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Studio n. 216-2014/C La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di godimento App ovato dall’A ea “ ie tifi a – Studi Civilistici il 21 marzo 2014 Lo studio in sintesi (Abstract): Il presente studio si propone di esaminare il tema della i u zia ilità del di itto di p op ietà e dei di itti eali di godi e to, sta te l’i te esse he esso dimostra tanto più in un contesto economico difficile, come quello attuale. La rinunzia viene tradizionalmente ricostruita come negozio giuridico unilaterale mediante il uale l’auto e dis ette u a situazio e giu idi a di ui titola e. Il suo effetto esse ziale u i a e te l’a di azio e da pa te del soggetto della situazio e giu idi a. Gli ulte io i effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono conseguenze solo iflesse del egozio i u ziativo, o di etta e te i ollega ili all’i te to egoziale e o o elate al o te uto ausale dell’atto. La rinunzia abdicativa è un negozio unilaterale non recettizio, che non richiede la conoscenza ta to e o l’a ettazio e da pa te di alt i soggetti. Con riferimento al suo oggetto, gli interpreti concordano sulla generale rinunziabilità dei diritti reali. Deve ritenersi anzitutto suscettibile di rinunzia abdicativa il diritto di proprietà. A sostegno di tale conclusione possono addursi molteplici argomenti quali il carattere disponibile del diritto in esame; la previsione da parte del legislatore di specifiche ipotesi, sia pure peculiari, di rinunzia al diritto di proprietà (artt. 882-1104 c.c.); la circostanza che per escludere la rinunziabilità i elazio e alle pa ti o u i dell’edifi io il legislato e dovuto i te ve i e esp essa e te a t. 1118 c.c.); la disparità di trattamento che si creerebbe altrimenti rispetto ai beni mobili, dei quali è i dis uti ile la possi ilità di a c.c. a do o; l’esp esso ife i e to o te uto egli a tt. e L’effetto di tale i u zia l’a uisto dell’i o ile i apo allo “tato ai se si dell’a t. . . Si tratta di un acquisto a titolo originario, che costituisce effetto solo indiretto e mediato della rinunzia, e che trova fondamento nella legge. La rinunzia alla proprietà ha natura di negozio unilaterale non recettizio, per il quale è da escludersi un potere di rifiuto da parte dello Stato. L’atto i uestio e deve ave e fo a s itta ed , . , . . Il ife i e to agli effetti di ui all’a t. soggetto a t as izio e ai se si dell’a t. . . isulta i oe e te ispetto al carattere puramente abdicativo della rinunzia. Quanto alle modalità di trascrizione, sembra preferibile la tesi secondo la quale la rinunzia, stante la sua natura abdicativa, debba essere trascritta unicamente contro il rinunziante. La rinunzia, oltre alla proprietà esclusiva, può riguardare anche la quota di comproprietà, trattandosi del medesimo diritto. Il codice civile prevede espressamente ipotesi di rinunzia alla uota. T a ueste, i pa ti ola e, vie e i ilievo la i u zia li e ato ia di ui all’a t. . ., he si caratterizza per la circostanza che alla rinunzia al diritto reale si accompagna la dismissione di una situazione debitoria. Molto diverse sono, infatti, la fattispecie della rinunzia abdicativa e quella della rinunzia liberatoria della quota di comproprietà. La prima determina puramente e semplicemente l’a di azio e della uota di ui il soggetto titola e, se za ulte io i effetti egoziali p op i dell’atto posto in essere. Da ciò consegue che il condomino, mentre non sarà tenuto a corrispondere le spese concernenti la cosa comune per il tempo successivo alla rinunzia in quanto egli non risulterà più esse e p op ieta io della stessa, i a à te uto all’ade pi e to di tutte le o ligazio i i e e ti la cosa sorte fino al giorno della rinunzia. Nella rinunzia liberatoria, invece, all’effetto a di ativo si a o pag a, pe esp essa p evisio e del legislato e, u effetto esti tivo dell’o ligazio e. I questo caso, dunque, il condomino, rinunziando alla propria quota, dismette il diritto di cui è titolare al fine di liberarsi da tutte le obbligazioni inerenti la cosa, non solo (come è ovvio) per il futuro, ma anche per quelle già sorte. Con riferimento alla rinunzia liberatoria, la dottrina ritiene che essa abbia carattere recettizio. Ciò trova spiegazione non tanto nella dismissione del diritto reale, quanto piuttosto ell’effetto e ezio ale di li e azio e dal de ito. Effetto a he i uesto aso solo i di etto di tale i u zia l’espa sio e delle uote degli alt i o divide ti. Anche la rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà determina tale fenomeno di espansione o accrescimento. Si tratta, infatti, di una conseguenza della natura della comunione e, come sempre, non costituisce un effetto diretto della rinunzia, bensì solo indiretto e mediato. Sembra da escludere la possibilità di u ifiuto dell’a es i e to da pa te degli alt i contitolari. Il rifiuto, quale rimedio generale contro le altrui intrusioni nella propria sfera giuridica, opera solo con riferimento agli atti che producono come effetto diretto tale intrusione. Nel caso in esame, invece, manca una diretta alterazione della sfera giuridica altrui. Sarebbe inoltre foriero di gravi inconvenienti pratici immaginare una comproprietà con lo Stato. Ovviamente resta salva la facoltà da parte dei restanti condividenti di rinunziare a loro volta alla propria quota, così come accresciuta. Coerentemente alla sua natura abdicativa, anche la rinunzia alla quota ha natura di negozio u ilate ale o e ettizio. L’asse za dell’effetto li e ato io e della possi ilità di ifiuto es ludono la e essità della o os e za alt ui ai fi i dell’effi a ia del egozio. Resta o u ue fo te e te oppo tu a tale o os e za i u ’otti a di e ip o a o ettezza. Anche la rinunzia in esame va trascritta e valgono le stesse considerazioni fatte in relazione alla proprietà esclusiva. Con riferimento ai diritti reali di godimento, può anzitutto osservarsi che il diritto di superficie, in quanto disponibile, è suscettibile di rinunzia. Nessun dubbio si pone con riferimento alla fase antecedente la costruzio e dell’edifi io. Più o t ove sa, i ve e, la i u zia alla proprietà superficiaria. Per alcuni, distinguendosi tra proprietà superficiaria e proprietà separata, tale rinunzia non sarebbe possibile, avendo ormai il diritto esaurito i suoi effetti. Potrà esserci, semmai, una normale rinunzia al diritto di proprietà. Per altri, invece, negandosi la distinzione sopra indicata, tale rinunzia sarebbe possibile. Conseguenza di tale atto è il ripristino del principio dell’a essio e e du ue l’a uisto della costruzione da parte del proprietario del suolo. Quanto al diritto di enfiteusi, nessuna peculiarità presenta, sotto il profilo della rinunziabilità, il di itto spetta te al o ede te. Maggio e atte zio e e ita i ve e la posizio e dell’e fiteuta. Per al u i egli pot e e li e a e te i u zia e al p op io di itto. “e o do l’i postazio e preferibile ciò sarebbe possibile, invece, nel solo caso espressamente previsto dalla legge (art. 963 c.c.: perimento parziale del fondo). Tale limitazione alla facoltà di rinunzia si giustifica per la natura del di itto dell’e fiteuta, a atte izzato dalla p ese za di u p ofilo o ligato io, di ui o possibile la dismissione in mancanza di una norma espressa o del consenso del creditore. Nessun dubbio si pone circa la rinunziabilità del diritto di usufrutto, la quale trova espressa o fe a, t a l’alt o, ell’a t. . . “i t atti di u egozio u ilate ale, pe al u i e ettizio; pe altri, condivisibilmente, non recettizio, stante il suo effetto puramente abdicativo. Anche in questo caso sussistono comunque le ragioni di opportunità della comunicazione al nudo proprietario, già evidenziate in precedenza. L’effetto se p e solo i di etto e ediato del egozio a di ativo , i uesto aso, l’espa sio e della uda p oprietà. Trattandosi di un effetto legale non è ammissibile un rifiuto da parte del nudo proprietario. “e o do l’opi io e p evale te i dott i a ed i giu isp ude za l’atto i esa e può configurarsi quale liberalità indiretta, laddove ne ricorrano i presupposti. Anche i diritti di uso e di abitazione appaiono suscettibili di rinunzia, stante il rinvio alla dis ipli a dell’usuf utto. La servitù si estingue per rinunzia. Per alcuni si tratterebbe di un atto bilaterale a carattere attributivo. Prevale la tesi della atu a u ilate ale, i oe e za all’effetto pu a e te a di ativo del negozio. Per alcuni avrebbe carattere recettizio; per altri, condivisibilmente, non sarebbe recettizio sempre in virtù della sua natura abdicativa. Possono determinarsi effetti peculiari laddove il fondo dominante risulti gravato da altri diritti reali minori. Sono necessarie la forma scritta e la trascrizione. Dive so dell’a ispetto alla i u zia alla se vitù l’istituto, pa ti ola e te o t ove so, a do o del fo do se ve te. Te nicamente si tratta di un atto di rinunzia e non di abbandono. Per alcuni esso avrebbe natura di offerta di acquisto (teoria contrattualistica). Per altri sa e e u ’ipotesi di i u zia t aslativa. Alt i a o a i o du o o l’istituto i esa e alle obbligazioni con facoltà alternativa. Esso determina un effetto dismissivo immediato (della proprietà del fondo servente) ed un effetto li e ato io, a he pe il passato, dalle spese elative alla se vitù. “e o do l’opi io e prevalente, si tratta di un negozio unilate ale e ettizio, sta te la p ese za dell’effetto li e ato io o e ell’ipotesi di ui all’a t. . .. Il proprietario del fondo dominante può acquistare il fondo, essendo la rinunzia disposta a suo favo e : pe al u i o o e u atto di app op iazione o accettazione che avrà efficacia et oattiva. Pe alt i, i ve e, l’a uisto ope e e P evale la tesi pe ui l’a uisto i esa e sa e e auto ati a e te, salva la possi ilità di ifiuto. e titolo de ivativo, a diffe e za di ua to a ade nelle ipotesi di rinunzia abdicativa. In caso di acquisto, comunque, la servitù si estingue per confusione. I o lusio e, esa i ato l’atteggia si della i u zia a di ativa ispetto ai dive si di itti eali, la stessa manifesta alcuni tratti comuni caratterizzanti. Si tratta, anzitutto, di un negozio unilaterale non recettizio, che non richiede accettazione né deve essere portato a conoscenza di terzi. Lo stesso, inoltre, è causalmente diretto unicamente alla dismissione del diritto soggettivo. Eventuali conseguenze per i terzi sono effetti solo riflessi e ordinamentali del negozio in esame. E ciò contribuisce a spiegarne il carattere non recettizio. La generale rinunziabilità se riguarda i diritti, non così gli obblighi. Nei casi in cui esiste una posizione di debito (come nel diritto di enfiteusi ovvero nelle fattispecie di rinunzia liberatoria, quali quelle di cui agli artt. 1070 e 1104 c.c.) la rinunzia assume una fisionomia diversa. Occorre, infatti, una espressa previsione di legge affinché il debitore possa spogliarsi del debito senza il consenso del creditore. Stante il pregiudizio che questi risente, la dichiarazione di rinunzia deve inoltre essergli portata a conoscenza (e ciò trova conferma anche nella disciplina della remissione del debito, art. 1236 c.c.), assumendo pertanto natura recettizia. *** Sommario: 1. Premessa. 2. La rinunzia in genere: cenni. 3. La rinunzia al diritto di proprietà: ammissibilità. 3.1. Segue: natura ed effetti. 3.2. Segue: la trascrizione. 4. La rinunzia alla quota indivisa di comproprietà: ammissibilità. 4.1 Segue: natura ed effetti. 4.2 Segue: la trascrizione. 5. La rinunzia al diritto di superficie. 6. La rinunzia al diritto di enfiteusi. 7. La rinunzia al diritto di usufrutto. 7.1. Segue: la rinunzia ai diritti di uso e abitazio e. . La i u zia alla se vitù. . . “egue: l’a a do o del fo do se ve te. . Co lusio i. *** 1. Premessa Il p ese te studio as e a seguito di oltepli i uesiti pe ve uti all’Uffi io studi ave ti ad oggetto la possibilità da parte del Notaio di ricevere atti di rinunzia ai diritti reali, nonché la disciplina e gli effetti dei medesimi. Il tema in esame risulta essere particolarmente interessante, sia da un punto di vista prettamente teorico e dogmatico, sia da un punto di vista pratico, tanto più in un contesto socioeconomico, quale quello attuale, in cui atti del genere possono risultare frequenti, stante la crisi economica e la forte pressione fiscale. Spesso infatti le fattispecie in cui può emergere la volontà rinunziativa della parte hanno ad oggetto e i e di itti dei uali o si vuole più soste e e l’o e e t i uta io, ovve o he o so o più di interesse, in quanto di scarso valore e praticamente ingestibili (si pensi ad un piccolo fabbricato fatiscente inservibile ovvero alla quota di comproprietà su un piccolo terreno infruttuoso sito in una località molto distante da quella di residenza). Le fattispecie più rilevanti, tra quelle esaminate, sembrano essere quella della rinunzia al diritto di proprietà nonché alla quota indivisa di comproprietà, forse anche perché ritenute le più inconsuete, tanto da dubitarsi – almeno nel sentire comune – persino della loro ammissibilità. La dottrina che se ne è occupata in passato, del resto, le ha quasi sempre considerate come ipotesi di scuola, oggetto di un interesse prettamente teorico, ma che oggi possono divenire concretamente praticabili. Ciò detto, si aff o te à il te a i esa e uove do dall’a alisi pe e i dell’istituto della rinunzia abdicativa in generale per poi affrontare il problema della rinunziabilità del diritto di proprietà e del diritto di comproprietà, nonché degli altri diritti reali di godimento. 2. La rinunzia in genere: cenni La rinunzia, pur in mancanza di una disciplina generale contenuta nel codice civile, è stata oggetto di molteplici riflessioni dottrinali. Essa viene generalmente ricostruita come negozio giu idi o u ilate ale edia te il uale l’auto e dis ette u a situazio e giu idi a di ui titola e (1). Effetto esse ziale della i u zia du ue solta to l’a di azio e da parte del soggetto della situazione giuridica. Autorevole dottrina (2) ha sostenuto, al riguardo, la necessità di tenere distinte la perdita del diritto dalla estinzione del medesimo. Effetto essenziale della rinunzia sarebbe solo la dismissione del diritto dalla propria sfera giuridica mentre la estinzione di esso avrebbe carattere solo eventuale. Tale assunto troverebbe conferma in quelle ipotesi (nel proseguo a alizzate i ui alla i u zia o soggetti, ovve o a o a i o segue l’esti zio e del di itto, uelle fattispe ie i a l’a uisto i apo ad altri ui, o osta te l’i te ve uta i u zia, il di itto sop avvive pe la sussiste za dell’i te esse di u alt o soggetto (3). Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono conseguenze solo riflesse all’i te to egoziale e o (4) del negozio rinunziativo, non direttamente ricollegabili o elate al o te uto ausale dell’atto (5). Occorre precisare, a questo punto, che la rinunzia di cui si discorre è unicamente quella cd. abdicativa. Laddove il negozio in esame sia inserito in un contratto sinallagmatico perderebbe la sua natura e la sua causa propria. Esso troverebbe giustificazione nella controprestazione e non potrebbe considerarsi autentica rinunzia, quanto piuttosto un negozio dispositivo (cd. rinunzia traslativa) (6). “i i adis e he l’i te to del i u zia te u i a e te la dis issio e della situazio e giuridica. Se collocato in una logica di scambio lo stesso non sarebbe più tale. Si è autorevolmente osse vato, i p oposito, he « o si i u zia là dove la pe dita del di itto si giustifi a ell’à ito di un altro effetto, o perché parte di un effetto (negoziale) più ampio, o perché inscindibilmente e funzionalmente legato ad altro effetto (negoziale)» (7). Diretta conseguenza di tale assunto è la natura unilaterale del negozio abdicativo (8). Si tratta di una facoltà (9) che compete unicamente al titolare della situazione giuridica oggetto di dismissione. Non è richiesto il consenso di alcun altro soggetto. Come detto, se inserita in un più ampio contesto contrattuale, non sarebbe una autentica rinunzia. Parte della dottrina (10) ha sostenuto che il negozio in esame potrebbe assumere natura contrattuale muovendo dalla constatazione che il rinunziante potrebbe rinunziare accordandosi con il soggetto che di quella rinunzia indirettamente beneficia. Si è replicato sussiste e e, i (11) , tuttavia, che tal aso, u a sp opo zio e t a l’i te esse sotteso alla i u zia ed il ezzo negoziale adoperato, in contrasto col principio di economia dei mezzi giuridici. La dichiarazione del beneficiario indiretto, infatti, nulla aggiungerebbe alla fattispecie L’effetto pe lui favo evole si p odu e e o u (12) . ue, a p es i de e dalla sua volo tà, uale effetto di legge o al e o uale o segue za o di a e tale dell’atto . La fo a o t attuale sarebbe dunque più apparente che reale. Con riferimento alla causa, si è ritenuto in dottrina che la rinunzia, quale negozio dispositivo che non importa attribuzione patrimoniale, è un negozio causale e non astratto (13). Parte della dottrina ha affermato che la rinunzia esprimerebbe di per sé un interesse meritevole di tutela, coincidente con la dismissione della situazione giuridica, che a sua volta costituisce la massima espressione del potere di disposizione che compete al titolare di essa (14). “a e e e essa io, tuttavia, he il soggetto agis a al solo fi e di aggiu ge e l’effetto tipi o della rinunzia, ovverosia la perdita del diritto, e che «il perseguimento di tale scopo presenti, in sé o nel complesso assetto negoziale, quegli elementi di giustificazione economico-sociale che l’o di a e to o se te di ealizza e att ave so il egozio di i u ia» (15). Pe o t o, alt a dott i a ha ite uto he l’atto i esame sarebbe incompatibile con la disciplina propria della causa (16). Il legislatore, infatti, non avrebbe imposto alcun controllo su tale atto di autonomia privata, per il quale non si porrebbe né un problema di valutarne la tipicità, né la necessità di accertarne la funzione economico-so iale, sta te l’asse za di u appo to di relazione tra soggetti diversi. Risulta i ve e o divisa l’idea he il egozio i esa e av e o pote dosi i o du e e a atte e eut o o i olo e, alla atego ia dell’o e osità né a quella della gratuità, stante il suo effetto meramente abdicativo (17). In tema di forma del negozio in esame (18), preme in questo contesto unicamente ricordare le disposizioni di cui agli artt. 1350, n. 5 e 2643, n. 5, c.c., le quali rispettivamente prescrivono la forma scritta e la trascrizione degli atti di rinunzia a diritti reali immobiliari. 3. La rinunzia al diritto di proprietà: ammissibilità Premessi questi brevi cenni relativi al negozio di rinunzia in generale, e concentrando l’a alisi sui possibili oggetti dello stesso, è possibile affrontare il problema della rinunziabilità dei diritti reali, muovendo dal più importante di essi. Gli i te p eti o o da o, i elazio e all’oggetto, he sia o sus etti ili di i u zia i di itti soggettivi e tra questi il diritto di proprietà (19). Il limite che viene generalmente individuato dalla dottrina consiste, infatti, nella disponibilità del diritto, nel senso che non potrebbero costituire oggetto di rinunzia quei diritti indisponibili in quanto caratterizzati dalla presenza di un interesse di rilevanza generale (es. diritto agli alimenti, diritto alla retribuzione ed alle ferie, diritti della personalità, ecc.) (20). Il diritto di proprietà, invece, è certamente da considerarsi un diritto di natura disponibile e, in quanto tale, suscettibile di rinunzia (21). Diversi sono gli argomenti, oltre al menzionato carattere disponibile del diritto in esame, che possono invocarsi a favore della rinunziabilità del medesimo, anche laddove abbia ad oggetto beni immobili. Anzitutto, lo stesso codice civile contempla fattispecie di rinunzia alla proprietà, come nel aso dell’a t. i ollega do i ipa azio i del u o o u e o dell’a t. spese della o u io e , sia pu e ueste fattispe ie all’atto di i u zia u effetto ulte io e esti tivo dell’o (cd. rinunzia liberatoria (22) . Ma tale i osta za l’esti zio e dell’o ligazio e ligo di o t i ui e alle spese o può as o de e l’esiste za di u ve o e p op io atto o ui il soggetto dis ette il suo diritto di proprietà. Né sembra costituire argomento contrario il fatto che, nelle ipotesi da ultimo considerate, vi è una espressa previsione di legge, in quanto può obiettarsi che essa è risultata necessaria non per consentire la rinunzia al diritto di proprietà, bensì per ricollegare ad essa un effetto ulteriore e pe ulia e, uale l’esti zio e dell’o ligazio e di o t i uzio e alle spese, o solo o e sa e e normale) pro futuro, ma anche per il passato e quindi anche per le spese già deliberate. In altri termini, è la circostanza che il debitore possa con una sua dichiarazione unilaterale di volontà dis ette e il de ito su di lui g ava te a giustifi a e ed i po e l’i te ve to del legislato e, o essendo altrimenti possibile tale risultato senza il consenso del creditore (23). Ulteriore argomento a favore della rinunziabilità del diritto dominicale si ricava, a contrario, dall’esa e dell’a t. , o a , . ., o e odifi ato dalla e e te ifo a i te a di condominio. Il testo previgente della citata disposizione prevedeva che il condomino non potesse, rinunziando al diritto sulle cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione. Testualmente, dunque, era possibile anche un atto di rinunzia al diritto sulle parti comuni dell’edifi io, a iò estava p ivo di utilità p ati a i ua to, o u ue, i a eva dovuto il contributo per le spese di conservazione. L’attuale a t. , o a , . . p evede, i ve e, he il o do i o o può i u zia e al suo diritto sulle parti comu i . Il legislato e della ifo a, du ue, ha più adi al e te es luso la i u zia ilità del di itto sulle pa ti o u i dell’edifi io (24). La ratio di questa disposizione è stata individuata (25) , già sotto il vigore della precedente formulazione, nella peculiarità delle parti comuni, spesso necessarie al godimento della porzione di p op ietà i dividuale si pe si alle s ale, all’a d o e, e . , delle uali il o do i o fi is e comunque per godere, sia pur di fatto, anche a seguito di una eventuale rinunzia. In sostanza, il legislatore vuole evitare che la rinunzia in esame sia un escamotage per sottrarsi unicamente al pagamento delle spese di conservazione, continuando ad usufruire della parti comuni. In ogni caso, per i fini che qui interessano, è vero che in questo caso vi è un espresso divieto di rinunzia al diritto di (com)proprietà, ma sembra altrettanto vero che la circostanza che il legislato e si sia p eo upato di sa i e esp essa e te l’i i u zia ilità el aso i esa e conferma, a contrario, che di regola, ed al di fuori di questa ipotesi, il diritto di proprietà sia suscettibile di rinunzia. Del resto, almeno con riferimento ai beni mobili, è pacifico che il soggetto possa spogliarsi del suo diritto di proprietà tramite un atto di abbandono (26) che rende il bene suscettibile di occupazione. E non si vede il motivo per negare che ci si possa spogliare del medesimo diritto laddove abbia ad oggetto un bene immobile (27). È vero che le due categorie di beni hanno un diverso rilievo nella considerazione del legislato e, a iò, lu gi dal dete i a e l’i i u zia ilità della p op ietà i soggetto p igio ie o del suo di itto, di ui pot e o ilia e e de do il e spoglia si solo alie a dolo ad u te zo, a differenza di quanto accade per i beni mobili , i ide sotto il dive so p ofilo dell’atto e essa io pe il p odu si dell’effetto dis issivo e delle elative o segue ze. Mentre, infatti, il bene mobile è suscettibile di abbandono, inteso quale atto con cui il soggetto si disfa della cosa lasciandola in luogo aperto al pubblico (28), divenendo così res nullius, in quanto tale suscettibile di occupazione, per il bene immobile ciò non è possibile: al fine di dismettere la proprietà immobiliare occorre un formale negozio di rinunzia, il quale richiede la forma scritta ad substantiam ed soggetto a t as izio e. L’o di a e to, i olt e, o o se te che lo stesso possa acquisire la qualifica di res nullius, esse do pe ta to p evisto l’a uisto i apo allo Stato (art. 827 c.c.). Ulteriore conferma, testuale, dell’a issi ilità di u a i u zia alla p op ietà si t ae, a o a, dai menzionati artt. 1350 e 2643 c.c., i quali prevedono rispettivamente che debbano farsi per is itto e he de a o esse e t as itti gli atti t a vivi di i u zia ai di itti p e ede ti , t a i uali vi a he il di itto di p op ietà (29). 