Gabriele Basilico, un destino di nome Beirut

© Gabriele Basilico | Beirut 1991

© Gabriele Basilico | Beirut 1991

 
Distruzioni, ricostruzioni e identità della tormentata città raccontati in una serie di reportage a partire dal 2003 e adesso in mostra ad Alessandria
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Nel 1991 l’ha raccontata distrutta. Pochi anni dopo, nel 2003, l’ha vista rinata. Il fotografo Gabriele Basilico, scomparso nel 2013, ha avuto una relazione intima con Beirut. E proprio a Beirut è dedicata la mostra Gabriele Basilico - Ritorni a Beirut, a cura di Giovanna Calvenzi, dal 16 giugno al 1° ottobre, nelle sale d’Arte della biblioteca civica ad Alessandria.

Gabriele Basilico, autoritratto a Beirut, 1991

Gabriele Basilico, autoritratto a Beirut, 1991

 

La prima volta che Basilico si trovò nella capitale del Libano era stato inviato dalla scrittrice libanese Dominique Eddé per documentarne la distruzione causata dalla guerra civile durata quindici anni. La seconda volta, per fermare con l’obiettivo la ricostruzione, lo inviò invece Stefano Boeri, allora direttore di Domus.

© Gabriele Basilico | Beirut 2008

© Gabriele Basilico | Beirut 2008

 

Ci tornò poi nel 2008, per una sua mostra al Planet Discovery Center, e nel 2009, per un nuovo incarico della Fondazione Hariri che voleva creare un archivio di immagini per testimoniare lo sviluppo della città. Gli scatti presenti in mostra sono la prova che per Basilico fotografare Beirut è stata un’esperienza senza precedenti: non si trattava solo di raccontare una città, ma di documentarne oltraggi e ferite, chiedendo rispetto.

© Gabriele Basilico | Beirut 2003

© Gabriele Basilico | Beirut 2003

 

“La pratica del ritornare crea una singolare disposizione sentimentale: come l’attesa per un appuntamento desiderato, un risvegliarsi della memoria per luoghi, oggetti, persone, come se si riaccendesse il motore di una macchina ferma da tempo. Per Beirut è stato anche di più”, afferma Basilico nel 2013.

Ogni ritorno a Beirut ha così costituito un’occasione per rinnovare un legame e risvegliare i ricordi, anche se era lo stesso Basilico a sottolineare che la ricostruzione del 2011 ne aveva profondamente sconvolto l’identità.

© Gabriele Basilico, Beirut 1991

© Gabriele Basilico, Beirut 1991

 

La notorietà acquisita in seguito alla missione a Beirut gli consentì comunque di raccontare altre trasformazioni urbane: nel 2007, oltre la serie di foto di Beirut alla 52esima Biennale di Venezia, realizza una campagna sulla Silicon Valley per il San Francisco Museum of Modern Art; nel 2008 svolge una ricerca su Roma e Mosca. Nel suo percorso professionale, resta singolare l’esperienza con Flexform, per cui esplora temi architettonici dedicandosi per la prima volta all’advertising.

© Gabriele Basilico | Beirut 2011

© Gabriele Basilico | Beirut 2011

 

Oggi Basilico appartiene alla storia della fotografia proprio per il modo con cui ha saputo cogliere l’identità dei paesaggi urbani. “Fotografare una città significa fare scelte tipologiche, storiche, oppure affettive” ha dichiarato nel 2010. “Vuol dire cercare luoghi e creare storie, relazioni anche con luoghi lontani archiviati nella memoria, o addirittura luoghi immaginari.

Questi luoghi sono strade, edifici, piazze, scorci, orizzonti, più raramente vedute panoramiche, che alla fine si risolvono in un viaggio, un percorso. Il compito del fotografo è lavorare sulla distanza, prendere le misure, trovare un equilibrio tra un qui e un là, riordinare lo spazio, cercare infine un senso possibile del luogo”.

In collaborazione con il corso di laurea in Moda e industrie creative dell’università Iulm di Milano

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