotidiano di caffè e ristoranti. Sono libero e moderatamente felice. Mi capita spesso di ascoltare, da parte anche di persone conosciute per caso, frasi filosofiche sul mio stato di uomo solitario. Li ascolto, li prendo come consigli e ci medito sopra. 
Per esempio, venerdì, nella stessa giornata ho ricevuto due “consigli”. Al mattino, una conoscente del bar (lei è sposata, senza figli, un po’più giovane di me), mi ha detto: «Come farai da solo a 80, chi ti assisterà? ». A pranzo, a, ho dialogato con un uomo di Torino, emigrato dal sud 25 anni fa per lavoro, sposato, con due figli. Ci scambiamo qualche confidenza sulle nostre rispettive esistenze. Prima di andare via, mi dice: «Ha fatto bene lei a non sposarsi. Non per i figli, che sono un dono (ha una figlia diciottenne che studia al liceo classico e un maschio di 14 anni), ma sopportare mia moglie. ..».
La mia meditazione, elaborata nel prosieguo della giornata e che desidero condividere, è la seguente. Sulla frase del mattino (non è la prima volta che la sento). Come si fa a impostare una relazione col chiodo fisso che altrimenti saremo destinati a essere anziani soli e abbandonati? È vero che l’età media si è alzata, ma chi lo dice che vivremo in eterno sino a 80-100 anni? Inoltre, non possiamo fare totale affidamento sui figli, che hanno la loro vita, i loro impegni. Sulla seconda frase. Se non state più bene con la vostra compagna/moglie, non continuate a soffrire e vivere male. Separatevi. I vostri figli capiranno. Non siamo più negli anni Cinquanta. Meglio un buon divorzio che relazioni depresse e ipocrite o, peggio ancora, che rischiano di sconfinare nella violenza domestica quando non nella soppressione del partner.
Tutte le vite, di coppia o in solitudine, possono essere vissute bene o male. Dipende da noi e da tanti fattori esterni a noi. 
 Stefano M.

Caro Stefano,
mi scrivi spesso (vero?), ma questa volta ti rispondo con piacere perché tocchi un tema che è molto attuale. Quello della solitudine, ma anche quello della difficoltà delle coppie a rimanere insieme felicemente. Sono cadute le certezze imposte di un tempo in cui senza famiglia non si era “completi”, ma ancora non ne abbiamo di nuove. La crisi di un modello sociale porta sempre incertezza e visioni contrastanti. I momenti in cui le cose cambiano sono sempre complessi, affollati di contraddizioni e anche delle insicurezze di ognuno di noi. Meglio soli che male accompagnati? O invece il contrario? Tanto per sintetizzare la tua bella lettera. 
Ma visto che non credo nelle certezze apodittiche, metto in dubbio entrambe le affermazioni. A volte può essere “meglio” accontentarsi di un compagno/a che non viviamo come un anima gemella piuttosto che essere o sentirsi soli (che poi è la stessa cosa). Credo sia sbagliato sempre generalizzare, o infastidirsi per le scelte altrui. Ed è sbagliato dare consigli non richiesti su questi temi. 
C’è chi ha il mito dell’altra metà della “mela”, con la convinzione che da soli non ci si basti. E allora vede la solitudine dell’altro come una opzione impossibile. Poi ci sono quelli che trovano stabilità nella infelicità di coppia. A cui piace lamentarsi del proprio compagno/a convincendo se stessi ma soprattutto gli altri di quanto si starebbe meglio da soli. Ma poi se ne guardano bene dal fare valigia e non solo perché oggi troppo spesso i problemi economici rendono difficile fare questa scelta. La lamentazione diventa spesso la punteggiatura del racconto di coppia. Ma c’è anche chi fugge dall’incastro di coppia, per disincanto affettivo, o per non perdere pezzi di libertà. Così è se vi pare.