3.1 Segue: natura ed effetti e zio ati nei numeri Ammessa, alla luce di tutte le argomentazioni sopra indicate, la rinunziabilità del diritto di proprietà, occorre indagare la natura e gli effetti di un tale atto. I elazio e agli effetti, l’a t. . . sta ilis e he i e i i di alcuno spettano al patrimonio dello Stato (30) o ili he o so o di p op ietà . È evide te, du ue, he l’o di a e to o consente che un bene immobile possa rimanere privo di un soggetto titolare. Da ciò consegue che, a f o te della i u zia a di ativa da pa te dell’u i o p op ieta io di u e e, e ta e te la proprietà dello stesso spetterà allo Stato (31), tenendo presente che tale acquisto non avviene a titolo derivativo (considerata la natura meramente abdicativa della rinunzia), bensì a titolo o igi a io p op io i vi tù del disposto dell’a t. . . (32) O o e sottoli ea e, al igua do, he l’a uisto i uestio e o u effetto di etto della rinunzia alla proprietà. Con tale atto, il rinunziante si limita a spogliarsi del diritto di cui è titolare senza preoccuparsi della sua afferenza attuale ad altri. Al rinunziante, cioè, non interessa la sorte del diritto di cui si sta spogliando, ma solo il fatto di priva se e. È i ve e l’o di a e to he si preoccupa di stabilire quale sia la sorte del diritto rinunziato e, nel caso di proprietà individuale, p evede l’a uisto dell’i o ile da pa te dello “tato (33) (che come si è detto avviene a titolo originario (34)). I elazio e, i ve e, alla atu a dell’atto, esso e ta e te u ilate ale, esse do di etto u i a e te alla dis issio e del di itto, e o p odu e effetti t aslativi, i ua to l’a uisto he e deriva in capo allo Stato non è un effetto negoziale voluto dal rinunziante, bensì la conseguenza o di a e tale di u atto i ui la volo tà di etta u i a e te all’esti zio e della situazio e giuridica soggettiva. La natura puramente abdicativa e non traslativa della rinunzia esclude, di conseguenza, la necessità di u ’a ettazio e (35). N , d’alt a pa te, se ai agi a ile u atto di ifiuto da pa te dello Stato, il cui acquisto è imposto dalla legge (art. 827 c.c.), al fine di evitare che la proprietà immobiliare divenga nullius (36). Esclusa la necessità di u ’a ettazio e, i si hiesti, i ve e, se l’atto di i u zia sia o e o recettizio e, quindi, debba o meno essere portato a conoscenza del terzo interessato (in questo caso lo Stato). Al riguardo, la dottrina ha espresso posizioni divergenti. Alcuni autori (37) hanno sostenuto che il carattere recettizio della rinunzia andrebbe accertato caso per caso, non potendosi fornire una soluzione unitaria. In particolare, la recettizietà – secondo questa tesi – sarebbe talora insita in relazione al rapporto in cui la rinunzia medesima opera, come nel caso della rinunzia alla quota di o p op ietà di ui all’a t. . . id est i u zia li e ato ia , «gia h di sott a e il i u ia te … agli o ui p odu e l’effetto lighi de iva ti dalla titola ità del di itto, a olla doli all’alt o comunista che, salvo il rifiuto, acquista la proprietà della quota rinunciata per accrescimento» (38). E in effetti la dottrina (39) o o de el ite e e he, i te a di i u zia li e ato ia, l’atto debba essere portato a conoscenza degli altri comproprietari. Tale carattere, tuttavia, si collega o alla i u zia i s o side ata, e sì a uell’effetto ulte io e he a atte izza la i u zia liberatoria (e che non sussiste in quella abdicativa pura) consistente nella liberazione dall’o ligazio e di paga e to delle spese a he a te io i (40). A seguito della rinunzia, in altri termini, gli altri condividenti si ritrovano non solo ad essere titola i di u a uota di o p op ietà a es iuta, a a he g avati da u ’o ligazio e di pagamento delle spese (anche quelle già deliberate) in misura conseguentemente maggiore ispetto a p i a. Da iò la e essità he l’atto di i u zia gli sia po tato a o os e za e du ue la recettizietà dello stesso. Analizzando la rinunzia abdicativa, invece, la dottrina prevalente (41) e la giurisprudenza (42) ite go o he l’atto i uestio e o sia e ettizio. “i a go e ta dalla atu a degli effetti tipi i del negozio che, esaurendosi nella sfera del dichiarante, non postulano per la loro realizzazione la e essità di al u a o u i azio e al te zo. I fatti, solta to l’effetto a di ativo i di etta relazione causale con la dichiarazione, mentre ulteriori effetti della stessa nei confronti di terzi (in uesto aso, l’a uisto i apo allo “tato ostituiscono mere conseguenze indirette della rinunzia, o e tali i ido ee ad i ide e sull’effi a ia della fattispe ie. Secondo la ricostruzione che appare preferibile, dunque, la rinunzia al diritto di proprietà, considerando il suo effetto meramente abdicativo, ha natura di atto non recettizio. 3.2 Segue: la trascrizione Resta da esaminare, con riferimento al tema della rinunziabilità del diritto di proprietà su e ii o ili, il p o le a della t as izio e, esp essa e te p evista dall’a t. , . , .c. (43). Autorevole dottrina (44) ha sottoli eato l’i o g ue za del i hia o, ua to agli effetti della t as izio e, all’a t. . .i ua to l’a uisto he si ealizza i apo al te zo he sia lo “tato o, come si vedrà infra, che sia il comproprietario o ancora il nudo proprietario in caso di rinunzia a diritti reali limitati) non avviene a titolo derivativo, bensì a titolo originario, alla luce della suddetta natura meramente abdicativa della rinunzia. Si è affermato, dunque, che «la disciplina della trascrizione della rinunzia non è in linea con gli effetti sostanziali che alla rinunzia stessa conseguono» (45). La scelta del legislatore è stata spiegata, allora, in ciò che, a differenza delle altre ipotesi di acquisti a titolo originario, in questo aso l’a uisto del te zo “tato e l’espa sio e del di itto di proprietà (nudo proprietario e, si può ritenere anche, comproprietario) sono conseguenza economica ed anche giuridica, sia pure meramente indiretta e riflessa, della manifestazione di volontà del rinunziante. Il legislatore ha quindi previsto la pubblicità agli stessi effetti degli atti t aslativi dal o e to he essa, a he se i di etta e te, ostituis e l’a te ede te logi o- giu idi o dell’a uisto o di u te zo i diffe e ziato «I alt e pa ole a di u terzo ben individuato dalla legge. e ve o he la i u zia a di ativa o ha u o lato … , a a he ve o che tale oblato è individuato dalla legge rispettivamente nello Stato e nel titolare del diritto di proprietà, a seconda che si rinunzia alla proprietà ovvero ad un diritto reale su cosa altrui. In termini funzionali, dunque, è difficile negare una perfetta affinità tra questa fattispecie e quella dell’atto att i utivo, sul pia o della o eta attuazio e della vi e da. Il isultato finale, pertanto, è lo stesso, perché il soggetto che rinunzia è come se rinunziasse a favore dello Stato o del proprietario» (46). In ogni caso, al di là della spiegazione dei suoi effetti, è indubbio che la rinunzia in questione debba essere trascritta. Resta il problema delle modalità di trascrizione (47), essendo state espresse in dottrina due diverse tesi. Parte della dottrina (48) ha sostenuto che la trascrizione andrebbe presa contro il rinunziante ed a favore dello Stato. Altra parte della dottrina (49) , invece, ha ritenuto che la trascrizione della rinunzia avverrebbe, stante la sua natura puramente abdicativa, unicamente contro il rinunziante. No osta te l’auto evolezza degli Auto i he ha o soste uto la p i a tesi, la soluzio e preferibile sembra essere la seconda. La trascrizione unicamente contro il rinunziante appare più coerente con la natura del negozio abdicativo. Esso produce effetti, come si è detto, unicamente nella sfera giuridica del suo autore, risultando eventuali modificazioni della sfera giuridica altrui (in uesto aso l’a uisto i apo allo “tato effetti solo i di etti e iflessi del egozio posto i esse e. In mancanza di un effetto traslativo (50) e o side a do la i osta za he l’a uisto dello “tato avvie e, se o do l’opi ione prevalente degli interpreti, a titolo originario, appare più corretta una trascrizione presa unicamente contro il soggetto rinunziante. Piuttosto du ue he da e ilievo alla ollo azio e della o c.c. (e dunque nel quadro degli effetti di ui all’a t. sosta ziali della i u zia e o segue te e te . . , s i ue do la dis ipli a degli effetti iti a do l’i oe e za della s elta del legislato e, appa e p efe i ile valo izza e il dato sosta ziale e du o segue te e te i dividua e le a el o testo dell’a t. ue l’asse za di effetti traslativi), e odalità di t as izio e più i li ea o uest’ulti o. Ciò del resto si conforma alla prassi di trascrivere gli atti di rinunzia abdicativa a diritti reali limitati (in particolare, per la sua frequenza, l’usuf utto u i a e te o t o il suo auto e e o a favo e del udo p op ieta io. A he i uesta ipotesi, i fatti, l’effetto i apo al udo p op ieta io è solo riflesso (dovuto al principio di elasticità del dominio); la norma di riferimento per la t as izio e la stessa l’a t. , . , . .; a o si effettua al u a fo alità a favo e, e sì unicamente contro il rinunziante. 4. La rinunzia alla quota indivisa di comproprietà: ammissibilità Come si ammette la rinunziabilità del diritto di proprietà (51) , considerata la sua natura disponibile ed alla luce degli argomenti sopra indicati, sembra potersi ammettere, sulla base dei medesimi argomenti, anche la rinunziabilità della quota di comproprietà, che ha la medesima natura (52). Lo conferma il codice civile, il quale prevede espressamente una tale ipotesi di rinunzia all’a t. o h all’a t. , o a , sia pu e i u a fattispe ie pa ti ola e i o ha solo il suo effetto tipi o l’a di azio e del di itto , esti gue e l’o ligazio e g ava te sul ui la i u zia a p odu e a he l’effetto ulte io e di o divide te e pe uesto si pa la di i u zia d. liberatoria). Del resto, non si spiegherebbe il perché il pieno proprietario possa rinunziare al suo diritto, mentre il proprietario pro quota non possa farlo: si tratta sempre del medesimo diritto, sia pure nel primo caso pieno e senza limiti, mentre nel secondo caso limitato dal concorrente diritto degli altri contitolari (53). Chiaramente molto diverse sono la fattispecie della rinunzia abdicativa e quella della rinunzia liberatoria della quota di comproprietà. La prima determina puramente e semplicemente l’a di azio e della uota di ui il soggetto titola e, se za ulte io i effetti egoziali p op i dell’atto posto in essere. Da ciò consegue che il condomino, mentre non sarà tenuto a corrispondere le spese concernenti la cosa comune per il tempo successivo alla rinunzia in quanto egli non risulterà più esse e p op ieta io della stessa, i a à te uto all’ade pi e to di tutte le o ligazioni inerenti la cosa sorte fino al giorno della rinunzia (54). Dive sa la i u zia li e ato ia, p evista dall’a t. . ., i ui all’effetto a di ativo si a o pag a, pe esp essa p evisio e del legislato e, u effetto esti tivo dell’o ligazio e. In questo caso, dunque, il condomino, rinunziando alla propria quota, dismette il diritto di cui è titolare al fine di liberarsi da tutte le obbligazioni inerenti la cosa, non solo (come è ovvio) per il futuro, ma anche per quelle già sorte (55). Ciò detto, al fine di poter in seguito meglio approfondire natura ed effetti della rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, pare opportuno fornire qualche cenno con riferimento alla rinunzia liberatoria (56). Come è stato autorevolmente affermato (57) edia te il sa ifi io del p op io di itto, da u ’o , scopo dell’atto i uestio e ligazio e he il soggetto a la li e azio e, ia ei o f o ti di determinati altri soggetti in quanto titolare del diritto dismesso. La rinunzia è il mezzo impiegato dal condividente per raggiungere il fine della liberazione dalle spese du ue, o solo l’effetto a di ativo p op io di og i i u zia, (58) . La stessa produce, a a he e sop attutto uello liberatorio che vale a caratterizzarla. E proprio tale effetto liberatorio giustifica la necessità dell’esp essa p evisio e da pa te del legislato e, o esse do alt i e ti o se tito al de ito e di rinunziare al debito senza il consenso del creditore. La pe ulia ità dell’atto di ui all’a t. . . o siste ella i osta za che per effetto della i u zia il o p op ieta io si vede li e ato dell’o ligazio e di o t i ui e alla spese i e e ti la cosa comune e ciò non solo per il futuro, ma anche per il passato (e dunque anche con riferimento alle spese già deliberate) (59). Ciò – come si diceva – vale a distinguere la figura in esame dalla rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, la quale ha come effetto unicamente la dismissione del diritto, determinando la liberazione solo dalle obbligazioni future (come ovvio non essendo il soggetto più proprietario del bene), ma non per quelle passate, cui il rinunziante rimane tenuto (60). Con riferimento alla natura giuridica della rinunzia in esame, la dottrina decisamente prevalente (61) afferma che si tratta di un negozio unilaterale recettizio. Nessun dubbio si pone circa la sua unilateralità, risultando evidente che la dismissione della situazione giuridica non può che provenire dal soggetto cui essa appartiene. In particolare, si es lude he sia e essa ia l’a ettazio e da parte degli altri comproprietari i fatti, l’effetto di a es i e to della uota degli alt i o divide ti (62) . Come si vedrà, u a o segue za solo mediata e riflessa della rinunzia, connessa alla natura della comunione, come tale non richiedente un atto di accettazione (63). Si è anche affermato che la volontà dismissiva deve essere manifestata in modo non equivoco, non essendo sufficiente un generico disinteresse rispetto alla cosa comune (64). Qualche dubbio si è posto, invece, con riferimento alla recettizietà della rinunzia liberatoria. Qualche autore (65) ha sostenuto, coerentemente con quanto la dottrina prevalente afferma in te a di i u zia a di ativa, he l’atto i sull’effetto ista ta eo dell’a esa e o dov e e esse e e ettizio. “i fa leva escimento, che consegue ipso iure alla rinunzia, quale conseguenza della natura giuridica della comunione. Tale automatismo renderebbe superflua la conoscenza dell’atto da pa te degli alt i o p op ieta i. La dottrina nettamente prevalente (66) critica questa i ost uzio e, soste e do he l’effi a ia accrescitiva automatica implicherebbe unicamente la non necessità di accettazione e non già la superfluità della notificazione ai restanti comproprietari. La conoscenza di questi ultimi della intervenuta rinunzia, e della conseguenza variazione delle quote, sarebbe necessaria per prendere atto dell’i te ve uta dall’o odifi a e, sop attutto, pe h ad essa o segue la li e azio e ex tunc ligo di o t i uzio e alla spese o u i i favo e del i u zia te; effetto he incide in misura evidentemente negativa nei loro confronti. A seguito della rinunzia, in altri termini, gli altri condividenti si ritrovano non solo ad essere titola i di u a uota di o p op ietà a es iuta, a a he g avati da u ’o ligazio e di pagamento delle spese (non solo per il futuro, ma anche per quelle già deliberate) in misura o segue te e te aggio e ispetto a p i a. Da iò la e essità he l’atto di i u zia gli sia portato a conoscenza e dunque la recettizietà dello stesso. Connesso al te a della atu a e ettizia dell’atto i esa e il p o le a della sua revocabilità, evidentemente esclusa da coloro che ritengono trattarsi di un atto non recettizio (67) e i ve e a essa, fi ta to he l’atto o sia giu to a o os e za degli alt i o p oprietari, da parte di chi ne afferma la recettizietà (68). Con riferimento agli effetti della rinunzia liberatoria, dottrina o o da o ell’affe a e he ad essa o segue l’a (69) e giurisprudenza (70) es i e to p opo zio ale delle uote dei comproprietari non rinunzianti. Effetto, tuttavia, non diretto e causalmente connesso alla stessa, bensì meramente indiretto o riflesso, dovuto alla natura della comunione (pur non previsto espressamente dalla legge) (71). Venuto meno, infatti, il limite costituito dalla quota del rinunziante, il diritto di (com)proprietà dei restanti titolari tende naturalmente ad espandersi, alla luce del principio di elasticità del dominio. La fuoriuscita dalla comunione di uno dei compartecipi, del resto, non può che determinare l’i e e to della pa te ipazio e degli alt i, sta te he il di itto da essi va tato o ha ad oggetto u a pa te o f azio e del e e, a l’i te o (72). Messi in luce, dunque, i caratteri della rinunzia liberatoria, al fine di poterne le cogliere le differenza rispetto alla rinunzia meramente abdicativa, è possibile affrontare i problemi che uest’ulti a po e laddove a ia ad oggetto u a uota i o p op ietà. 4.1 Segue: natura ed effetti Ammessa la rinunziabilità della quota di comproprietà, anche a prescindere dalla fattispecie di i u zia li e ato ia di ui all’a t. . ., o o e soffe uestio e ed, i pa ti ola e, se esso dete l’a uisto i L’a t. i i l’a a si sulle o segue ze dell’atto i es i e to i apo agli alt i o titola i ovve o apo allo “tato (nel presupposto, ovviamente, che si tratti di beni immobili). . . sta ilis e he i e i i pat i o io dello “tato. È evide te, du o ili he o so o di p op ietà di al u o spetta o al ue, he l’o di a e to o o se te he u e e immobile possa rimanere privo di un soggetto titolare. Da ciò consegue che, a fronte della rinunzia a di ativa da pa te dell’u i o p op ieta io di u e e, e ta e te la p op ietà dello stesso spetterà allo Stato, tenendo presente che tale acquisto non avviene a titolo derivativo (considerata la natura meramente abdicativa della rinunzia), bensì a titolo originario proprio in vi tù del disposto dell’a t. . . Diversamente sembra doversi ritenere nel caso della rinunzia alla quota di comproprietà su di un immobile. In tal caso, appare preferibile ritenere che non si instauri una (anomala) forma di contitolarità tra i restanti condomini (per le quote loro originariamente spettanti) e lo Stato (per la uota del i u zia te , ua to piuttosto si ve ifi hi l’a es i ento (73) delle quote degli altri comproprietari (74). Tale effetto, pacificamente ammesso dalla dottrina nella pur diversa fattispecie della i u zia li e ato ia di ui all’a t. . . (75), se (conformemente alla tradizione romanistica (76) a dove si ve ifi a e a he ell’ipotesi i esa e ), considerando in particolare la natura della comunione (77). “e, difatti, si o divide l’idea se o do la uale il di itto del o divide te u di itto sull’i te a osa e o su u a sua po zio e ate iale li itato dal concorrente diritto degli altri contitolari (78), allora è evidente che, venuto meno il diritto di uno di essi a seguito della rinunzia, o può he de iva e l’espa sio e del di itto degli alt i. “i t atta, i alt i te i i, di u a conseguenza del principio di elasticità del dominio, il quale tende naturalmente ad espandersi nel momento in cui vengono meno i limiti che lo costringono (79). O o e o u ue sottoli ea e he l’a es i e to