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Furto in azienda: il licenziamento è legittimo anche se i beni sottratti sono di valore esiguo

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Furto in azienda: il licenziamento è legittimo anche se i beni sottratti sono di valore esiguo

Con Sentenza n. 11005 del 9 giugno 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. lavoro, ha affermato che l’ipotesi di furto in azienda è idonea a ledere il vincolo fiduciario e a legittimare il licenziamento del lavoratore, indipendentemente dall’esiguo valore dei beni sottratti.

IL FATTO- La Corte d’Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale e rigettava la domanda proposta da un dipendente di una nota azienda automobilistica avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli, in relazione al ritrovamento nella sua borsa al termine del turno di due pennelli considerati, per la somiglianza a quelli in uso nell’azienda e presenti in magazzino, di provenienza aziendale.

La Corte d’Appello riteneva: a) provato l’addebito in quanto il dipendente non aveva dimostrato la proprietà da parte sua dei pennelli, né fornito una logica alternativa a quella dell’illecita sottrazione da parte sua dei pennelli al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell’azienda e per aver, di contro, i testi confermato l’identità con quelli adoperati in azienda; b) applicabile la fattispecie di cui all’art. 32 del CCNL avente ad oggetto la sanzione del licenziamento, ritenuto proporzionato, rilevando nella specie l’idoneità della stessa a ledere il vincolo fiduciario, a prescindere dal modico valore economico dei pennelli.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che:

  • da un lato, la Corte d’Appello aveva “derivato il convincimento della proprietà aziendale dei pennelli valendosi della fotografia, che in effetti riproduceva l’immagine di due pennelli generici in uso nell’azienda, non come sostiene il ricorrente nel primo motivo, da ritenersi perciò infondato, per il riconoscimento degli oggetti sottratti ma per stabilire, sulla base della testimonianza dei dipendenti della società incaricata dei controlli a campione che avevano effettuato l’ispezione, se quegli oggetti generici mostrati in foto corrispondevano agli oggetti rinvenuti nello zaino del ricorrente, indagine che deve dirsi aver la Corte correttamente valutato come approdata ad un esito positivo, stante il tenore delle dichiarazioni rese dai predetti testi”;
  • dall’altro, che “la ritenuta imputabilità al ricorrente dell’appropriazione degli oggetti, lungi dal derivare, come infondatamente afferma il ricorrente con il secondo motivo, da una illegittima inversione dell’onere della prova, [fosse] conseguenza della mancata offerta da parte del ricorrente di una giustificazione plausibile del fatto accertato, dato dal ritrovamento nel proprio zaino di oggetti dal medesimo dichiarati non di sua proprietà, evenienza che ha quale unica alternativa che quegli oggetti si trovino nello zaino del ricorrente in quanto sia stato il ricorrente stesso ad inserirli”.

Sulla base di tali circostanza il Collegio, escludendo logicamente che,quegli oggetti potessero essere considerarsi res nullius, ha ritenuto “addebitabile al ricorrente la mancanza riconducibile all’ipotesi del furto in azienda che lo stesso contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione, di modo che va considerato immune da vizi il giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale fondato sull’idoneità della condotta addebitata a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore nell’esatto adempimento delle prestazioni future, a fronte della quale alcuna rilevanza può essere attribuita all’esiguo valore dei beni sottratti, viceversa infondatamente sostenuta nel quarto motivo.

Sulla scorta di tanto, dunque, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 11005 del 2020

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