i uestio e o u effetto di etto della rinunzia alla quota (80). Con tale atto, il rinunziante si limita a spogliarsi del diritto di cui è titolare senza preoccuparsi della sua afferenza attuale ad altri. Al rinunziante, cioè, non interessa la sorte del diritto di cui si sta spogliando, ma solo il fatto di priva se e. È i ve e l’o di a e to he si preoccupa di stabilire quale sia la sorte del diritto rinunziato e se nel caso di un unico p op ieta io p evede l’a uisto dell’i o ile da pa te dello “tato he o e si titolo originario), nel caso di o u io e p evede i pli ita e te l’a detto avvie e a es i e to delle uote degli altri comproprietari, alla luce della vis espansiva del diritto loro spettante (81). Anche la Suprema Corte, in una recente pronuncia (82) , ha avuto modo di affrontare il problema in esa e. Il aso po tato all’atte zio e della Cassazio e igua dava due o vive ti more uxorio che avevano acquistato in comunione ordinaria un immobile. Successivamente, a seguito della lo o sepa azio e , u o di essi aveva i u ziato alla uota a lui spettante. La Corte ha sostenuto, al riguardo, che ogni partecipante ad una comunione ordinaria è contitolare di un diritto e non di una singola porzione di esso autonomamente suscettibile di rinunzia abdicativa, per cui il venir meno di una delle partecipazioni dal punto di vista soggettivo tramite una dichiarazione rinunziativa comporta una rideterminazione pro quota dell’e tità delle partecipazioni dei comunisti superstiti, i quali vedranno ipso iure accrescere in proporzione le loro quote in forza del principio di elasticità della proprietà. Constatato dunque che secondo la tesi preferibile conseguenza, indiretta e riflessa, della rinunzia alla quota di comproprietà è il proporzionale accrescimento delle quote dei restanti contitolari, occorre soffermarsi sul problema di un eventuale rifiuto (83) da parte di questi ultimi (84). Occorre chiedersi, in particolare, se i condividenti che vedono accresciuta la propria quota a seguito della rinunzia fatta da uno di essi possano in qualche modo impedire tale acquisto. Più p e isa e te il du io he si po e se osto o possa o ifiuta e l’a es i e to della p op ia quota ovvero debbano subirlo, potendo a loro volta unicamente rinunziare alla quota (come accresciuta) di cui sono titolari. È principio generale del nostro ordinamento quello secondo il quale ciascuno deve poter i pedi e u ’i isio e della p op ia sfe a giu idi a da pa te di te zi, pe ua to possa t atta si di effetti favorevoli (si pensi al contratto a favore del terzo ovvero al legato: in entrambi i casi, fermo l’a uisto auto ati o, se za isog o di a ettazio e, fatta salva la fa oltà del te zo o del legata io di ifiuta e l’a uisto disposto i suo favo e . Vengono in rilievo i cd. negozi unilaterali soggetti a rifiuto (85), i quali consentono di attribuire ad un soggetto una situazione giuridica favorevole senza, ma non contro la propria volontà. Al desti ata io dell’a uisto i o os iuto il pote e di ifiuta li, a tutela dall’auto o ia della sua sfera individuale. Tale meccanismo di rifiuto si appunta, tuttavia, solo a quei negozi che abbiano quale effetto diretto la alterazione (favorevole) della altrui sfera giuridica (si pensi al contratto a favore di terzo) (86) . Si è affermato in dottrina (87) che di alterazione della sfera giuridica può discorrersi solo ove essa si ide tifi hi i u effetto di etto del egozio. «O de, ell’ipotesi i ui la suddetta alte azio e (se di «alterazione» può ancora legittimamente discorrersi) si risolva, per contro, in un effetto i o du i ile all’atto di auto o ia privata in chiave puramente riflessa, per definizione appare infondato discutere [...] di deroga, di eccezione (ed ancor più di violazione) alla regola in oggetto» (88) . La mancanza di una intrusione nella sfera giuridica altrui direttamente e causalmente o essa all’atto di auto o ia p ivata spiega, du ue, il pe h al desti ata io di effetti iflessi, a differenza del destinatario di effetti diretti, non spetti alcun rimedio al fine di impedire la detta intrusione (89). Ciò detto, con riferimento alla rinunzia alla quota di comproprietà ed al conseguente accrescimento delle quote dei restanti contitolari, sono prospettabili due alternative: o si ritiene he uesti ulti i possa o ifiuta e l’a es i e to osì tutela do la p op ia sfe a giu idi a dagli effetti dell’alt ui atto di i u zia ovve o si itie e he osto o o a ia o al u pote e di ifiuto, a su is a o l’espa sio e della p op ia uota, salva la possi ilità di i u zia e a lo o volta al diritto di cui sono titolari. Di recente, parte della dottrina (90), analizzando la figura della rinunzia liberatoria, ma con un ragionamento condotto in termini generali che dovrebbe dunque valere anche per il caso di rinunzia abdicativa, ha sostenuto la possibilità di configurare una rinunzia al diritto di accrescimento. Si è affermato, in particolare, che in tal caso oggetto della rinunzia non sarebbe «in via di etta la uota de elitta o pa te di uesta, e sì l’effetto he si dete a es i e to, di itto he dispo i ile. Pe posto i a i fo za del di itto di ell’es lusivo interesse del comproprietario» e come tale o segue za, «il o p op ieta io he o i te da avvale si dell’effetto espa sivo della quota potrà rinunciarvi». Questa tesi non convince. Anzitutto si ravvisa una anomalia nella circostanza che la rinunzia posta in essere dal comproprietario abbia ad oggetto non un diritto (di cui può predicarsi la natura dispo i ile , a u effetto l’a es i e to he de iva dalla legge o eglio dall’o di a e to. Il condividente, infatti, non è titolare di un diritto di accrescimento autonomamente suscettibile di rinunzia, ma solo di una quota in comunione che automaticamente si espande al venir meno del concorrente diritto di un altro contitolare. Come il consolidamento della nuda proprietà, in caso di ri u zia all’usuf utto, u effetto legale, o segue te alla atu a he il di itto di proprietà ha nel nostro ordinamento e non suscettibile di autonoma rinunzia da parte del nudo p op ieta io, allo stesso odo l’a es i e to della uota u effetto legale conseguente alla natura del diritto in comunione, altrettanto non suscettibile di autonoma rinunzia da parte del condividente. Co side a do, i olt e, l’auto atis o o ui ope a l’a es i e to e t atta dosi di i u zia (e non di rifiuto) dovrebbe immaginarsi che il condividente veda prima espandersi la propria quota per poi rinunziare con efficacia ex nunc a tale effetto, il che non appare sostenibile. La stessa Autrice evidenzia, poi, le criticità di ricondurre una tale forma di rinunzia all’a es i e to alla atego ia del ifiuto, sta te la diffi oltà di p esuppo e l’esiste za di u a offerta o di una delazione ex lege che esso mirerebbe a neutralizzare (91). La soluzione preferibile sembra dunque essere la seconda (92) . Come si è più volte detto, l’accrescimento delle quote altrui non è un effetto diretto della rinunzia che il condividente faccia al proprio diritto. Si tratta solo di una conseguenza indiretta o riflessa, che si ricava dall’o di a e to e he si giustifi a alla lu e della atu a del di itto in comunione. Mancando dunque una diretta alterazione della sfera giuridica altrui non è possibile discorrere di un potere di rifiuto. Resta ferma, invece, la possibilità che ciascun altro condividente rinunzi al proprio diritto (93). All’est e o, laddove tutti rinunziassero eccetto uno verrebbe meno lo stato di comunione (94) e, se anche costui rinunziasse, la proprietà spetterebbe allo Stato ai sensi dell’a t. . . La soluzione opposta, del resto, risulterebbe foriera di un grave inconveniente pratico. A ette e i fatti he ias u o divide te dive so dal i u zia te possa ifiuta e l’a es i e to comporterebbe che, in caso di rifiuto di tutti, la titolarità della quota rinunziata spetti allo Stato. Si instaurerebbe dunque una comunione tra i privati e lo “tato, o la e essità dell’i te ve to di uest’ulti o i u eve tuale atto di divisio e. Né appare decisivo, a sostegno della tesi favorevole al rifiuto, affermare che altrimenti i restanti condividenti potrebbero essere danneggiati, in quanto si ritroverebbero senza il loro consenso titolari di una quota più ampia, con una maggiorazione dei relativi oneri (soprattutto fiscali). Che ciò possa verificarsi è indubbio, ma è altrettanto vero che si tratta di una conseguenza di siste a dell’esse e titolari di una quota in comunione. Chi acquista una quota di comproprietà di un bene sa o dovrebbe sapere che, stante la natura del diritto che acquista e considerato l’o di a e to di ui fa pa te, la sua uota pot e e espa de si i aso di i u zia degli altri contitolari. Esattamente come il nudo proprietario sa o dovrebbe sapere che, in caso di rinunzia dell’usuf uttua io al p op io di itto p i a della s ade za del te i e pattuito, egli dive te à pie o proprietario (con tutti i relativi oneri) senza il suo consenso e senza che possa in alcun modo impedirlo. Alla lu e di tali o side azio i appa e p efe i ile ite e e he l’effetto di a es i e to delle quote dei condividenti non rinunzianti non sia suscettibile di rifiuto da parte di costoro, i quali pot a o, se del aso, i u zia e a lo o volta all’i te a uota di ui so o titola i. U a volta ite uto he l’effetto della i u zia alla uota di o p op ietà sia l’a es i e to delle uote dei esta ti o titola i, o o e i daga e se l’atto i esa e sia o meno recettizio e debba, pertanto, essere portato a conoscenza di terzi per produrre i suoi effetti. Richiamando quanto già detto con riferimento alla rinunzia al diritto di (piena) proprietà, occorre tener presente che la dottrina prevalente (95) sostiene, nel caso della rinunzia alla quota di o p op ietà di ui all’a t. . . id est i u zia li e ato ia , la atu a e ettizia dell’atto e pertanto la necessità che lo stesso sia portato a conoscenza degli altri comproprietari. Tale carattere, tuttavia, si collega (come si è visto) non alla rinunzia in sé considerata, bensì a uell’effetto ulte io e he a di ativa pu a a atte izza la i u zia li e ato ia e o siste te ella li e azio e dall’o he o sussiste i uella ligazio e di paga e to delle spese anche anteriori (96). A seguito della rinunzia, in altri termini, gli altri condividenti si ritrovano non solo ad essere titola i di u a uota di o p op ietà a es iuta, a a he g avati da u ’o ligazio e di pagamento delle spese (non solo per il futuro, ma anche per quelle già deliberate) in misura o segue te e te aggio e ispetto a p i a. Da iò la e essità he l’atto di i u zia gli sia portato a conoscenza e dunque la recettizietà dello stesso. Analizzando la rinunzia abdicativa, invece, la dottrina prevalente (97) e la giurisprudenza (98) ite go o he l’atto i uestio e o sia e ettizio. “i a go e ta dalla atu a degli effetti tipi i del negozio che, esaurendosi nella sfera del dichiarante, non postulano per la loro realizzazione la e essità di al u a o u i azio e al te zo. I fatti, solta to l’effetto a di ativo i di etta relazione causale con la dichiarazione, mentre ulteriori effetti della stessa nei confronti di terzi (in uesto aso, l’a es i e to p opo zio ale delle uote dei restanti comproprietari) costituiscono e e o segue ze i di ette della i u zia, o e tali i ido ee ad i ide e sull’effi a ia della fattispecie. Ragioni di coerenza, inoltre, non consentono di giungere a conclusioni diverse circa la natura dell’atto rispetto a quanto sostenuto con riferimento alla rinunzia alla proprietà piena, trattandosi pur sempre del medesimo negozio (rinunzia abdicativa), avente ad oggetto il medesimo diritto (di proprietà), sia pure in questo caso spettante a più soggetti in comunione tra loro. A tali considerazioni potrebbe, tuttavia, obiettarsi che esse non tengono conto di altre esigenze, pur dotate di particolare rilievo. In particolare, accedendo alla tesi (qui contestata) secondo la quale dovrebbe essere garantita agli altri comproprietari la facoltà di rifiutare l’a es i e to delle lo o uote, isulte e e evide te la e essità di po ta e la i u zia a conoscenza di questi ultimi, così da metterli concretamente nella condizione di poter esercitare la facoltà di rifiuto loro spettante (99). Una rinunzia non portata a conoscenza degli altri contitolari, del resto, sempre presupponendo tale facoltà di rifiuto, creerebbe una situazione di incertezza circa la sorte della quota divenuta vacante. E ciò colliderebbe con principi generali del nostro ordinamento, quali la e tezza dei appo ti giu idi i e dell’a e ta e to della p op ietà i t aspa e za dei egist i i o ilia e, la o ettezza e o ilia i, a he ei o f o ti dei te zi ed ai fi i dell’i posizio e fis ale. Escluso tuttavia – sulla base di quanto detto in precedenza – che ai comproprietari non i u zia ti spetti u pote e di ifiuta e l’a es i e to, o si po e la e essità di po ta e a lo o o os e za l’atto ai fi i della sua effi a ia. Costo o, i fatti, pot a o solo rinunziare, a loro volta, alla quota a ciascuno spettante (come accresciuta a seguito della rinunzia) e la conoscenza (o meglio conoscibilità) del mutamento intervenuto è garantita dal meccanismo pubblicitario della trascrizione. Del resto, guardando all’espe ie za p ati a, su o di a e l’effi a ia della i u zia he o e più volte detto ha una diretta efficacia meramente abdicativa) alla conoscenza o conoscibilità che di essa abbiano i restanti contitolari vorrebbe dire impedire o quanto meno ostacolare il o pi e to dell’atto i esa e e osì l’auto o ia p ivata he i esso si a ifesta i tutti uei casi in cui, per qualsiasi motivo, gli stessi risultino irreperibili. Secondo la ricostruzione che appare preferibile, dunque, la rinunzia alla quota indivisa di comproprietà, considerando il suo effetto meramente abdicativo e coerentemente con quanto affermato per la rinunzia alla proprietà piena, ha natura di atto non recettizio. Ciononostante, sebbene a rigore non necessario, soprattutto nel caso particolare di rinunzia alla uota di o p op ietà, isulta al e o oppo tu o he si p o eda a o u i a e l’avve uta i u zia agli alt i o divide ti, i u ’otti a di o ettezza, pe h osto o sia o edotti dell’avve uto a es i e to delle lo o uote, o h dell’o ligo di o t i ui e proporzionalmente a tale quota maggiorata alle spese inerenti la cosa comune (sia pure solo pro futuro, a diffe e za di ua to a ade i li e azio e dall’o aso di i u zia li e ato ia di ui all’a t. . ., ove la ligazio e iguarda anche le spese pregresse) (100). 4.2 Segue: la trascrizione Resta da esaminare, con riferimento alla rinunzia alla quota indivisa di comproprietà, il tema della pubblicità nei registri immobiliari. Nessun dubbio si pone sulla necessità di trascrive e l’atto s itto di i u zia a he alla uota di o p op ietà. L’a t. . ., . , difatti, p evede espressamente la trascrizione di tali atti. Non possono che richiamarsi in questa sede le considerazioni della dottrina circa l’i o g ue za t a gli effetti sostanziali della rinunzia e la disciplina della trascrizione, già riportate con riferimento alla rinunzia alla proprietà piena (101). In ogni caso, al di là della spiegazione dei suoi effetti, è indubbio che la rinunzia in questione debba essere trascritta. Resta il problema delle modalità di trascrizione, riproponendosi in questo o testo le due dive se tesi i a le odalità di t as izio e. “e o do l’u a, si t as ive e e o t o il i u zia te ed a favo e dei esta ti o p op ieta i; se o do l’altra, la trascrizione avverrebbe unicamente contro il rinunziante. Non può che rinviarsi, al riguardo, a quanto già detto circa le motivazioni che inducono a preferire la seconda soluzione e dunque una trascrizione unicamente contro il comproprietario rinunziante, in coerenza con gli effetti meramente abdicativi della rinunzia. 5. La rinunzia al diritto di superficie Dopo aver esaminato il problema della rinunziabilità del diritto di proprietà è possibile analizzare il tema della rinunzia abdicativa avente ad oggetto gli altri diritti reali di godimento. Al igua do, si segui à l’o di e p evisto dal odi e ivile, uove do du ue dal di itto di supe fi ie. Co e oto, il di itto di supe fi ie i o p e de due disti te situazio i giu idi he. L’a t. c.c., al primo comma, prevede che il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà. Il se o do o a dello stesso a ti olo o se te, i olt e, l’alie azio e della p oprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo. Come già ricordato in precedenza (102), gli i te p eti o o da o, i elazio e all’oggetto, he siano suscettibili di rinunzia i diritti soggettivi e tra questi i diritti reali (103). Il limite che viene generalmente individuato dalla dottrina consiste, infatti, nella disponibilità del diritto, nel senso che non potrebbero costituire oggetto di rinunzia quei diritti indisponibili in quanto caratterizzati dalla presenza di un interesse di rilevanza generale (es. diritto agli alimenti, diritto alla retribuzione ed alle ferie, diritti della personalità, ecc.) (104). Premesso che anche il diritto di superficie può ascriversi alla categoria dei diritti disponibili (e quindi rinunziabili), occorre fare alcune precisazioni al riguardo. L’a t. . ., u i ato esti zio e del di itto di supe fi ie , dis ipli a gli effetti di tale fenomeno, ma non ne individua compiutamente le cause. Tutti gli interpreti concordano che tra le cause non codificate di estinzione del diritto di superficie può annoverarsi la rinunzia (105). Nessuno, in particolare, dubita della rinunziabilità del detto diritto nella fase precedente la ost uzio e dell’edifi io he o ope e e ui di del di itto di supe fi ie p op ia e te detto), con la conseguenza e più la de oga al p i ipio dell’a essio e e la ost uzio e eve tual e te eseguita apparterrebbe al proprietario del suolo (106). Più o t ove sa, i ve e, l’a issi ilità di u a i u zia al di itto i esa e una volta completata la costruzione (quindi alla proprietà superficiaria). Una parte della dottrina (107) tende infatti ad escludere la rinunziabilità nella fattispecie da ultimo prospettata. Muovendo dalla tesi, autorevolmente sostenuta (108), sulla natura del diritto di superficie che distingue tra proprietà superficiaria (quella che si costituisce una volta eseguita ex novo la costruzione sul suolo e che consente la ricostruzione in caso di perimento) e proprietà separata (quella che si costituisce quando viene alienata la proprietà unicamente della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo, e che non consente la ricostruzione, non essendo trasferito alcun diritto sul suolo medesimo), si afferma che, una volta eseguita la costruzio e, l’effetto della i u zia o può e to esse e uello di po e el ulla gli effetti he il diritto di superficie ha già prodotto. «La proprietà superficiaria, una volta costituita, non può estinguersi, e la costruzione non può passare in proprietà del dominus soli se manchi un negozio di trasferimento relativo alla costruzione, oppure anche di abbandono o rinuncia (traslativa), che ad esso (dominus soli pa ti ola e te a ia igua do l’a essio e p odu e u a uisto a titolo originario e non a titolo derivativo)» (109). Secondo questa ricostruzione, poi, solo nel caso di proprietà superficiaria (quindi, secondo la citata dottrina, di costruzione eseguita ex novo, i ui alla p op ietà sull’edifi io si a o pag a il diritto di superficie sul suolo), la rinunzia potrebbe trovare uno spazio alquanto limitato. Essendo il diritto di superficie in uno stato di quiescenza, avendo già prodotto i suoi effetti (la costituzione della proprietà superficiaria), la rinunzia avrebbe il solo effetto di estinguere definitivamente il diritto stesso, con la conseguenza che, avvenuto il perimento della costruzione, esso non potrebbe più operare e non sarebbe pertanto consentita la ricostruzione (110). I ealtà, l’Auto e (111) che per primo e più compiutamente ha sostenuto questa tesi se, da un lato, esclude – come si è visto – che a fronte della costruzione già eseguita sia ammissibile una i u zia al di itto di supe fi ie, dall’alt o a ette la i u zia ilità sia pu e ife ita o a uest’ulti o di itto, e sì alla p op ietà tout court. Una volta esercitato il diritto di superficie – si afferma – e quindi una volta che esso ha prodotto i suoi effetti, vi è una forma di proprietà autonoma immobiliare (separata o superficiaria, a seconda del caso), la quale è di per sé suscettibile di rinunzia. Gli effetti di tale atto saranno, dunque, quelli propri di una rinunzia al diritto di proprietà su u i o ile, ovve osia il so ge e dello stato di va a za e l’a uisto, a titolo o igi a io, i “tato, ai se si dell’a t. . . o a ette do l’o di a e to he u e ei apo allo o ile dive ti res nullius) (112). Altra parte della dottrina (113), invece, respinge – condivisibilmente – la tesi che distingue tra proprietà superficiaria e proprietà separata, ritenendo che si tratti di un diritto reale unitario. In particolare, si afferma che «il proprietario di una costruzione che insista sul suolo altrui può conservarla nello stato in cui si trova, in quanto abbia nello stesso tempo un diritto sul suolo. Senza questo diritto rimarrebbe e sì es lusa l’eve tualità dell’a essio e, suolo pot e a il p op ieta io del e se p e esige e la i ozio e dell’edifi io se o do lo spi ito degli a t. -937) e sarebbe inoltre autorizzato a compiere sul suolo e nel sottosuolo qualsiasi atto di godimento, a he se fosse pe p egiudi a e la sta ilità dell’edifi io» (114). “e o do uesta i ost uzio e, pe ta to, o ha agio d’esse e la disti zio e t a p op ietà separata e proprietà superficiaria, perché in ogni caso esiste un diritto sul suolo. Una volto ost uito l’edifi io, la posizio e di hi lo ha ost uito e la posizio e di hi lo ha a uistato già costruito è la medesima, essendo entrambi proprietari di esso e potendo entrambi mantenerlo sul suolo in forza di un diritto vantato nei confronti del dominus soli (115). Respinta, dunque, la distinzione tra proprietà separata e proprietà superficiaria, ed affermato che il titolare della costruzione ha anche un diritto sul suolo, questa dottrina ammette la rinunziabilità del diritto spettante al proprietario superficiario anche successivamente alla ulti azio e dell’edifi io (116). Conseguenza di tale atto è – secondo questi autori – il ip isti o del p i ipio dell’a essio e e du ue l’a uisto della ost uzio e da pa te del p op ieta io del suolo (117). “i espi ge, difatti, la tesi della va a za e dell’a uisto i apo allo “tato ex art. 827 c.c., in quanto la superficie, come tutti di diritti reali minori, costituisce un limite che comprime il diritto di proprietà, il cui venir meno (per rinunzia) non può he o po ta e l’espa sio e di uest’ulti a, secondo il principio di elasticità del dominio. Né alla rinunzia potrebbe conseguire una vacantia in ua to o ’ soluzio e di o ti uità t a uesta e l’espa sio e della p op ietà (118). Autorevole dottrina (119), poi, iti a do la tesi dell’a uisto i apo allo “tato, o ietta he essa non tiene conto del fatto che la costruzione forma giuridicamente una cosa sola col suolo e che in tanto appartiene ad un soggetto diverso dal dominus soli, in quanto – come si è visto – a h’egli può va ta e u di itto sul suolo. “i affe a, du ue, he «l’a a do o della ost uzio e o p e de la i u zia a uesto di itto, o e la i u zia a uesto di itto i pli a l’a costruzione, a meno che non siano limitati i suoi effetti all’o a do o della ligo di i uove la dal suolo. Di conseguenza la proprietà del suolo si riespande e assorbe anche la costruzione in virtù del p i ipio dell’a essio e eso all’appli azio e dell’a t. . . No p op ietà i (120) uova e te ope a te. Nessu o ilia e o dete a po uesto, d’alt o de, l’u i o aso i i a il su e t o dello “tato, ui l’a i a e du ue a do o di u a a l’a uisto da pa te di u p ivato» . “e o do l’opi io e p efe i ile, du ue, a issi ile u atto di i u zia al diritto di proprietà superficiaria, la cui conseguenza (si badi, indiretta e riflessa, ma dovuta ai principi che informano il nostro ordinamento, essendo la rinunzia causalmente diretta solo e soltanto alla dismissione della situazione giuridica soggettiva sa à l’a uisto della p op ietà della ost uzio e i capo al proprietario del suolo (il quale potrà, poi, nei limiti in cui lo si ammetta, rinunziare al diritto così acquistato a titolo originario). Come ogni ipotesi di rinunzia ad un diritto reale, infine, ai sensi del combinato disposto degli a tt. , o a , . e , o a , . . . l’atto dov à ave e ad substantiam la forma scritta e dovrà essere trascritto nei registri immobiliari (121). 6. La rinunzia al diritto di enfiteusi L’e fiteusi, o e oto, il di itto di gode e di u fo do o l’o ligo di iglio a lo e di pagare un canone periodico in denaro o in natura. La sua pe ulia ità si i dividua ella st etta o essio e t a l’aspetto eale del di itto il godi e to del fo do e l’aspetto obbligatorio (gli obblighi di miglioramento e di pagamento del canone). Co e t a do l’atte zio e sul te a della i u zia, essu a pe ulia ità p ese ta la figu a del concedente, il quale risulta titolare del diritto di proprietà, sia pure limitato dal concorrente diritto dell’e fiteuta. No può he i hia a si, du ue, ua to già detto o ife i e to alla i u zia al diritto di proprietà (122). La dott i a i ve e divisa i a la i u zia ilità del di itto da pa te dell’e fiteuta. Più precisamente, tutti ne riconoscono la rinunziabilità, ma con limiti diversi. Per alcuni (123) se a pote si a ette e u a ge e ale i u zia ilità da pa te dell’e fiteuta, essendo titolare di un diritto di natura disponibile. Si argomenta alla luce degli artt. 1350 e 2643 c. ., i uali fa o ife i e to agli atti di i u zia ai di itti e zio ati ei u e i p e ede ti , se za disti gue e t a di itto del o ede te e di itto dell’e fiteuta. “i i hia a, i olt e, l’a t. . ., il uale o se te a uest’ulti o di dispo e del proprio diritto, per atto tra vivi o a causa di o te, affe a dosi he se l’e fiteuta può dispo e del p op io di itto i favo e di alt i, o si vede il perché non potrebbe rinunziarvi. Si esclude, infine, che possa costituire ostacolo alla esa e l’esiste za di o rinunzia i ligazio i i apo all’e fiteuta i obbligazioni propter rem, esse so o soggette ad esti zio e edia te a ua to, t atta dosi di a do o del di itto ui sono legate. Altra dottrina (124) , invece, pur ritenendo gli argomenti esposti pienamente condivisibili in astratto, rileva che occorre, in concreto, confrontarsi con il diritto positivo. E il legislatore (già con l’a t. del odi e ivile del ed oggi all’a t. . . sta ilis e he se pe ita u a pa te notevole del fondo e il canone risulta sproporzionato al valore della parte residua, l'enfiteuta, secondo le circostanze, può chiedere una congrua riduzione del canone, o rinunziare al suo diritto, restituendo il fondo al concedente, salvo il diritto al rimborso dei miglioramenti sulla parte residua. La domanda di riduzione del canone e la rinunzia al diritto non sono ammesse, decorso u a o dall'avve uto pe i e to . Secondo tale dottrina, dunque, essendoci una espressa previsione di legge al riguardo, la i u zia all’enfiteusi sarebbe possibile solo nel caso e alle condizioni da essa previste. Laddove ueste a hi o, l’e fiteuta o pot e e u ilate al e te dis ette e il p op io di itto e osì liberarsi delle obbligazioni. Si ammette, tuttavia, la validità di un patto he i o os a all’e fiteuta tale facoltà (125). La ratio che giustifica tale limitazione della facoltà di rinunzia si rinviene, secondo tali autori, in ciò, che il diritto di enfiteusi si connota, quanto alla sua natura, per un profilo reale ed un profilo o ligato io ileva te, i pa ti ola e, l’o ligo di iglio a e il fo do . E se ulla si oppo e alla libera dismissione dei diritti reali, salvi i limiti previsti dalla legge, si esclude, invece, che si possa rinunziare ad un obbligo. In altri termini, guardando al profilo reale, sarebbe possibile la rinunzia al diritto da parte dell’e fiteuta; gua da do, i ve e, al p ofilo o ligato io, uest’ulti o, o e og i de ito e, o può unilateralmente rinunziare al debito. Egli – si afferma - «potrà rinunziare solo a uei di itti he o o u o po ti o u ’alte azio e e ue u p egiudizio ella posizio e giu idi a e pat i o iale dell’alt o soggetto» (126). Pe uesto otivo il legislato e si p eo upa di p evede e esp essa e te u ’ipotesi i ui, eccezionalmente, al ricorrere di particolari circostanze, possa ammettersi una rinunzia che operi con riferimento al diritto nel suo complesso, sia con riguardo al profilo reale, sia, soprattutto, con riguardo al profilo obbligatorio. Ciò, del resto, si verifica anche in altre fattispecie in cui il legislatore interviene esplicitamente per consentire un atto di rinunzia che incida anche sul rapporto obbligatorio (cd. rinunzia liberatoria), come nelle ipotesi degli artt. 882, 1070, 1104 c.c. (127) Ciò, secondo autorevole dottrina (128), o po e i du io la o figu azio e dell’o ligazio e g ava te sull’e fiteuta uale obligatio propter rem. Rimane sempre vero, difatti, che la stessa si trasmette col diritto di enfiteusi ad ogni successivo acquirente, anche a titolo particolare, e senza isog o del o se so del di itto eale edito e. La fa oltà, i ve e, di li e a si dell’o da o side a e u a a atte isti a atu ale, ligazio e dis ette do il a o esse ziale dell’obligatio propter rem: essa opera di regola, ma può mancare laddove la legge o la volontà delle parti la escludano. In definitiva, la sussistenza del profilo obbligatorio nel diritto in esame impedisce, secondo la ricostruzione preferibile, la libera rinunziabilità da parte del suo titolare. È necessaria infatti una esp essa p evisio e di legge pe h il de ito e possa li e a si dell’o del edito e. Pe ligazio e se za il o se so o segue za, l’e fiteuta pot à u ilate al e te i u zia e al p op io di itto u i a e te ell’ipotesi o te plata dal legislato e all’a t. . ., ovve osia i aso di pe i e to parziale del fondo. 7. La rinunzia al diritto di usufrutto La fattispecie forse più frequente di rinunzia abdicativa ad un diritto reale è quella relativa al diritto di usufrutto (129) . Dottrina (130) e giurisprudenza (131) pacificamente ne ammettono la rinunziabilità, trattandosi di un diritto patrimoniale disponibile e stante la mancanza di una norma che disponga in senso contrario (132) (133) . La conferma della rinunziabilità (134), qui come per gli altri diritti reali, viene individuata negli artt. 1350 e 2643, i quali menzionano gli atti di rinunzia ai diritti reali di cui ai numeri precedenti, tra cui si annovera anche il diritto di usufrutto. Vi è poi una disposizione che espressamente fa riferimento alla i u zia al di itto i esa e. “i t atta dell’a t. . ., se o do il uale se l’usuf utto essa, t a l’alt o, pe i u zia, l’ipote a ostituita su di esso pe du a fi o a he o si ve ifi hi l’eve to he av e e alt i e ti p odotto l’esti zio e dell’usuf utto. U dis o so dive so si fa, i ve e, o es lusa i ife i e to all’usuf utto legale, la ui i u zia ilità ua to i e e te all’ese izio della potestà oggi espo sa ilità ge ito iale (135) . Con riferimento alla sua natura giuridica, una risalente dottrina (136) configurava la rinunzia al diritto di usufrutto come una offerta di cessione ritenendo necessaria, per la sua efficacia, l’a ettazio e da pa te del udo p op ieta io. L’opi io e de isa e te p evale te (137) sostiene invece la natura unilaterale del negozio in esame. Esso, come ogni forma di rinunzia abdicativa, richiede per la sua perfezione unicamente la volontà del soggetto titolare del diritto dismesso. Non occorre alcuna forma di accettazione (138), altrimenti non si tratterebbe di rinunzia, ma di una alienazione. “e l’u ilate alità ele e to suffi ie te e te pa ifi o, al ua to o t ove so se l’atto i questione debba essere portato a conoscenza del nudo proprietario al fine di produrre i suoi effetti ed quindi assuma carattere recettizio. Parte della dottrina (139) sostie e la tesi positiva, ualifi a do la i u zia all’usuf utto uale negozio recettizio. Si afferma, al riguardo, che la conoscenza del nudo proprietario sarebbe e essa ia dete he dov e i a dosi, i e appli a si l’a t. o segue za dell’atto, la riespansione della nuda proprietà . ., uale o (140) e a di po tata ge e ale (141). Si richiama, inoltre, una esigenza pratica, ossia agevolare al nudo proprietario il reperimento del titolo ai fini della trascrizione (nel presupposto che sia costui che vi provveda in quanto interessato) (142). La tesi su esposta non convince. Come si è già avuto modo di sostenere, la rinunzia abdicativa produce quale effetto diretto unicamente la dismissione del diritto soggettivo. Nessun effetto causalmente connesso al negozio si produce in capo al nudo proprietario. La stessa opera con riferimento al diritto di usufrutto, e va dunque coerentemente ricostruita, allo stesso modo con cui opera in relazione alla proprietà ed agli altri diritti reali. Solo la presenza di una obbligazione in senso tecnico – qui assente – può condurre ad affermarne la recettizietà. Né convincono gli argomenti sopra ricordati. Non la riespansione della nuda proprietà che come si è detto e come si dirà meglio costituisce un effetto meramente indiretto e legale della i u zia. No il i hia o all’a t. . ., la ui appli a ilità p esuppo e isolta a o te la atu a e ettizia dell’atto e o può esse e a go e to a sosteg o di tale atu a. No i fi e l’esigenza pratica di agevolare la trascrizione, cui normalmente provvederà il notaio a seguito del i evi e to dell’atto di i u zia da pa te dell’usuf uttua io, e he o u ue o può esse e motivo per sconfessare un carattere che discende dalla natura e dalla causa del negozio in esame. Meglio aderire, dunque, alla tesi, pure autorevolmente sostenuta (143), secondo la quale la rinunzia al diritto di usufrutto è un negozio unilaterale non recettizio, produttivo di effetti nel momento in cui è perfezionato, senza che occorra la notifica al nudo proprietario. La natura reale del diritto in questione – si afferma – esclude del resto che possa ravvisarsi un destinatario, trattandosi di un diritto che è efficace erga omnes e non solo nei confronti del nudo proprietario (144) . Se a rigore, dunque, la rinunzia abdicativa ha carattere non recettizio, tanto nel caso del diritto di usufrutto, quanto nel caso di altri diritti reali, ciò non esclude che almeno per ragioni di opportunità si provveda comunque a portare a conoscenza di essa il nudo proprietario, in u ’otti a di e ip o a olla o azio e t a p ivati, sta te le o segue ze ileva ti a he sul pia o fiscale) che si determinano (sia pure mediatamente) nella sua sfera giuridica. Dal punto di vista soggettivo, legitti ato alla i u zia i ovvia e te l’usuf uttua io. Nel aso ui tale di itto sia alie ato la legitti azio e o pete à all’a ui e te (145). Quanto agli effetti del negozio in esame, come già anticipato esso è diretto causalmente unicamente alla dismissione del diritto reale. Il suo unico effetto diretto è la perdita del diritto di usufrutto (146). Quale conseguenza indiretta esso produce la riespansione del diritto del nudo proprietario, il quale ridiventa titolare della proprietà piena (147) . Si tratta comunque di un effetto solo riflesso della rinunzia, dovuto al principio di elasticità del dominio, che tende naturalmente ad espandersi una volta venuto meno il limite che lo comprimeva (148). Autorevole dottrina (149) o testa, al igua do, l’uso del te i e o solidazio e . Questo difatti i pli a te i a e te la iu io e dell’usuf utto e della uda p op ietà i apo alla stessa persona. A seguito della rinunzia, invece, il diritto di usufrutto non si trasferisce al nudo proprietario, ma si verifica unicamente la riespansione del diritto di proprietà in virtù della vis espansiva che lo caratterizza. Trattandosi di un effetto legale connesso alla natura del proprio diritto è da escludere, poi, che il nudo proprietario possa rifiutare la riespansione della proprietà, che si determina inevitabilmente ipso iure (150). Con riferimento al contenuto della rinunzia, la dottrina (151) esclude che possa essere parziale. Una rinunzia limitata ad una quota del diritto ovvero ad una parte materiale della res non esprimerebbe una reale volontà abdicativa che, in quanto tale, non può che essere totale. Risulterebbe inoltre modificato arbitrariamente il diritto, senza il consenso del nudo proprietario. Laddove i ve e l’usuf utto a ia ad oggetto più e i, t atta dosi i ealtà di più diritti di usufrutto, si ammette una rinunzia limitata ad alcuni di tali beni e non agli altri (152). Sotto il profilo formale, nel caso in cui esso abbia ad oggetto un immobile, la rinunzia dovrà avere forma scritta e ne è prevista la trascrizione (153), ai sensi degli artt. 1350, n. 5 e 2643, n. 5, c.c. Ricostruiti la natura ed i caratteri della rinunzia abdicativa al diritto di usufrutto, resta da esaminare il problema, ricorrente, della sua eventuale riconducibilità al novero delle liberalità indirette (154). Una risalente giurisprudenza (155) , confondendo la rinunzia abdicativa con la donazione li e ato ia, ite eva he la i u zia all’usuf utto, se fatta o a i o li e ale ostituisse u a donazione diretta in favore del nudo proprietario che se ne avvantaggia, come tale soggetta ai relativi oneri di forma. Tale tesi è stata giustamente criticata dovendosi distinguere la rinunzia abdicativa, quale atto unilaterale causalmente diretto al dismissione del diritto di usufrutto, dalla donazione liberatoria, che è un contratto stipulato tra usufruttuario e nudo proprietario e fondato sullo spirito di liberalità (156). La stessa giurisprudenza ha successivamente mutato orientamento, escludendo che il negozio di rinunzia possa qualificarsi come donazione diretta e che esso richieda la forma solenne (157) . Dottrina (158) e giurisprudenza (159) oggi prevalenti sostengono invece che la rinunzia al diritto di usufrutto possa configurare una liberalità indiretta. Si badi, ciò non sempre, ma solo ove essa sia ispi ata dall’animus donandi nei confronti del nudo proprietario. Se non vi è uno scopo liberale, ma meramente dismissivo si ha una pura rinunzia e non anche una liberalità indiretta (160) (161) . 7.1 Segue: la rinunzia ai diritti di uso e di abitazione Anche i diritti di uso e di abitazione (162), quali diritti patrimoniali disponibili (163), appaiono suscettibili di rinunzia abdicativa. Anche in questo caso vale il richiamo agli artt. 1350, n. 5 e 2643, n. 5, c.c., dettati in tema di forma scritta e trascrizione (164). La dottrina (165) è concorde nel ritenere che i diritti in questione si estinguano in virtù delle stesse ause p eviste pe l’usuf utto, t a ui si a depo e l’a t. . ., il ove a ovvia e te a he la i u zia. I tal se so uale este de ad essi le o e elative all’usuf utto, i ua to compatibili. Non può che rinviarsi, dunque, alle considerazioni già svolte con riferimento a tale diritto circa la natura ed i caratteri del negozio abdicativo. 8. La rinunzia alla servitù Dottrina (166) e giurisprudenza (167) o o da o ell’i dividua e t a le ause di esti zio e del diritto reale di servitù non espressamente disciplinate dal codice (almeno nella sede propria di queste) la rinunzia (168). Anche in questo caso si tratta di un atto di natura negoziale posto in essere dal titolare della servitù e causalmente diretto a dismette il diritto a lui spettante. In favore della rinunziabilità del diritto in esame (169) depongono, in primo luogo, gli artt. 1350, comma 1, n. 5), e 2643, comma 1, n. 5), c.c., i quali rispettivamente prevedono la forma scritta e la trascrizione degli atti di rinunzia ai diritti reali immobiliari indicati nei numeri precedenti degli stessi articoli, tra i quali rientra anche il diritto di servitù. Si fa leva, in secondo luogo, sul principio generale – già più volte richiamato – di generale rinunziabilità dei diritti patrimoniali, in mancanza di un diverso divieto da parte del legislatore (170). Se non si ravvisano dubbi sulla ammissibilità di tale forma di rinunzia, risulta invece controversa la sua natura giuridica. Parte minoritaria della dottrina (171), sia pur autorevole, e parte della giurisprudenza (172) ne hanno affermato la bilateralità. Si è affermato, in particolare, che soggetto passivo del negozio in esame sa e e il p op ieta io del fo do se ve te, o testa do l’a go e to o t a io fa e te leva sul carattere erga omnes del di itto eale. «Al pa i dei appo ti o ligato i, ’ u soggetto he si avvantaggia direttamente ed immediatamente della rinuncia, ossia il proprietario attuale del fondo» (173). I diritti reali limitati, secondo questo orientamento, come non possono sorgere per atto unilaterale, così non potrebbero estinguersi per volontà del solo soggetto titolare dei medesimi (174) . La rinunzia, dunque, non avrebbe in questo caso natura meramente abdicativa, bensì attributiva, in quanto il fondo servente viene a trovarsi in una situazione giuridica nuova, riacquistando facoltà prima mancanti. L’auto evole Auto e p opo e a he u aff o to o la e issio e del debito in cui la facoltà del debitore di non profittarne dimostrerebbe come non sia possibile, in generale, rinunziare ad un diritto prescindendo dalla volontà del soggetto che si giova della rinunzia (175). Sulla base di tali argomentazioni il negozio di rinunzia alla servitù viene ricondotto ai o t atti esti tivi di u appo to giu idi o pat i o iale, ui fa e o l’a t. . . “olo i via di mero fatto potrebbe ammettersi una rinunzia unilaterale, la quale non avrebbe tuttavia effetti estintivi, venendo in rilievo a tal fine solo il non uso protratto nel tempo. La dottrina prevalente (176) ed altra parte della giurisprudenza (177) sostengono, invece, la natura unilaterale del negozio di rinunzia alla servitù. È unicamente il soggetto titolare del diritto di servitù che ha il potere di dismetterlo, senza che occorra alcuna cooperazione da parte di terzi. In particolare, è da escludere che sia necessaria una accettazione da parte del proprietario del fondo servente (178), il quale sì ne trae un beneficio, ma (come più volte detto per ogni fattispecie di rinunzia abdicativa) non in virtù di un rapporto immediato e diretto con la rinunzia. Il vantaggio per il terzo è solo una conseguenza riflessa della rinunzia, dovuta al principio di elasticità del dominio. Venuto meno il diritto di servitù a seguito della rinunzia, il diritto di proprietà sul fondo servente riacquista la sua dimensione originaria (179). Viene anche criticato il riferimento alla remissione del debito, dal momento che in tema di diritti eali il legislato e, a diffe e za di ua to sta ilito dall’a t. . ., o ha p evisto al u a forma di dichiarazione da parte del soggetto avvantaggiato dalla rinunzia (180) . Anzi, in senso contrario, e dunque nel senso della unilateralità, depongono i citati artt. 1350 e 2643 c.c., i quali o fa o ife i e to ai o t atti di i u zia, e sì agli atti di i u zia ai di itti eali immobiliari. Posto, dunque, che la rinunzia alla servitù si configura – almeno secondo la tesi preferibile – quale atto unilaterale, può discutersi anche in questo caso se essa debba, per la sua efficacia, essere portata a conoscenza del proprietario del fondo servente e quindi abbia natura recettizia. Parte della dottrina (181) itie e he l’atto i esa e av e e atura di dichiarazione recettizia, da otifi a e al p op ieta io del fo do se ve te. Quest’ulti o i fatti, a he se o deve p esta e il suo o se so, e ta e te i te essato all’atto e deve ui di esse e i fo ato. Da tale assu to consegue, inoltre, la possibilità del rinunziante di revocare la sua dichiarazione fino a che la stessa non sia giunta a conoscenza del destinatario. Altra parte della dottrina (182) nonché alcune pronunce giurisprudenziali affermato il carattere non recettizio della dichiarazione in esame. (183) hanno invece In tal senso si richiama, anzitutto, la natura della servitù che, quale diritto reale, sarebbe efficace erga omnes, senza che possa individuarsi un soggetto interessato che sia destinatario della dichiarazione di rinunzia (184). Anche volendo individuare tale soggetto, come fa parte della dottrina (185), nel proprietario del fondo servente, si esclude che egli sia direttamente interessato dalla rinunzia. Come già detto, infatti, gli effetti che si producono nella sua sfera giuridica sono solo indiretti e riflessi e non causalmente prodotti dal negozio in esame (186) . Ciò esclude che egli debba essere notiziato dell’avve uta i u zia da pa te del titola e della se vitù. Co e auto evol e te affe ato, i fatti, l’i te esse di ostui «è che si estingua il diritto (servitù od altro diritto parziario) e non già che sia i fo ato dell’esti zio e» (187). Per quanto attiene alla legittimazione soggettiva al compimento del negozio in esame è indubbio che essa spetti, in primis, al proprietario del fondo dominante, in quanto titolare del diritto di servitù (188). Nel caso in cui il fondo dominante spetti a più soggetti in comproprietà è pacifico che per la rinunzia alla servitù occorrerà il consenso di tutti (189). Laddove invece essa fosse compiuta da un solo condomino si è ritenuto in dottrina (190) di appli a e pe a alogia il p i ipio fissato dall’a t. 1059 c.c. per il caso di costituzione della servitù. Il rinunziante (nonché i suoi eredi e aventi causa) non potrà, cioè, esercitare la servitù, pur conservandone la titolarità. Essa si estinguerà o con il sopraggiungere della rinunzia anche da parte dei restanti condividenti ovvero nel caso in cui il fondo dominante sia assegnato al rinunziante in sede di divisione (191). Parte della dottrina (192), al riguardo, distingue in realtà due ipotesi. La prima è quella in cui il rinunziante abbia voluto subordinare ogni effetto della rinunzia al consenso degli altri comproprietari, non producendo medio tempore la sua dichiarazione alcun effetto, reale o personale. La seconda è quella in cui il comproprietario abbia voluto rinunziare indipendentemente dagli altri, producendo in tale caso la sua dichiarazione quegli effetti meramente obbligatori sopra indicati. Laddove il fondo dominante risulti gravato da ipoteca, escluso ovviamente che legittimato alla rinunzia sia il creditore ipotecario non vantando alcun diritto autonomo sulla servitù, ope e a o i p i ipi della t as izio e. Nel aso i ui la i u zia sia t as itta dopo l’is izio e ipotecaria, la prima non sarà opponibile al creditore che potrà far vendere il fondo come se la servitù fosse ancora esistente (193) . Nel caso in cui invece sia la trascrizione della rinunzia a p e ede e l’is izio e ipote a ia sa à la p i a a p evale e, o pote do il creditore espropriare il bene comprensivo della servitù. Anche nel caso in cui il fondo dominante risulti gravato da usufrutto, varrà la regola della priorità della trascrizione per stabilire se la rinunzia alla servitù da parte del nudo proprietario sia oppo i ile all’usuf uttua io. I a a za di t as izio e, se o do al u i (194) la servitù si estinguerebbe comunque, salva una eventuale responsabilità del rinunziante nei confronti dell’usuf uttua io. “e o do alt i (195), i ve e, l’usuf uttua io a terrebbe una ingerenza sul fondo servente (eventualmente ricostruibile come servitù temporanea collegata al suo diritto ed avente lo stesso o te uto di uella oggetto di i u zia , he ve à e o solo o l’esti zio e dell’usuf utto o pe i u zia da pa te dell’usuf uttua io. I aso di i u zia da pa te dell’usuf uttua io alla se vitù ostituita dal udo p op ieta io e to he uest’ulti o o ve ga p egiudi ato, o ti ua do il di itto a sussiste e ei suoi confronti. Si ammette, invece, che tale rinunzia fa ia pe de e all’usuf uttua io il va taggio he egli trae dalla servitù, non potendo più esercitarla (196). Laddove, i ve e, la se vitù sia ostituita dall’usuf uttua io o dal alt o titola e di u di itto reale limitato), la dottrina ammette la rinunzia da pa te di esti gue e e la se vitù, a i pedi e uest’ulti o he tuttavia o e solo all’usuf uttua io di gode e. Esse do la se vitù costituita a favore del fondo, infatti, di essa profitta anche il nudo proprietario (il quale a sua volta potrà rinunziarvi a termine iniziale) (197). U agio a e to a alogo a uello fatto pe l’usuf utto vie e p oposto i dott i a pe il aso in cui il fondo dominante sia gravato da enfiteusi (198). Il conflitto tra rinunziante ed enfiteuta sarà risolto in base alla priorità delle trascrizioni. In mancanza, per alcuni la servitù si estingue o u ue, salvo il isa i e to dei da i agio ati all’e fiteuta; pe alt i l’e fiteuta o se va u di itto di i ge e za sul fo do do i a te. La i u zia dell’e fiteuta, i ve e, on può ledere il concedente: egli «può rinunziare alla servitù con efficacia limitata alla durata del suo diritto, ma estinto questo, la servitù risorge» (199). Laddove il fondo dominante risulti gravato da un diritto di superficie, parte della dottrina (200) sostie e he isog e e e disti gue e t a se vitù ostituite a va taggio del suolo o dell’edifi io. Rispetto a queste ultime sarà possibile la rinunzia da parte del superficiario, non pregiudicando il dominus soli. Rispetto alle prime, invece, sarà possibile la rinunzia da parte del proprietario del suolo, purché ciò non leda il diritto del superficiario. Altra parte della dottrina (201), invece, ritiene applicabili anche in questo caso i principi della trascrizione. Esaminando il caso particolare in cui la trascrizione della rinunzia segua quella dell’atto ostitutivo del di itto di p op ietà supe fi ia ia, tali Auto i uovo o dalla o side azio e he, u a volta ostituitasi la p op ietà supe fi ia ia, l’o igi a ia se vitù si s i de e e i due distinte se vitù, u a i favo e del suolo, l’alt o i favo e dell’edifi io (202). La rinunzia ad una di esse, pe ta to, o esti gue e e l’alt a e vi eve sa (203). Resta da esaminare il tema della forma della rinunzia alla servitù (204) . Per espressa disposizione di legge risulta necessaria la forma scritta, a pena di nullità (art. 1350, comma 1, n. 5, c.c.). Non occorrono formule sacramentali, sempreché la volontà di rinunziare al diritto risulti in modo inequivoco. Si ammette, anzi, che essa possa risultare anche implicitamente purché da un atto avente forma scritta (205). Non risulta possibile, invece, una rinunzia tacita (206) desumibile – cioè – da fatti concludenti, come in tutti i casi in cui risulta prescritta una certa forma ad substantiam. Ai se si dell’a t. , o a , . , . . sa à i fi e e essa ia la t as izio e dell’atto di rinunzia alla servitù, ai fini della sua opponibilità ai terzi (207). 8.1 Segue: l’abbandono del fondo servente L’istituto dell’a a do o del fo do se ve te (208) va nettamente tenuto distinto rispetto alla fattispecie esaminata nel paragrafo precedente, ovverosia il negozio di rinunzia al diritto di servitù da parte del suo titolare. Quest’ulti o, o e si visto, ha a atte e pu a e te a di ativo ed posto i esse e dal soggetto p op ieta io del fo do do i a te. Il p i o, i ve e, o iuga all’effetto a di ativo uello li e ato io dall’o ligazio e di paga e to delle spese (209) ed è posto in essere dal soggetto proprietario del fondo servente. L’istituto i esa e (210), regolato dall’a t. . ., isulta esse e u o dei più o t ove si del nostro diritto, essendo state sostenute le più disparate tesi circa la sua natura ed i suoi caratteri, ta to da po ta e u auto evole Auto e a defi i lo u a u iosità giu idi a (211) . In questa sede si cercherà di ricostruire sinteticamente le posizioni assunte dagli interpreti con riferimento a tale disposizione, senza pretese di esaustività, al limitato fine di coglierne le differenze con la fattispecie della rinunzia abdicativa al diritto di servitù, di cui si sono già evidenziati i tratti caratterizzanti nel paragrafo che precede. Ciò p e esso, se pi o o a dove oso uove e dal dato o ativo. L’a t. a, he il p op ieta io del fo do se ve te, ua do . . sta ilis e, al te uto in forza del titolo o della legge alle spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, può sempre liberarsene, i u zia do alla p op ietà del fo do se ve te a favo e del p op ieta io del fo do do i a te . La p i a u iosità he l’istituto in esame presente è di natura terminologica. Sebbene tradizionalmente si parli di abbandono del fondo servente e sebbene così sia rubricato il citato art. 1070 c.c., la più attenta dottrina (212) o testa l’uso di tale te i e. L’a a do o, i fatti, che costituisce un atto giuridico in senso stretto, si attaglia unicamente ai beni mobili, mentre con riferimento ai beni immobili la dismissione del diritto richiede un atto a carattere negoziale, ossia la rinunzia. E ciò è tanto vero che lo stesso art. 1070 c.c., discostandosi dal previgente art. 643 del codice del 1865, non parla nel testo di abbandono, bensì di rinunzia alla proprietà del fondo servente. Chiarito dunque che si tratta di un atto di rinunzia e non di abbandono, può osservarsi che il presupposto della sua operatività sta in ciò, che il proprietario del fondo servente sia gravato delle spese e essa ie pe l’uso o pe la o se vazio e della se vitù, i fo za del titolo o della legge. Di tale obbligazione viene tradizionalmente affermato il carattere reale o propter rem, servendo il rapporto con la res ad individuare la persona del debitore. Il debitore è tale, dunque, in quanto titolare del fondo servente. La ealità spiega il e a is o alla ase dell’istituto i esa e: esse do il de ito e obbligato (213) in quanto titolare del fondo, rinunziando a questo egli si libera anche dal debito . Anche in questo caso (come già evidenziato in tema di rinunzia liberatoria alla quota di comproprietà ex art. 1104 c.c.), la liberazione dalle obbligazioni già sorte da parte del debitore senza il consenso del creditore impone e giustifica la necessità di una espressa norma che consenta tale effetto. L’a t. . ., o u a te i ologia fo se u po’ e uivo a, sta ilis e he la i u zia sia fatta a favo e del proprietario del fondo dominante. Sulla base di tale dato normativo la dottrina ha e ato di i ost ui e la atu a giu idi a dell’istituto off e do le più sva iate soluzio i. Un parte della dottrina (214) sostiene la tesi cd. contrattualistica. Si è affermato, in particolare, che la rinunzia, di per sé atto unilaterale, sarebbe tale da convertirsi in una proposta di alienazione in favore del proprietario del fondo dominante nel momento in cui da questo sia accettata. Sarebbe una proposta o una offerta di acquisto che contiene in sé una rinunzia irrevocabile, la quale produrrebbe il suo effetto di liberazione delle spese appena emessa, senza tuttavia esti gue e il di itto di p op ietà sul fo do se ve te. “olo al dell’o lato si t asfe i e e la p op ietà i favo e di o e to dell’a ettazio e da pa te uest’ulti o ovve o, i a a za, essa spetterebbe allo Stato. A ciò si obietta, tuttavia, che la ricostruzione in chiave contrattualistica contrasta con la lettera e la ratio dell’a t. . ., il uale o parla di proposta, ma di rinunzia e soprattutto è volto a tutelare il debitore, il cui interesse sarebbe evidentemente pregiudicato se fosse necessario il consenso del creditore. Sarebbe alquanto anomalo, inoltre, un atto che nasce come rinunzia (unilaterale e he si t asfo a i p oposta solo a seguito dell’a ettazio e, osì contrastando le normali regole di formazione del contratto (215). Per altri (216) , i ve e, si t atte e e di u a i u zia t aslativa, p oduttiva dell’effetto del trasferimento in qua to ese izio di u di itto potestativo. L’o iezio e, tuttavia, he o richiesta alcuna accettazione da parte del creditore e, soprattutto, essa si caratterizza non tanto pe l’effetto t aslativo, he eve tuale, ua to piuttosto pe uello li e atorio che è costante e che a sua volta la distingue dalla rinunzia abdicativa pura. Altra parte della dottrina (217) , infine, riconduce la fattispecie de quo alle obbligazioni con facoltà alternativa. Il debitore proprietario del fondo servente può liberarsi dall’o spese o u ezzo dive so dall’ade pi e to he ligazio e delle ostituito dalla i u zia al p op io di itto. Una facoltà rimessa dal legislatore alla sua libera scelta, che prescinde in quanto tale dal consenso del creditore (così differenziandola dalla datio in solutum) (218). “i pa lato di u a via d’us ita offerta al debitore (219). L’effetto li e ato io o segue, du ue, alla i u zia al di itto di p op ietà del fo do servente, trattandosi di effetti strettamente connessi in funzione della realità che connota l’o ligazio e. No la p op ietà fi o al possi ile a ti ipa e la li e azio e del de ito e, ite e do he egli o se vi o e to dell’a uisto da pa te del edito e; ta to e o possi ile subordinare la liberazione al momento di tale acquisto, essendo ciò in contrasto con il dato o ativo. Il edito e, del esto, può esp i e e la sua volo tà o ife i e to all’a uisto della proprietà del fondo servente, essendo inciso il suo patrimonio; ma non può farlo in relazione all’effetto liberatorio che si produce – stante la previsione normativa – in virtù della sola volontà del debitore (220). La liberazione, inoltre, riguarda non solo – come ovvio – le spese future, ma anche quelle pregresse (221). La liberazione per il futuro, del resto, non avrebbe richiesto alcuna norma espressa, essendo evidente che in ogni ipotesi di rinunzia (anche abdicativa pura) al diritto di proprietà il rinunziante non sarà più gravato pro futuro da tutte quelle obbligazioni che, in quanto propter rem, impli a o l’esiste za del appo to o la res (che la rinunzia recide). La liberazione dalle spese p eg esse, i ve e, ostituis e o e si visto a he a alizza do la fattispe ie di ui all’a t. c.c.) un effetto peculiare della rinunzia liberatoria, la quale necessita di una espressa previsione da parte del legislatore che deroghi al principio generale secondo il quale il debitore non può liberarsi dal debito senza il consenso del creditore. Il negozio in esame, secondo la tesi prevalente (222), ha carattere unilaterale ed è recettizio, dovendo essere portato a conoscenza del proprietario del fondo dominante. Esso dete i a l’i ediata pe dita del di itto di p op ietà sul fo do se ve te e la o segue te li e azio e dall’o ligo delle spese. L’esp essio e a favo e utilizzata dal odi e viene intesa nel senso che il diritto di proprietà viene messo a disposizione del proprietario del fondo dominante perché costui lo acquisti. Tale essa a disposizio e (223) non esclude tuttavia che la rinunzia produca il suo effetto tipico di dismissione del diritto soggettivo. Questo si verifica, ma parallelamente il diritto non viene acquistato ipso iure al patrimonio dello Stato (come accadrebbe a fronte di una rinunzia puramente abdicativa), bensì viene offerto al proprietario del fondo dominante, quasi a compensare il pregiudizio che questi possa risentire. L’esiste za di u desti ata io ui il di itto i u ziato offe to giustifi a il a atte e e ettizio del negozio, dovendo costui essere messo in condizione di accettare o rifiutare (a secondo della dive sa i ost uzio e he si a oglie e di ui si di à a i u zia a di ativa pu a, i eve l’a uisto. E iò a diffe e za della ui l’asse za di u desti ata io he di etta e te su is a gli effetti dell’atto e po ta ad affermare il carattere non recettizio. La dottrina (224) o o da el ite e e he l’atto i esa e de se si dell’a t. , . , . ., e sia soggetto a t as izio e adempimento, peraltro, alcuni (226) i hia a o l’a t. a diritti reali immobiliari; altri u ilate ale dell’atto i (227) (225) a ivesti e la fo . Co a s itta, ai ife i e to a uest’ulti o , . , . . he e zio a gli atti di i u zia i ve e ite go o appli a ile l’a t. . ., sta te la atu a uestio e. Individuati i caratteri principali del negozio di rinunzia posto in essere dal proprietario del fo do se ve te, o o e esa i a e il p o le a dell’a uisto i apo al p op ieta io del fo do dominante. Come detto, infatti, peculiarità di questo tipo di rinunzia (che ne segna il distacco dal tipo della rinunzia abdicativa pura) consiste in ciò, che il diritto dismesso viene messo a disposizio e del edito e. La dott i a tuttavia divisa i a le odalità dell’a uisto. Parte degli interpreti (228) ritengono necessario un atto di accettazione o di appropriazione da parte del proprietario del fondo dominante, in forma scritta e soggetto a trascrizione. Solo per mezzo di una positiva ed espressa volontà di tale soggetto sarebbe possibile la modifica della sua sfera giuridica, in omaggio al principio di intangibilità della sfera giuridica del terzo. Medio tempore, vi sarebbe uno stato di pendenza o sospensione nella titolarità del diritto di p op ietà, he i o da uello dell’e edità p i a dell’a ettazio e. I aso di app op iazio e da esercitarsi nel termine prescrizionale ordinario), il proprietario del fondo dominante acquista la proprietà anche del fondo servente con effetto retroattivo. Se invece rinunzia a tale diritto di appropriazione (ovvero lascia decorrere inerte il termine di prescrizione), la proprietà del bene spetterà allo Stato, essendo integrato il presupposto della vacantia di ui all’a t. . . Altra parte della dottrina (229), invece, esclude la necessità di un atto di accettazione da parte del proprietario del fondo dominante, il quale acquisterebbe il diritti di proprietà sul fondo servente ipso iure. “i t atte e e di u ’ipotesi di egozio sul pat i o io alt ui, a essi oggi alla luce della rivalutazione del principio di intangibilità della sfera giuridica del terzo, il quale può vedersi attribuite situazioni favorevoli senza ma non contro il suo consenso. La libertà di costui (e quindi nel nostro caso del proprietario del fondo dominante) sarebbe tutelata mediante l’att i uzio e del pote e di ifiuta e l’a uisto. Il meccanismo acquisitivo, dunque, richiamerebbe più quello del legato che non quello dell’e edità: a uisto auto ati o, salvo il ifiuto. A soste go di tale o ie ta e to si affe uesto tipo di e a is o si addi e a he eglio all’a uisto di u si golo diritto piuttosto che di un o plesso di appo ti giu idi i. “i può p esu e e, i olt e, l’i te esse del p op ieta io del fo do do i a te all’a uisto. Pe ostui il di itto i uestio e o app ese ta il o ispettivo di u pregiudizio patrimoniale, ormai subito per effetto della rinunzia che ha già prodotto i suoi effetti (abdicativo e liberatorio), ma un vantaggio che si può presumere egli abbia interesse a fare proprio (230) . Di conseguenza – secondo questa tesi – la proprietà del fondo servente, a seguito della rinunzia, verrebbe acquistata automaticamente dal proprietario del fondo dominante. In caso di ifiuto da pa te di uest’ulti o, la p op ietà di esso spette e se si dell’a t. . . I pa ti ola e, i e allo “tato, a titolo o igi a io, ai uest’ulti a ipotesi la se vitù o ti ue e e a sussiste e stante il suo principio di inerenza al fondo, che la rende indifferente ad eventuali variazioni nella titolarità del diritto (231). Il debito relativo alle spese, invece, sarebbe ormai definitivamente estinto per il tramite della rinunzia, senza che possa immaginarsi una reviviscenza in capo allo Stato (232). A prescindere dalle modalità di acquisto del fondo da parte del proprietario del fondo dominante, la dottrina (233) comunque è concorde nel sostenere che al momento di tale acquisto (a seguito di accettazione o immediato), riunendosi in capo al medesimo soggetto la titolarità e del fondo dominante e del fondo servente, la servitù si estingue per confusione (art. 1072 c.c.). Allo stesso odo, l’opinione decisamente prevalente (234) è nel senso di ritenere che si tratti di un acquisto non a titolo originario, bensì derivativo. Si verifica un fenomeno di successione in senso tecnico tra i due diversi soggetti nella titolarità del fondo servente. E ciò si concilia con le già indicate modalità di trascrizione, che avviene non solo contro il rinunziante, ma anche a favore del destinatario della rinunzia, a differenza di quanto in precedenza affermato con riferimento alla rinunzia abdicativa alla proprietà (235). Lì l’effetto pu a e te e se pli e e te dis issivo, o la conseguente assenza di un soggetto direttamente beneficiato dal negozio, porta a preferire la tesi di una trascrizione attuata solo contro il rinunziante. Qui, invece, la presenza di un destinatario, il quale acquista il diritto di proprietà non ex lege ma a titolo derivativo (a differenza dello Stato), conduce inevitabilmente a ritenere che la trascrizione debba effettuarsi non solo contro il rinunziante, ma anche a favore del destinatario della rinunzia. Resta da seg ala e, i fi e, he l’a t. , o a , . ., dispo e do he el aso i ui l’ese izio della se vitù sia li itato a u a pa te del fo do, la i u zia può li ita si alla pa te stessa , o se te a he u a i u zia pa ziale al fondo servente. La dottrina (236), al riguardo, tende ad interpretare estensivamente la disposizione citata, sostenendo che essa vada riferita sia all’ipotesi della se vitù lo alizzata i u a dete i ata zo a del fo do, sia uella he pu g ava te sull’i tero fondo sia esercitata solo su una parte di esso. 9. Conclusioni Tirando le fila del discorso, il presente studio ha cercato di mettere in luce la generale rinunziabilità, salvi espressi divieti di legge, dei diritti reali ed in particolare del diritto di proprietà. “op attutto o più u ife i e to a uest’ulti o, la i u zia pot e aso di s uola he o u ’ipotesi o e a p i a vista appa i e a o ala, eta. Nella ealtà attuale, tuttavia e pu t oppo , essa può dive i e u ’esige za se tita dai p ivati e da iò l’i te esse all’a alisi della sua a issi ilità, della sua disciplina, dei suoi effetti diretti e riflessi. Diversi indici, normativi e non, depongono per la rinunziabilità del diritto di proprietà. Si tratta infatti di un facoltà in cui massimamente si esplica il potere di disposizione spettante al titolare del diritto soggettivo e che non può essere negato in mancanza di un diversa volontà ordinamentale. Con riferimento ai beni immobili, il legislatore prevede anche quale sia la conseguenza, indi etta e iflessa, di tale egozio, ovve osia l’a uisto a titolo o igi a io i apo allo Stato (art. 827 c.c.). In questo caso, poi, non è sufficiente un atto di mero abbandono, ma occorre un apposito negozio giuridico, unilaterale e non recettizio, soggetto a forma vincolata. Ne è anche prevista la trascrizione che, coerentemente con la sua natura puramente abdicativa, dovrebbe avvenire unicamente contro il rinunziante. Le conclusioni non mutano se il diritto di proprietà spetta in comune a più soggetti. Anche in questo caso non può negarsi la rinunziabilità del diritto. La conseguenza indiretta di tale atto sarà tuttavia l’espa sio e i evita ile delle uote dei esta ti o titola i, uale o segue za della natura della comunione. Trattandosi di una incisione solo indiretta della loro sfera giuridica, operante ipso iure, non è possibile concepirne il rifiuto. La rinunziabilità, ammessa con riferimento al più rilevante dei diritti reali (non solo in termini economici, ma anche giuridici), non può che valere anche per i diritti reali di godimento. La differenza si coglie tuttavia principalmente sul piano degli effetti, come sempre, indiretti e riflessi che da essa conseguono. Trattandosi di limitazioni reali del diritto di proprietà, a seguito della rinunzia non può che determinarsi la riespansione di essa, la quale riacquista la sua portata originaria. Ciò ben si coglie con riferimento ai diritti di usufrutto, uso e abitazione il cui venir meno importa la concentrazione del godimento della res in capo al nudo proprietario. Lo stesso fenomeno si realizza tuttavia anche nel caso della servitù e del diritto di superficie, estinti i quali rispettivamente il proprietario riacquista le facoltà prima compresse e riprende vigore il principio dell’a essio e. Un disco so dive so vale, i ve e, pe l’e fiteusi i a elazio e alla uale la i u zia issi ile solo ell’ipotesi testual e te p evista di pe i e to pa ziale del fo do a t. . .. Tale conclusione si collega strettamente alla natura del diritto in questione, in cui si ravvisa una componente obbligatoria che affianca quella reale. Ma ciò, lungi dal mettere in crisi il principio della rinunziabilità dei diritti reali, è pienamente coerente con un altro principio in base al quale non è possibile dismettere unilateralmente (senza il consenso del creditore) una situazione obbligatoria, in mancanza di una norma che espressamente lo permetta. E ciò trova conferma nelle tassative fattispecie di rinunzia cd. liberatoria alla proprietà, in cui il legislatore espressamente interviene per consentire che un negozio unilaterale, il quale di per sé potrebbe determinare solo la dismissione del diritto reale, produca un effetto ulteriore di liberazione da obbligazioni già sorte a carico del rinunziante. Mettendo dunque a raffronto le varie ipotesi qui esaminate, la rinunzia abdicativa manifesta alcuni tratti comuni caratterizzanti. Si tratta, anzitutto, di un negozio unilaterale non recettizio, che non richiede accettazione né deve essere portato a conoscenza di terzi (se non per mere ragioni di opportunità e correttezza nei rapporti tra privati, di cui non può sottacersi il rilievo). Lo stesso, inoltre, è causalmente diretto unicamente alla dismissione del diritto soggettivo. Eventuali conseguenze per i terzi sono effetti solo riflessi e ordinamentali del negozio in esame. La i u zia, o e si già evide ziato, ostituis e e a o asio e e o ausa di essi. E iò contribuisce a spiegare il sopra accennato carattere non recettizio del negozio in esame. Non vi è un diretto destinatario dei suoi effetti. Se un terzo risente in vario modo della rinunzia è solo per via mediata, quale conseguenza della natura del proprio diritto e dei principi generali del nostro ordinamento. La generale rinunziabilità se riguarda i diritti, non così gli obblighi. Nei casi in cui esiste una posizione di debito (come nel diritto di enfiteusi ovvero nelle fattispecie di rinunzia liberatoria, quali quelle di cui agli artt. 1070 e 1104 c.c.) la rinunzia assume una fisionomia diversa. Occorre, infatti, una espressa previsione di legge affinché il debitore possa spogliarsi del debito senza il consenso del creditore. Stante il pregiudizio che questi risente, la dichiarazione di rinunzia deve inoltre essergli portata a conoscenza (e ciò trova conferma anche nella disciplina della remissione del debito, art. 1236 c.c.), assumendo pertanto natura recettizia. La rinunziabilità, in definitiva, costituisce un predicato del diritto reale, costituendo forse una delle residue facoltà di quello ius utendi et abutendi che nel tempo è stato via via eroso, sia pure legittimamente, dal sopravvenire di rilevanti esigenze collettive e dal perseguimento di una funzione sociale della proprietà. Marco Bellinvia ________________________________ 1) MACIOCE, Rinuncia (dir. priv.), in Enc. dir., XL, 1989, Milano, p. 923 e ss.; Cfr. COVIELLO, Manuale di diritto civile. Parte generale, Mila o, , p. , se o do il uale la i u zia «i po ta l’esti zio e del di itto»; R OMANO SALV., Autonomia privata (Appunti), Milano, 1957, p. 88, secondo il quale la rinunzia determina «la estinzione o, quanto meno, il distacco dal rinunciante di un diritto o di un vantaggio giuridico»; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, p. 218; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, Torino, 1910, p. 1, per il quale la rinunzia è «la dismissione di un diritto, che si verifica per effetto della unilaterale volontà del titolare»; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, XV, t. 2, Torino, 1960, p. 299. Contra, L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinuncia, Milano, 2008, p. ss., se o do la uale la i u zia i pa ti ola e ai di itti eali ostitui e e u atto di auto o ia de ole , riconducibile alla categoria degli atti giuridici i se so st etto piuttosto he del egozio giu idi o. “e o do l’Aut i e, i fatti, la volo tà del soggetto igua de e e u i a e te l’atto ed il suo effetto p i a io la dis issio e del di itto , o invece gli effetti ulteriori (consolidazione, accrescimento, acquisto in capo allo Stato) che sono previsti inderogabilmente dalla legge. Il i u zia te sa e e i pote te ispetto a uesti ulti i, o pote do la sua volo tà dete i a e il uovo assetto di interessi, a differenza di quanto accade nel negozio giu idi o i teso uale atto di auto o ia fo te . Pe u a valutazione delle motivazioni economiche, in una prospettiva strategica, che possono indurre alla rinunzia cfr. MASTROIACOVO, La rilevanza delle vicende abdicative nella disciplina sostanziale dei tributi, Torino, 2012, p. 3 ss. 2) PERLINGIERI, Appunti sulla rinunzia, in Riv. not., , p. , se o do il uale «L’effetto esse ziale e osta te he a atte izza la i u zia la pe dita del di itto da pa te del soggetto i u zia te, e t e l’esti zio e dello stesso è effetto secondario, riflesso, eventuale. Rinunziare non vuol dire estinguere il diritto, ance se, normalmente, il diritto in occasione della dismissione si estingue; rinunziare vuol dire solo dismettere il diritto, escluderlo dal proprio patrimonio». Nello stesso senso cfr. MACIOCE, Rinuncia, cit., p. 924 ss., per il quale «la rinuncia, estinguendo il legame di titolarità del soggetto con il diritto, produce indubbiamente la separazione del diritto stesso dal soggetto. [...] Da un punto di vista più generale, il venir meno del soggetto può dar luogo a diverse conseguenza giuridiche, importando ora il semplice mutamento del soggetto, i a e do i alte ata la st uttu a del appo to, o a i ve e l’esti zio e del appo to giu idi o pe il ve i e o della pluralità dei soggetti». 3) “i fa l’ese pio dell’a t. . ., se o do il uale se la essazio e dell’usuf utto si ve ifi a pe i u zia ... l’ipoteca pe du a fi o a he o si ve ifi hi l’eve to he av e e alt i e ti p odotto l’esti zio e dell’usuf utto . 4) Sulla distinzione tra effetto essenziale (che caratterizza la fattispecie), effetto riflesso (che non trova causa nella fattispe ie, a ell’effetto esse ziale ed effetto se o da io he eve tuale ed a ide tale f . P ERLINGIERI, Appunti sulla rinunzia, cit., p. 345 ss.; Per la distinzione tra effetto diretto, effetto riflesso e conseguenze ulteriori del negozio cfr. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 71 ss. 5) Secondo PIRAS, La rinunzia nel diritto privato, Napoli, 1940, p. 164, nella rinunzia «si ha sempre la vera e propria estinzione di una data posizione giuridica che non si trasferisce ad altri o che, se si sia poi eventualmente acquistata da altri, lo è in via originaria ed è certamente diversa da quella nella sua struttura». Cfr. anche MACIOCE, Rinuncia, cit., p. 926; AMMENDOLA, La rinuncia nei suoi vari aspetti, in Amm. it., 1993, 5, p. 762 ss; BARBERO, Rivendicazione di premio di lotteria e carattere giuridico della rinuncia, in Giur. it., 1953, IV, 89; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 86, il quale affe a he «L’effetto p op io di uest’atto o siste ell’esti zio e di u di itto del i u ia te; e uesto effetto si consuma ed esaurisce nella sfera stessa del dichiarante. Il diritto non si perde dal soggetto per trasferirsi ad altri, ma si pe de pe h si esti gue i lui. “eppu e du ue l’atto può p odu e u effetto pe i te zi, tale effetto o i di etta relazione causale con la dichiarazione di rinuncia, ma ne costituisce soltanto una conseguenza riflessa e mediata»; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 37, secondo il quale «La rinunzia non fa che creare le condizioni esterne che, secondo il nostro ordinamento giuridico, rendono ad altri possibile l’a uisto del di itto dis esso: a – quando tali condizioni sorgono – l’a uisto del di itto, dis esso pe pa te d’alt i, si ve ifi a i fo za del di itto, he all’a ui e te stesso può o pete e, o di etta e te, i vi tù della legge, o e si ve ifi a pel diritto di accrescimento; - o in virtù del negozio giuridico stesso, che costituisce il titolo del diritto dismesso, come si verifica nel caso di una sostituzione testamentaria»; MASTROIACOVO, La rilevanza delle vicende abdicative, cit., p. 47 ss., secondo la quale «stante la natura unilaterale della rinuncia, la volontà del rinunciante si esprime attraverso la dismissione del diritto e ad essa i a e li itata a he i te i i di effetti del egozio giu idi o; l’effetto i di etto, eve tual e te di a i himento, dipe de sì dalla volo tà alie a , a solo i te i i di ausa effi ie te e o di effetto, il uale dis e de à integralmente dalla regolamentazione legislativa della fattispecie determinatasi». 6) Cfr. BENEDETTI, Struttura della remissione. Spunti per una dottrina del negozio unilaterale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 3, p. 1316, per il quale «il vantaggio altrui, come si è detto, potrà costituire al più un risultato indiretto della rinunzia, ma, se diventa la causa stessa del negozio che si pone in essere, inevitabilmente si realizza un diverso schema negoziale, che nulla ha più in comune con la rinunzia»; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinuncia, it., p. , pe la uale «l’atto di spogliarsi volontariamente di un proprio diritto può essere inserito in uno schema più ampio e avvenire in cambio di un corrispettivo: in questo caso la rinuncia si configura come una sorta di controprestazione, sia pure a carattere negativo. Appare tuttavia altrettanto evidente che in una simile ipotesi il soggetto non abdica affatto al suo diritto e che pertanto il suo atto o può e ta e te ualifi a si o e di i u ia, o pe lo e o o di i u ia a di ativa ». 7) 8) PERLINGIERI, op. cit., p. 356 ss. MACIOCE, Rinuncia, cit., p. 934 ss.; SICCHIERO, Rinuncia, in Dig. disc. priv., XVII, Torino, 1998, p. 654; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 36; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Tratt. Cicu-Messineo, XI, t. 3, Milano, 1984, p. 137; BENEDETTI, Struttura della remissione, cit., p. 1316; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1962, p. 136 ss.; BARBERO, Rivendicazione di premio di lotteria e carattere giuridico della rinuncia, cit., 89. In giurisprudenza cfr. Cass. 20 dicembre 1974, n. 4382, in Giust. civ., 1975, I, p. 744; Cass. 22 marzo 1962, n. 592, in Rep. foro it., 1962, voce Rinunzia in genere, n. 1; Cass. 24 ottobre 1961, n. 2355, in Rep. foro it., 1961, voce Rinunzia in genere, n. 3; Cass. 26 giugno 1961, n. 1531, in Rep. foro it., 1961, voce Rinunzia in genere, n. 8; Cass. 6 maggio 1955, n. 1272, in Giur. it., I, 1, 1957, 604. 9) Sulla ricostruzione della rinunzia come facoltà di disposizione e non già come diritto potestativo, non determinando alcuna modifica diretta della sfera giuridica altrui v. L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinuncia, cit., p. 8 ss. 10) CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 145 ss. Secondo GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale, Milano, 2002, p. 388, inve e, l’atto a di ativo av e e di pe s atu a u ilate ale, ad e ezio e delle i u zie he comportano il trasferimento della proprietà su beni immobili (es. quella del comproprietario, su cui infra), per le quale sa e e e essa ia l’a ettazio e del soggetto avvantaggiato. 11) 12) PERLINGIERI, op. cit., p. 366 ss. Secondo TORRENTE, La donazione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXII, Mila o, , p. , «se l’o di a e to giu idi o ha, o e deve esse e, la sua e o o ia logi a, e se ... i due effetti voluti, l’esti zione e la sua ripercussione nella sfera giuridica alt ui si p odu o o i fo za della sola di hia azio e del titola e del di itto soggettivo, la eve tuale di hia azio e dell’altro soggetto è priva di giuridica efficienza, ha un valore di mero fatto, altro non esprimendo se non il gradimento della persona che la formula»; Cfr. anche BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 301, secondo il quale «se oggetto della rinunzia è un diritto con soggetto passivo indeterminato (...), allora una cooperazione del soggetto passivo del appo to o più e e o o epi ile; e o ’ agio e di disti gue e, o igua do al otivo del egozio, di pe s i ileva te, se o do he la i u zia avve ga se za, o o , l’i te to di favo i e uella pe so a dete i ata, a vantaggio della uale la dis issio e p odu e oggettiva e te il suo effetto, posto he l’effetto pe a e ide ti o ualu ue intenzione possa nutrire il rinunziante». 13) Sul negozio astratto si veda SCALISI, Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, p. 52 ss.; TROISI, Negozio giuridico, negozio astratto, in Enc. giur. Treccani, XX, 1990; SACCO, Negozio astratto, negozio giuridico (circolazione del modello), nullità e annullabilità, Torino, 1995; BETTI, Astrazione (Negozio astratto), in Nov. dig. it., I, 2, Torino, 1968, p. 1469 ss. 14) 15) 16) 17) MACIOCE, Rinuncia, cit., p. 930. Cfr. anche MOSCARINI, Rinunzia, in Enc. giur. Treccani, p. 5 ss. MACIOCE, op. ult. cit. SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 661; PUGLIATTI-FALZEA, I fatti giuridici, Milano, 1996, p. 41. MOSCO, Onerosità e gratuità degli atti giuridici, Milano, 1942, p. 24 ss.; OPPO, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 293; MACIOCE, Rinuncia, cit., p. 929; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali, cit., p. 224. 18) 19) Sulla forma del negozio di rinunzia si veda, più diffusamente, MACIOCE, op. cit., p. 943 ss. BOZZI, Rinunzia (diritto pubblico e privato), in Nov. dig. it., XV, Torino, 1968, p. 1149; SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 659; MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 3, secondo il quale è proprio il profilo strutturale dei diritti assoluti, quali situazioni soggettive attive cui corrisponde un generico dovere di astensione in capo alla generalità dei consociati, senza che sia identificabile un soggetto passivo del rapporto, che consente la più rigorosa configurazione di un effetto abdicativo. La rinunzia dete i a, i fatti, la fuo ius ita del di itto dalla sfe a giu idi a del i u zia te se za dete i a e l’i e e to di uella di alcun altro soggetto, né in modo diretto, ne in modo indiretto; M ACIOCE, op. cit., p. 942, secondo il quale «la rinunciabilità non è che un modo di essere del diritto soggettivo, riflesso di una qualificazione normativa»; M AIORCA, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, in Co . D’A elio, Firenze, 1943, p. 107 ss.; COVIELLO, Della trascrizione, II, in Il codice civile italiano secondo la dottrina e la giurisprudenza, a cura di FIORE, Napoli-Torino, 1915, p. 368 ss.; BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, p. 406; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 137; BARASSI, Proprietà e comproprietà, Milano, 1951, p. 210; ATZERI, Delle rinunzie secondi il codice civile italiano, Torino, 1910, p. 102 ss.; PIRAS, La rinunzia nel diritto privato, cit., p. 91 ss. 20) Cfr. BOZZI, Rinunzia, cit., p. 1141 e ss., ed i pa ti ola e p. , ove si legge he «La i u zia ilità o e o d’u di itto il iflesso o il isultato di u a ualifi azio e o ativa. A tal igua do di p e i e te i po ta za la atu a dell’i te esse, he uale dato p egiu idi o dete i a l’i te ve to del legislato e: il pe h della p evisio e pad a te dell’o di a e to giu idi o. U di itto soggettivo i u zia ile ua do dal siste a o ativo isulta l’i diffe e za he esso pe a ga o meno nella sfera del titolare. È al contrario irrinunciabile ua do pe la o eta ealizzazio e dell’i te esse he e sta alla ase so o e essa ie l’ade e za e la pe a e za di esso ella sfe a del titola e»; M OSCARINI, Rinunzia, cit., p. 2. Sul problema della rinunziabilità dei diritti futuri cfr. COPPOLA, La rinunzia ai diritti futuri, Milano, 2005. 21) Cfr. ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 105, il quale, scrivendo nel lontano 1910, proprio con riferimento alla rinunzia alla proprietà su beni immobili afferma che «è vero che capita di raro, che il proprietario rinunzi alla p op ietà di u o sta ile e o iò si spiega la a a za el ost o Codi e ivile di u ’esp essa disposizio e, he egoli questo modo di dismissione della proprietà immobiliare. Ciò non toglie, che il bisogno di dismettere la proprietà di un immobile al pari della quota di comproprietà, non solo come inutile, ma altresì come pregiudizievole al proprietario, si presenti nella pratica più frequente di quel che non si creda. Ciò si verifica specialmente in Sardegna per quelle proprietà o iose, he, tassate o e fo este, so o olpite, p i a del taglio, d’u ’i posta g avosissi a: dopo il taglio, esse o sono spesso suscettibili di alcun reddito, pur rimanendo soggette alla stessa imposta. I proprietari spesso, per sottrarsi all’o ligo dell’i posta, i o o o all’espedie te di ve de e ad u ullate e te ueste p op ietà pe u p ezzo i iso io; oi pe ò edia o he, se za i o e e a uest’espedie te di a olla e l’o ligazio e su d’u a pe so a, he di fatto o trovasi in condizione di poterla adempiere, ciò che non sempre riesce facile, sia egualmente possibile, secondo il nostro ordinamento giuridico, di raggiungere lo stesso scopo per mezzo di una rinunzia». 22) 23) Sulla rinunzia liberatoria v. infra, par. 4. Cfr. LENER, La comunione, in Tratt. Rescigno, 8, Proprietà, t. 2, Torino, 2002, p. 348, per il quale «ciò che ha bisogno di spiegazio e, o di espli ito fo da e to o ativo, l’effetto li e ato io, o l’effetto a di ativo o la sua e essa ia conseguenza». 24) Per un analisi della nuova disposizione v. TRIOLA, L’edifi io o do i iale e l’utilizzazio e dei e i o u i, in Tratt. di dir. imm., dir. da VISINTINI, III, La comunione e il condominio, Padova, 2013, p. 206 ss. La nuova norma sembra recepire l’o ie ta e to già sostenuto in giurisprudenza. Si veda, in proposito, Cass. 29 maggio 1995, n. 6036, in Vita not., 1996, 215: «Quando le parti comuni sono necessarie per l'esistenza o per l'uso dei piani o delle porzioni di piano, ovvero sono destinate al loro uso o servizio, non è consentito rinunziare al condominio sulle cose necessarie per l'esistenza o per l'uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva perché, nonostante la rinunzia al diritto, il condomino continuerebbe a valersi delle cose, dei servizi e degli impianti. La rinunzia al solo condominio, perciò, si considera invalida». 25) Cfr. GRECO, in PESCATORE, ALBANO, GRECO, Della proprietà, in Comm. del cod. civ., libro III, t. 3, Torino, 1968, p. 57; FRAGALI, La comunione, in Tratt. Cicu-Messineo, t. II, Milano, 1978, p. 456; LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, Milano, 1993, p. 174 ss. Si veda, inoltre, SCRIMA, Le parti comuni, in Il nuovo condominio, a cura di TRIOLA, Torino, 2013, p. 76 ss. In giurisprudenza, v. Cass. 10 aprile 1996, n. 3294, in Giust. civ., 1996, I, p. 2598, la quale, esaminando una fattispecie in cui ricorreva una rinunzia non alla proprietà delle parti comuni, ma ad un diritto di uso esclusivo del lastrico solare, afferma che «occorre in proposito partire dalla considerazione che nella specie non può trovare applicazione l'art. 1118, secondo comma, cod. civ., in base al quale il condomino non può rinunziare al diritto di comproprietà sulle cose comuni al fine di sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione, per due ordini di ragioni. In primo luogo la norma in questione ha carattere eccezionale rispetto al principio generale stabilito dall'art. 1104, primo comma, cod. civ. e non può quindi essere applicata analogicamente alla ipotesi in cui un condomino non rinunzia al suo diritto di proprietà su una parte comune, ma ad un suo particolare diritto di uso di tale parte comune. In secondo luogo mancherebbe la identità di ratio. La inefficacia della rinunzia di cui all'art. 1118, secondo comma, cod. civ. è ricollegabile alla necessità di evitare che il condomino possa, da un lato, sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni, continuando, dall'altro, ad utilizzarle in quanto essenziali per il godimento della unità immobiliare in sua proprietà esclusiva». 26) “ull’a a do o f . DEIANA, Abbandono (derelictio), in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 5 ss.; BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, cit., p. 403 ss.; FAVARA, Abbandono di fondo, in Nov. dig. it., I, Torino, p. 9. 27) 28) 29) Cfr. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 138. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 404. Ammessa la generale rinunziabilità del diritto di proprietà, quale diritto patrimoniale disponibile, così come più in generale dei diritti reali, un particolare problema che potrebbe porsi riguarda la rinunziabilità dei diritti edificatori. La soluzione al problema non può non risentire delle ricostruzioni circa la natura giuridica di tali diritti. Laddove, dunque, si configuri la cubatura quale facoltà di edificare, che integra il contenuto del diritto di proprietà, non sembra possibile una rinunzia abdicativa, in quanto le facoltà non sono suscettibili di autonomi atti di disposizione (in tale senso v. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 73). Laddove, i ve e, si a eda alla tesi della sussiste za di u di itto eale i o ilia e tipi o, i vi tù dell’a t. , . -bis), c.c., o atipico), la rinunzia sembrerebbe possibile, trattandosi di un diritto che, in mancanza di diversa previsione normativa e dato il suo carattere patrimoniale, appare avere natura disponibile. Ancora più evidente sembra essere la rinunziabilità nel caso in cui si acceda alla tesi della cubatura quale bene. Se questa, infatti, è un bene che forma oggetto di diritti (arg. ex a t. , si av à u o di a io di itto di p op ietà sulla u atu a, i quanto tale suscettibile di rinunzia. Vole do segui e uest’ulti a tesi favo evole alla i u zia ilità, este e e i e ta, tuttavia, la so te della cubatura a seguito dell’atto dis issivo. Appare decisiva, al riguardo, la natura del bene in questione. Laddove si configuri quale bene mobile, cui si applicano per espressa previsione normativa alcune norme dettate con riferimento ai beni immobili, esso dovrebbe diventare nullius a seguito dell’atto i u ziativo, e o e tale sus etti ile di o upazio e. “e, i ve e, lo si o side i uale e e i o ile, effetto i di etto della i u zia dov e e esse e l’a uisto i apo allo “tato, ai se si dell’a t. .c. Sulla rinunzia ai diritti edificatori cfr. TRAPANI, I diritti edificatori, Milano, 2014, p. 21 ss. Sulla natura di tali diritti cfr. TRAPANI, I diritti edificatori, in Riv. not., 2012, 4, p. 795 ss.; AMADIO, I diritti edificatori: la prospettiva del civilista, in I quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2011, 3, p. 42 ss.; LEO, Il trasferimento di cubatura, in Studi e materiali del C.N.N., VI, t. 2, 1998-2000, p. 669. 30) “i fa p ese te he pe al u e Regio i a statuto spe iale p evisto l’a quisto al patrimonio delle Regioni. In particolare, ciò è previsto per il Trentino-Alto Adige a t. , ult. o., del elativo “tatuto, il uale p evede he I e i i o ili situati ella regione che non sono proprietà di alcuno spettano al patrimonio della Regio e ; pe la “i ilia a t. del elativo “tatuto, il uale p evede he I e i i o ili, he si t ova o ella Regio e e he o so o i p op ietà di al u o, spetta o al pat i o io della Regio e ; pe la “a deg a a t. , o a , del elativo “tatuto, se o do il uale I e i i o ili situati ella Regio e, he o so o di p op ietà di al u o, spetta o al pat i o io della Regio e . 31) Tale conclusione trova concorde la dottrina. In tal senso: BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 137; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 86; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 407; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 138; DEIANA, Abbandono, cit., p. 9; GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Tratt. Cicu-Messineo, VIII, t. 2, Milano, 1995, p. 868; BARASSI, Proprietà e comproprietà, cit., p. 210; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, in Trattato della trascrizione, dir. da GABRIELLI-GAZZONI, I, Torino, 2012, p. 254; MAIORCA, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, cit., p. 108; CATAUDELLA, Considerazioni in tema di donazione liberatoria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, p. 760; BARBERO, Rivendicazione di premio di lotteria e carattere giuridico della rinuncia, cit., 91. 32) In tal senso GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 86, per il quale «Se la proprietà di cui il soggetto abbandona la titolarità passa a terzi (es. lo Stato: art. 827 c.c.), ciò avviene a titolo originario ed ex lege»; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 407; MAIORCA, Della trascrizione, cit., p. 108, nt. 1, per il quale «I beni immobili non potrebbero perciò essere mai nullius; ma ciò non toglie che, pur esclusa ogni interruzione nella titolarità, la rinuncia sia estintiva (e non traslativa), mentre l’a uisto da pa te dello “tato a titolo o igi a io pe vi tù di legge»; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 254, secondo il quale «Lo Stato, infatti, acquista automaticamente ex lege la p op ietà dell’i o ile va a te e tale acquisto di certo non può considerarsi a titolo derivativo. Non può ravvisarsi pertanto una vicenda circolatoria in senso st etto pe h t a la pe dita della p op ietà el pat i o io del i u zia te e l’a uisto al pat i o io dello “tato vi soluzione di o ti uità. Titolo dell’a uisto da pa te dello “tato la vacantia e non la rinunzia, che ne costituisce solo un antecedente». In giurisprudenza v. Cass. 11 marzo 1995, n. 2862, in Giust. civ., 1995, I, p. 2077: «L'acquisto dei beni (mobili, immobili e crediti) del defunto da parte dello Stato in mancanza di altri successibili, a norma dell'art. 586 c.c., avviene iure successionis e, quindi, a titolo derivativo, mentre l'acquisto dei beni immobili "che non sono in proprietà di alcuno", previsto dall'art. 827 c.c., avviene a titolo originario. Pertanto, l'art. 67 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, stabilendo che "i beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione", ha apportato deroga all'art. 827 c.c., ma non ha modificato l'art. 586 c.c., che è tuttora in vigore nel territorio di quella regione, operando nel diverso campo della successione a causa di morte». 33) Con riferimento alla responsabilità dello “tato pe le spese e gli o e i elativi all’i o ile oggetto di i u zia, si di recente affermato in dottrina che non potrebbe estendersi il meccanismo di limitazione di responsabilità previsto dall’a t. . . A diffe e za di uest’ulti a ipotesi v. ota segue te , l’a uisto a seguito di i u zia e essa io ed avviene a titolo originario, non derivativo. Lo Stato, dunque – secondo questa ricostruzione – sarebbe pienamente responsabile per le spese di gestione del bene, potendo solo configurarsi, in via eventuale e ricorrendone i presupposti, una responsabilità aquiliana del rinunziante per i danni arrecati. Con riferimento, invece, al possibile pregiudizio per i creditori del rinunziante, si è richiamato, condivisibilmente, il rimedio dell’azio e evo ato ia, o figu a do la i u zia u atto egoziale di disposizio e del e e, sia pu e o attributivo. Per entrambi gli argomenti v. MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, in Vita not., 2013, 2, p. 960. 34) Occorre sottolineare che la fattispe ie a uisitiva i esa e si disti gue da uella p evista, i a ito su esso io, dall’a t. 586 c.c. per il caso di vacanza ereditaria, la quale ha carattere derivativo. In tal senso, Cass. 11 marzo 1995, n. 2862, in Notariato, 1996, 1, p. 18 ss.: «L’i di azio e dello “tato t a i su essi ili ell’a t. . ., la ollo azio e dell’a t. . . el titolo dedi ato alle su essio i legitti e, l’uso del ve o devolve e, adope ato da e t a e tali o e, e la p evisio e del principio secondo cui lo Stato risponde nei limiti del valore dei beni assegnati (art. 586 ultimo comma), sono elementi de isivi pe ite e e he l’a uisto di ui all’a t. avve ga iure successionis e, quindi a titolo derivativo e non costituisca specificazione di quello a caratte e hia a e te o igi a io, o te plato ella disposizio e dell’a t. . .». 35) Escludono la necessità di un atto di accettazione da parte dello Stato, trattandosi di acquisto automatico, M AIORCA, Della trascrizione, cit., p. 108; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 407, il quale cita un caso giurisprudenziale inedito che pertanto si ipo ta testual e te: «I u aso giu isp ude ziale i edito, e a so ta o t ove sia t a l’A i ist azio e fi a zia ia e u contribuente in ordine alle imposte relative ad un immobile. Il contribuente negava di essere tenuto al pagamento di tali i poste i ua to aveva i u ziato all’i o ile o di hia azio e esa al otaio e de ita e te t as itta. L’A i ist azio e epli ava he l’a a do o degli i o ili o po ta il lo o a uisto da parte dello Stato (art. 827 cc) e he pe ta to se za l’a ettazio e di uest’ulti o l’atto sa e e p ivo di effi a ia. Gli i o ili a a do ati passa o infatti in proprietà dello Stato e questo risultato non potrebbe ammettersi in mancanza di una conforme formale volontà dell’A i ist azio e. L’a go e to o o vi e. L’a uisto dell’i o ile i apo allo “tato o effetto dell’atto di abbandono, ma effetto della norma che attribuisce allo Stato la proprietà dei beni vacanti (827 cc), e tale effetto non è quindi subordinato ad alcun atto di accettazione»; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 960, secondo la uale, o u ue, pot e e esse e oppo tu a sia pu o e essa ia u a otifi a dell’atto alla pu li a a i ist azio e a fini conoscitivi. 36) Cfr. GAMBARO, Il diritto di proprietà, it., p. , pe il uale «l’a t. . . e de i appli a ile allo “tato il sop a menzionato] principio della sovranità sulle sfere soggettive di appartenenza immobiliare». 37) 38) 39) SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 655. 40) 41) 42) 43) SICCHIERO, op. ult. cit. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 85; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 945. Si veda, in particolare, quanto si dirà infra, par. 4. Cfr. MACIOCE, op. cit., p. 938. MACIOCE, op. cit., p. 936-937; BOZZI, op. cit., p. 1146; MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 6; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. ss., il uale itie e he la egola sia il a atte e o e ettizio dell’atto di i u zia, ui fa e ezio e pe i fi i che qui interessano) la fattispecie della rinunzia liberatoria, in cui la dichiarazione del rinunziante è qualificata da una funzione he e ede il o ale s he a dell’atto ossia la li e azio e dal de ito ; B ETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 301; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, cit., p. 145; CICALA, L’ade pi e to i di etto del de ito alt ui, Napoli, 1968, p. 188; NOBILI, Le obbligazioni, Milano, 2008, p. 172. Cass. 20 aprile 1965, n. 761, in Rep. giust. civ., 1958, Servitù, n. 72; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, in Foro it., 1957, I, 410. Cfr. MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 6; SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 662; FERRI-ZANELLI, Della trascrizione. Art. 2643-2696, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1995, p. 150 ss.; GAZZONI, La trascrizione immobiliare, I, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991, p. 228 ss.; ID., La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 253 ss.; TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, in Tratt. di dir. priv., dir. da BESSONE, IX, Torino, 2012, p. 82 ss.; MAIORCA, op. cit., p. 108 ss. 44) 45) 46) 47) 48) 49) 50) 51) 52) 53) 54) 55) 56) 57) 58) 59) 60) GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 230 ss. GAZZONI, op. cit., p. 232. GAZZONI, op. cit., p. 233. Si fa presente che il sistema meccanizzato di trascrizione non consente di selezionare quale diritto oggetto di rinunzia il diritto di proprietà, non risultando così possibile utilizzare il codice previsto per questo tipo di atto (146). La soluzione sembra dunque essere quella di far ricorso al codice generico (100). GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 234; TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p. 82; SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 662; FERRI-ZANELLI, Della trascrizione, cit., p. 153. PUGLIATTI, La trascrizione, I, 2, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1989, p. 424 ss. Anche la Circolare n. 128/T del 2 maggio 1995 sulle modalità di compilazione della nota di trascrizione ed iscrizione ipotecaria meccanizzata sembra escludere che la rinunzia ai diritti reali produca effetti traslativi. Al paragrafo 3.4 si affe a i fatti he esta o es luse dall'o ligo della indicazione del regime patrimoniale delle parti le note relative ad atti che, a qualunque titolo, non producono effetti traslativi (pignoramento, sequestro conservativo, domande giudiziali, sentenza dichiarativa di fallimento ed altri provvedimenti in materia fallimentare, provvedimenti amministrativi costitutivi di vincoli ambientali, paesaggistici, archeologici e urbanistici), le note relative ad atti di rinunzia a diritti reali di godimento e quelle relative ai decreti di espropriazione per pubbli a utilità . Si veda supra, par. 3. Cfr. ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 107. Sembrano ammettere la rinunzia abdicativa alla quota, come fattispecie diversa rispetto alla rinunzia liberatoria, L A TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., passim; FRAGALI, La comunione, in Tratt. Cicu-Messineo, t. II, Milano, 1978, p. 458; DOSSETTO, Teoria della comunione. Studio sulla comunione dei diritti reali, Padova, 1948, p. 71 ss; NOCERA, Effetti della rinuncia della quota del bene in comunione ordinaria: negozio abdicativo causalmente autonomo o donazione indiretta?, nota a Cass. 9 novembre 2009, n. 23691, in NGCC, 2010, I, p. 581 e ss.; contra, DOGLIOTTI, I diritti reali, 7, Comunione e condominio, in Tratt. di dir. civ., dir. da SACCO, Torino, 2006, p. 88. Cfr. BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 143. Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 166 ss. Sulla rinunzia liberatoria v. LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 139 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 154 ss.; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 943 ss.; FEDELE, La comunione, in Tratt. dir. civ., dir. da GROSSO-SANTORO PASSARELLI, III, 5, 1967, p. 327 ss.; FRANCO, La comunione ordinaria, in Tratt. di dir. imm., dir. da VISINTINI, III, Padova, 2013, p. 48 ss.; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 407 ss.; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 10 ss.; BARASSI, Proprietà e comproprietà, cit., p. 752 ss.; GRECO, Della proprietà, cit., p. 56 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, in Il diritto privato oggi, a cura di CENDON, Milano, 1997, p. 486 ss.; BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 168 ss.; FRAGALI, La comunione, cit., p. 458; FRAGALI, La comunione, cit., p. 450 ss.; LENER, La comunione, cit., p. 348 ss. DEIANA, Abbandono (derelictio), cit., p. 12. LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 153. Cfr. anche BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156, seco do la uale «se a p odu e l’effetto eale sa e e ui suffi ie te a he u a se pli e i u ia, l’effetto liberatorio non può che derivare, ancora una volta, da un atto col quale il singolo comunista decida di soddisfare l’i te esse dei o edito i el diverso modo consentitogli dalla norma (attribuzione della proprietà del bene nei limiti della sua quota)»; FRANCO, La comunione ordinaria, it., p. , t. , se o do il uale «la i u zia e l’a a do o o sono strumentali alla dismissione della proprietà (o di altro diritto reale), bensì alla liberazione del soggetto debitore dalle gravose obbligazioni poste a suo carico, sì che la divisata dismissione è soltanto il mezzo che il legislatore ha utilizzato per conseguire il fine della liberazione dai debiti»; nonché MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 947 ss. In tal senso v. FEDELE, La comunione, cit., p. 331; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 49; LA TORRE, op. cit., p. 166 ss. Cfr. L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinuncia, it., p. , la uale esa i a do la fattispe ie dell’a a do o del fo do se ve te, pu e o side ato u ’ipotesi di i u zia li e ato ia, affe a he «U a se pli e i u ia o pot e e so ti e tale effetto: è ovvio che il proprietario del fondo servente che avesse rinunciato alla proprietà del fondo non sarebbe più tenuto per le spese necessarie successivamente alla rinuncia, perché si tratta di obbligazioni propter rem, che trovano la loro causa obligandi nella qualifica di proprietario, ma tale liberazione non potrebbe in alcun modo riguardare le spese maturate prima». 61) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 156 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 483; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 49; FEDELE, La comunione, cit., p. 328; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156; FRAGALI, La comunione, cit., p. 453; BARASSI, Proprietà e comproprietà, cit., p. 754; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 88. 62) Escludono espressamente la necessità di accettazione dei comproprietari non rinunzianti: FEDELE, La comunione, cit., p. 328; LA TORRE, op. cit., p. 156; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 949; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; GRECO, op. cit., p. 56. 63) 64) 65) 66) Cfr. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408. Cfr. BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 164; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 483. BRANCA, Comunione, cit., p. 169; GRECO, op. cit., p. 75. LA TORRE, op. cit., p. 156 ss.; FEDELE, La comunione, cit., p. 328; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156, nt. 103, la quale afferma trattarsi di una «rinuncia affatto singolare; con un atto, cioè, il cui scopo è quello di provocare la liberazione del rinunciante e, dunque, un effetto che si ripercuote negativamente nella sfera giuridica degli altri comunisti. Ed è questo aspetto che – sotto il profilo considerato – dovrebbe prevalere (rispetto a quello, positivo, dell’a uisto della uota i u iata , giustifi a do il a atte e e ettizio dell’atto». 67) 68) 69) V. nota 63. 70) Cass. 23 agosto 1978, n. 3931, in Rep. foro it., 1978, Comunione e condominio, n. 92: «La rinunzia abdicativa del pa te ipa te ad u a o u io e, i ua to dete i a l’a es i e to della uota i u iata a favo e degli altri compartecipi, ha una funzione satisfattiva-liberatoria: ne consegue che il rinunziante, con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate e queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti»; Cass. 22 febbraio 1963, n. 424, in Foro it., 1963, 1181 ss., la quale, mettendo in luce il rapporto tra rinunzia liberatoria e comunione, afferma che la rinuncia «lascia inalterato il rapporto di comunione nei confronti degli altri condomini. Lo stato di comunione, insomma, permane, restando solo più limitato il numero dei partecipanti, ma accresciuta la quota di partecipazione degli stessi sulla cosa comune. In altri termini, nel sistema della legge, la rinuncia, ai se si dell’a t. , pie a e te compatibile con lo stato di indivisione della cosa comune». Da ultimo, cfr. Cass. 9 novembre 2009, n. 23691, in NGCC, , I, ss., la uale ha a esso l’a es i e to delle uote dei o p op ieta i non rinunzianti con riferimento alla rinunzia abdicativa tout court. 71) Cfr. Cass. 22 febbraio 1963, n. 424, cit., 1182, ove si legge che «è vero [...] che, nel caso di comunione di proprietà, la i u ia ha o e effetto l’a uisto della uota i u iata da pa te dei o do i i, a si t atta di effetto se o da io e derivato, che non costituisce condicio iuris per il verificarsi del principale effetto liberatorio della derelictio». 72) 73) BRANCA, Comunione, cit., p. 159. V. nota 64. LA TORRE, op. cit., p. 154 ss.; FEDELE, La comunione, it., p. , se o do il uale «L’a es i e to o segue te alla rinuncia, pacificamente ammesso pur nel silenzio del legislatore, si fonda, come è stato ben osservato, sulla considerazione che, se gli altri comunisti non guadagnassero qualcosa come conseguenza della rinuncia di uno di loro, o si spieghe e e più l’effi a ia li e ato ia di uesta»; BARASSI, Proprietà e comproprietà, cit., p. 756; GRECO, op. cit., p. 58; LENER, La comunione, cit., p. 348; BRANCA, Comunione, cit., p. 168 ss.; FRAGALI, La comunione, cit., p. 458; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 11; DEIANA, Abbandono (derelictio), cit., p. 15; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 139 e p. 155 ss.; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 949; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 486; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 48 ss. L’a es i e to i uestio e o alt o he l’espa sio e delle uote dei esta ti o titola i dovuta al venir meno di quella spettante al rinunziante. Il fenomeno in esame, che come si dirà costituisce un effetto legale o ordinamentale connesso alla natura del diritto di comproprietà, non si identifica tuttavia con quello previsto in materia successoria dagli a tt. ss., il uale t ova titolo i u ’esp essa o a di legge ovve o ella volo tà del testato e. I uesto aso, i fatti, manca una disposizione che espressamente preveda tale risultato in caso di rinunzia da parte del comproprietario alla prop ia uota. Il suo titolo , du ue, si i vie e el siste a ed i pa ti ola e ella atu a he la o u io e assu e i esso. Cfr., al riguardo, DOSSETTO, Teoria della comunione, it., p. , t. , se o do il uale il fe o e o «dell’espansione delle quote nella comunione, noto anche come ius adcrescendi spetta te ai si goli o pa te ipi, dev’esse e te uto distinto dal diritto di accrescimento di cui la legge si occupa in materia di successioni [...]. Infatti tale diritto di accrescimento si differenzia essenzialmente dal fenomeno di espansione ex lege delle quote dei partecipanti alla comunione sia per la sua portata, che si limita a talune situazioni che possono verificarsi in tema di diritto ereditario, sia per il fondamento, che – come la prevalente dottrina riconosce – è da ricercarsi in una presunta volontà del testatore, sia i fi e pe il o e to i ui esso ope a, ve ifi a dosi io , di egola, salva u ’e ezio e i te a di usuf utto a t. od. civ. 1865; art. 678 cod. civ. vig.) – antecedentemente alla costituzione della comunione e non già, come invece accade per il fenomeno di espansione delle quote, dopo che la comunione medesima già è stata formata». Si veda anche S ALIS, La comunione, in Tratt. Vassalli, Torino, 1939, p. 8 ss., il quale ritiene tecnicamente inesatto parlare di accrescimento, almeno nel senso che questo termine assume in ambito successorio. Rispetto a questo, «il fondamento del fenomeno di espansione ex lege delle quote dei partecipanti, che si ha nella comunione quando uno di essi rinunzi, è necessariamente assai diverso. Di presunta volontà, non è evidentemente qui il caso di parlare, almeno quando la comunione abbia origini dive se da u atto di volo tà di u dispo e te: l’espansione delle quote si verifica poi dopo che la comunione è sorta, e non già prima he so ga, o e avvie e elle ipotesi di su essio e o a i di ate. Nella o u io e i fatti l’espa sio e delle quote, per effetto della mancanza di un partecipante, non è altro che una delle conseguenze più importanti del fenomeno della contitolarità, e precisamente della tendenza che il diritto ha di acquistare quella pienezza che è sua propria, e che aveva prima che il fenomeno della contitolarità o comunione si verificasse. Il diritto tende a ricostituirsi nella sua integrità i apo ad u titola e u i o, data l’i possi ilità he possa dive ta e res nullius una frazione, in seguito alla rinunzia a di ativa da pa te di u o f a i o titola i». Più he a es i e to si av e e, du ue, se o do l’auto evole Auto e, u a ricostituzio e del di itto ella sua pie ezza. «Di a es i e to e e pa la e solo ua do, ell’ipotesi he esa i ia o, alla quota di un contitolare succedono più altre persone (mortis causa, oppure anche per atto tra vivi, quando il patto di accrescimento sia stato apposto a favo e del supe stite ell’alie azio e di p op ietà e ella ostituzio e o giu tiva di usufrutto) e si verifichi qualcuna di quelle condizioni che la legge richiede perché le quote dei successibili mancanti o rinunzianti si accrescano a favore di quelle dei superstiti». 74) Una fattispecie particolare su cui potrebbe riflettersi è quella in cui il costruttore, in sede di alienazione di un edificio condominiale, si sia riservato la proprietà di porzioni di esso (es. il lastrico) che, in assenza di riserva, sarebbero state di proprietà comune dei condomini. Della legitti ità di tale p assi o ’ da dis ute e, sta te il disposto dell’a t. . ., il uale o se te he dal titolo risulti la volontà delle parti di riservare ad un singolo (il costruttore, un condomino) beni che, altrimenti, dovrebbero considerarsi comuni per la loro struttura o ubicazione. Ora, una volta intervenuta tale riserva, il bene risulta certamente di proprietà esclusiva del soggetto riservante, in quanto tale sottratto al regime del condominio. Si è affermato, in proposito, che «se in occasione del primo atto di frazionamento dell’edifi io la p op ietà di u e e pote zial e te ie t a te ell’a ito dei e i o u i isulta ise vata ad u o dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni. In particolare sarà il detto atto a costituire la regola fondamentale relativa alla proprietà del bene» (così SCRIMA, Le parti comuni, cit., p. 47). Tali precisazioni consentono di mettere in luce le conseguenze di un eventuale atto di rinunzia a tali beni da parte del costruttore o altro soggetto che se ne sia riservato la proprietà. Trattandosi di beni oggetto di proprietà esclusiva, effetto iflesso della i u zia o pot à he esse e l’a uisto di essi i apo allo “tato ai se si dell’a t. . . No se a soste i ile, i ve e, l’idea di u a so ta di ito o al o do i io , ovve osia di a uisto i apo ai o do i i uale pa te o u e dell’edifi io. “i t atte e e, difatti, di u t asferimento della titolarità del bene da un soggetto in favore di altri, in contrasto con la natura abdicativa della rinunzia. Né esiste una norma che preveda un effetto del genere, simile a quella dell’a t. . . pe i e i i o ili va a ti. Pe ezzo della riserva (rectius della diversa previsione del titolo costitutivo del condominio) il bene in esame viene attratto e assoggettato al regime della proprietà esclusiva e ciò non può non valere anche in caso di rinunzia da parte del suo titolare. 75) FEDELE, La comunione, cit., p. 327 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 486 ss.; BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 168 ss.; FRAGALI, La comunione, cit., p. 458; LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 154 e ss.; DEIANA, Abbandono, cit., p. 13; BARASSI, Proprietà e comproprietà, cit., p. 756, secondo il quale «La cessazione del diritto di comproprietà di uno dei partecipanti ha per effetto che si dilatano gli altri diritti superstiti sulla cosa comune. Questo contemporaneo e automatico acquisto degli altri comproprietari si spiega con la natura propria della comproprietà, in cui la limitazione delle quote è conseguenza di una compressione determinata dalla coesistenza di diritti di comproprietà ciascuno dei quali dovrebbe tendenzialmente avere tutta la cosa comune per oggetto. Insomma non è che un limite compressivo del contenuto che vien meno diminuendo la pressione. In questo senso nessuna cosa può restare in uno stato di proprietà solo parziale; così come è impossibile che alcuno occupi una res nullius solo parzialmente (cioè entro u a uota: pe età ad es. , osì he pe l’alt a uota la osa i a ga nullius: sarebbe infatti uno stato giuridico contrario al più ele e ta e i te esse dell’o upa te he di ave e tutta la osa. Per la stessa ragione è elementare interesse degli altri partecipanti, in caso di successivo abbandono di uno di essi, la dilatazione delle loro quote. Un diritto di comproprietà senza altri diritti di comproprietà sulla stessa cosa sarebbe un non senso; comproprietà è proprietà limitata da u ’alt a. ... Co e essa do l’usuf utto o la se vitù, la p op ietà li itata si iespa de pe la sua elasti ità lo stesso a ade pe la o p op ietà; ui l’a alogia pie a». I giu isp ude za v. Cass. agosto , n. 3931, cit. Si veda, al riguardo, quanto già detto supra, par. 4. 76) Si veda quanto autorevolmente sostenuto da PUGLIESE, Accrescimento (diritto romano), in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 318, il quale afferma che «il diritto di ciascun condomino o coerede o collegatario ha, per sua natura, la tendenza ad espandersi fino a divenire integrale, quando si allarghino o scompaiano i limiti che attualmente lo comprimono. Questa idoneità a reintegrarsi è innegabile nel diritto del condomino e trova la sua ragione sto i a ella st uttu a dell’a ti o consortium tra fratelli, in cui il diritto di ciascuno era anche attualmente integrale. Nella comunione più recente il diritto del singolo condominio venne ridotto a una quota, ma questa si estendeva ancora a tutta la cosa (o complesso di cose) e solo comprendeva facoltà e pretese limitate dalla necessità di lasciare esplicare le facoltà e pretese spettanti ad altri. Logico dunque che la diminuzione o la scomparsa di tali limiti per derelictio diretta (Mod. Dig. 41, 7, 3) o indiretta (Tit. Ulp. I, di u o o più o do i i dete i asse l’espa de si o ei teg a si del di itto si golo». 77) “oste go o la tesi dell’a es i e to delle uote dei esta ti o titola i: GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 87, per il quale «Se la quota di proprietà dismessa da un condomini si accresce agli altri, tale risultato non consegue per sé alla i u zia, a all’esti zio e del di itto he se ai l’u i o effetto p op io della i u ia ; pe h logi o, he, riducendosi il numero originario dei partecipanti, venga di riflesso ad ampliarsi la misura di partecipazione dei rimanenti»; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 408, secondo il quale non è necessario un atto di accettazione della rinunzia dal momento che «la quota rinunziata passa i fatti agli alt i o p op ieta i i vi tù del p i ipio dell’a es i e to»; MAIORCA, Della trascrizione, cit., p. 120; PIRAS, La rinunzia nel diritto privato, cit., p. 171 ss.; SALIS, La comunione, cit., p. 8 ss. e 190 ss.; DEIANA, Abbandono, cit., p. 15; LA TORRE, op. cit., p. 154, nt. 34, la quale ritiene trattarsi di un effetto connaturale alla comunione, come tale proprio di in ogni ipotesi di rinunzia, liberatoria o no; C OVIELLO, Della trascrizione, cit., p. 375, il quale, pur analizzando le fattispecie di rinunzia liberatoria, ma con ragionamento che sembra estendibile alla rinunzia a di ativa, sostie e he «data l’i dole della o p op ietà h’ u di itto di p op ietà li itato dalla oesiste za di u diritto uguale, ne segue che se per una ragione qualsiasi questo limite venga a sparire, il diritto di proprietà si espande atu al e te. O de tolto di ezzo u o dei o p op ieta i, la uota di ostui si a es e di di itto a’ i a e ti, se za bisogno di una dichiarazione speciale di volontà»; PERLINGIERI, Appunti sulla rinunzia, cit., p. 349 ss., per il quale «La rinunzia di un comunista non estingue il diritto, perché questo si accresce agli altri comunisti; essa produce soltanto la dismissione dal patrimonio del rinunziante, cioè, comporta un effetto ben preciso e limitato: la perdita del diritto. Infatti, gli altri comunisti acquistano la stessa situazione giuridica del comunista rinunziante con tutti gli oneri che eventualmente e singolarmente la gravano»; LENER, La comunione, cit., p. 348; FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 48, nt. 144, per il uale l’effetto dell’a es i e to « ella o u io e, pe vasivo e spe ifi ativo della sua atu a, se , i ve o, ope a te i essa di là dalla esp essa p evisio e di ui all’a t. ». “i veda, i olt e, ua to sostenuto da GAZZARA, Accrescimento (diritto civile), in Enc. dir., I, Mila o, , p. , pe il uale «L’a es i e to, i so a, o o siste i u au e to ua titativo i este sio e del di itto del e efi ia io, a solo ell’i e e to ualitativo (in intensità) di tale diritto, in automatica rispondenza al venir meno del concorrente diritto di altro contitolare; appunto perché qualsiasi variazione, in aumento o riduzione, nel numero dei contitolari, importa automaticamente un incremento o una ulteriore riduzione delle facoltà e delle utilità (in ordine al godimento) che ciascuno di essi può derivare dal suo diritto, in dipendenza del concorso degli altri». 78) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 142 ss. e dottrina ivi citata. In realtà, quale che sia la concezione accolta circa la natura della o u io e, isulta i ual he odo se p e i o e te l’idea he il di itto di ias u o pa te ipe li iti il di itto degli altri, così giustificandosi lo ius adcrescendi in caso di rinunzia. Sulla natura giuridica della comunione cfr., tra gli altri, DOSSETTO, Teoria della comunione, cit., p. 72 ss., il quale pur sostenendo la tesi della personalità giuridica ammette il fe o e o dell’a es i e to; “TOLFI, Diritto civile, II, Il possesso e la proprietà, Torino, 1926, p. 333 ss.; SALIS, La comunione, cit., p. 5 ss.; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 12 ss.; CERVELLI, I diritti reali, Milano, 2007, p. 271 ss. Da ultimo, v. FRANCO, La comunione ordinaria, cit., p. 59 ss. 79) “i veda a he l’auto evole opi io e di BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 169, il quale, pur discorrendo della i u zia li e ato ia di ui all’a t. . ., o side a l’a es i e to u effetto i ediato e fatale di og i rinuncia. «In realtà chi rinuncia al suo diritto di comunione esce dalla collettività dei compartecipi che è sempre titolare di tutta la osa. “olo he l’i sie e dei o u isti di i uis e di u o e, si o e la lo o uota o e a alt o se o la isu a della partecipazione di ciascuno di essi al diritto della collettività composta di un certo numero di persone, col diminuire di queste deve necessariamente aumentare quella misura: fenomeno di chiarezza intuitiva, che non sarebbe altrettanto facile da spiegare se ogni compartecipante fosse proprietario autonomo della cosa (pro parte i ve e he e o d’u ente collettivo titolare di essa». 80) In tal senso: BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 299, ove si legge che «Nella rinunzia, invece, il vantaggio alt ui ha a atte e solo o asio ale e il di itto o l’aspettativa di chi ne compie la dismissione si estingue a profitto di coloro il cui interesse era, rispetto a quello di lui, in una posizione subordinata o compressa, dalla quale essi vengono così liberati o svincolati»; BOZZI, op. cit., p.1149, per il quale «Manca il nesso causale fra la rinunzia e il vantaggio del terzo, e piuttosto la i u zia i uove l’osta olo he si oppo e all’i e e to della sfe a giu idi a alt ui, e po e pe iò i esse e le condizioni obiettive perché il terzo possa acquisire il vantaggio, pur avendo tale acquisto il suo titolo in fatti giuridici diversi dalla rinunzia»; BENEDETTI, Struttura della remissione, cit., p. 1316; CICALA, L’ade pi e to i di etto del de ito alt ui, cit., p. 188; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 86 ss.; COVIELLO, Della trascrizione, cit., p. 361, secondo il quale la i u zia « atto u ilate ale, og i ual volta si a ia la volo tà di pe de e u di itto se za l’i te zio e p i ipale e di etta di avvantaggiare chicchessia. Se altri dalla rinunzia ricavi un profitto o per forza di legge, o compiendo un atto speciale, ciò poco importa, giacché il vantaggio patrimoniale avrà suo titolo immediato nella legge o in altro fatto acquisitivo, non nella i u zia he e ostituis e se pli e e te l’o asio e». 81) Cfr. MACIOCE, op. cit., p. 926, secondo il quale «se la rinuncia alla proprietà o ad un diritto reale parziario producono l’a uisto del di itto da pa te alt ui, iò avvie e o a titolo o igi a io o pe effetto del p i ipio di elasti ità del do i io; anche la i u ia alla uota di o u io e ha pe effetto l’a uisto della uota dis essa da pa te degli alt i o do i i, a iò a ade i vi tù del e a is o legale dell’a es i e to»; BOZZI, op. cit., p. 1149-1150, secondo il quale «manca il nesso causale fra la i u zia e il va taggio del te zo, e piuttosto la i u zia i uove l’osta olo he si oppo e all’i e e to della sfe a giu idi a alt ui, e po e pe iò i esse e le o dizio i o iettive pe h il te zo possa a uisi e il vantaggio, pur avendo tale acquisto il suo titolo in fatti giuridici diversi dalla rinunzia». E, ancora, con riferimento alla rinunzia ai diritti reali parziari in cui pure si ravvisa un limite al diritto di proprietà, «il vantaggio che trae il dominus non deriva direttamente dalla rinunzia, a ha la sua agio d’esse e ella atu a stessa del di itto di p op ietà, ella elasti ità o forza espansiva che gli è propria e che tende a far rientrare nel contenuto della plena potestas l’ese izio di uelle facoltà che, in forza di particolari vincoli, ne era stato separato»; NOCERA, Effetti della rinuncia, cit., p. 583 ss. 82) 83) 84) 85) Cass. 9 novembre 2009, n. 23691, in NGCC, 2010, I, p. 579 ss. Sulla distinzione tra rinunzia e rifiuto non può che rinviarsi a FERRI, Rinunzia e rifiuto nel diritto privato, Milano, 1960. Il problema era già stato segnalato come meritevole di riflessione da parte di DEIANA, Abbandono, cit., p. 15. BENEDETTI, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1991, p. 168 ss. Cfr. anche DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 101 ss. 86) Cfr. BENEDETTI, Struttura della remissione, it., p. ss., se o do il uale il ifiuto «u o st u e to a difesa dell’i teg ità della propria sfera giuridica contro gli effetti diretti che, sebbene vantaggiosi, possono essere prodotti dal un atto di disposizione di un altro soggetto, cui è rimasta estranea la persona che appunto deve risentirne gli effetti: così, nel contratto a favore di terzi, se il terzo non intende profittare, deve rifiutare». 87) 88) DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 91 89) DONISI, op. cit., p. 92, nt. 58. Escludono la possibilità di un rifiuto degli effetti riflessi del negozio: G IAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, cit., p. 58; MACIOCE, op. cit., p. 931; CICALA, L’ade pi e to i di etto del de ito alt ui, cit., p. 188. 90) 91) MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 951 ss. 92) DONISI, op. ult. cit. Cfr., inoltre, COPPOLA, La rinunzia ai diritti futuri, cit., p. 142, secondo la quale non vi è spazio per il rifiuto elle ipotesi i ui l’i isione della sfera giuridica altrui discende da un effetto meramente riflesso di un atto di autonomia privata. «Per questa ragione, deve escludersi che il concetto di rifiuto possa costituire il rimedio, concesso al beneficiario delle conseguenze favorevoli derivanti da una rinunzia, finalizzato a respingere le conseguenze medesime. Ci si riferisce agli effetti discendenti, in via meramente indiretta ed eventuale, dalla dismissione di un diritto, i quali possono consistere ell’a es i e to a te zi della situazio e giu idi a i u ziata o ella li e azio e da u ’o ligazio e alt ui». MANCINI, op. cit., p. 952, secondo la quale «non sembra che la vis espansiva della proprietà, quale tendenza naturale del diritto, possa essere ricostruita in termini di delazione, suscettibile di una manifestazione di volontà, positiva o negativa, del titola e. Questo o desti ata io di u ’e tità uova, a su is e, i u e to se so, il atu ale evolve si di u diritto che già vanta. In questi termini, dunque, una volontà negativa del comproprietario, che intervenga in un momento su essivo al suo a uisto, dov e e i o du si ell’alveo della i u ia più he del ifiuto». Al o t a io, solo configurandolo come rifiuto sa e e o epi ile il suo ife i e to all’effetto piuttosto he al di itto. I tal se so f . DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 118. Es lude la possi ilità di u ifiuto dell’a es i e to CICALA, L’ade pi e to i di etto del debito altrui, cit., p. 189 ss., se o do il uale «A he elle ipotesi di i u zia all’e edità, ai di itti eali i o i, al di itto di p op ietà sul e e i obile, si verifica un vantaggio per determinati soggetti; in queste ipotesi, però, il vantaggio rappresenta solo il risultato indiretto del negozio rinunziativo e si collega variamente al diritto di accrescimento o alle regole sulla successione legittima, al a atte e elasti o del di itto di p op ietà, alla o a he dispo e l’appa te e za allo “tato del bene immobile vacante e così via. In tutti questi casi il rifiuto non è neppure prospettabile. Insomma ora il principio invito beneficium non datur, io i ge e ale il p i ipio del ispetto dell’alt ui sfe a ... o t ova appli azio e perché il egozio o to a l’alt ui sfera: il vantaggio, che per altri soggetti si verifica, non è in diretta relazione causale col negozio di rinunzia [...], ma ne costituisce soltanto, grazie al successivo operare dei principi anzidetti, una conseguenza riflessa, mediata». Nello stesso senso, sia pure con riferimento alla rinunzia liberatoria, cfr. SALIS, La comunione, cit., p. 193, per il quale «gli altri o do i i o pot e e o i al u odo evita e il p odu si dell’a es i e to i lo o favo e, o pot e e o rinunciare all’a uisto della uota de elitta dal o do i o, se za o te po a ea e te i u ia e al p op io di itto di condominio»; FEDELE, La comunione, it., p. , il uale es lude il ifiuto dell’a es i e to, ope a do esso automaticamente, e ritiene che gli altri comproprietari «potranno invece al più compiere a loro volta una rinuncia li e ato ia del di itto a uistato i fo za della i u ia dell’alt o pa te ipa te»; FAVALE, La comunione ordinaria, cit., p. 487. Più in generale, con riferimento alla impossibilità di rifiutare gli effetti indiretti della rinunzia, si tratti dell’a es i e to della uota ovve o del o solida e to della p op ietà f . MASTROIACOVO, La rilevanza delle vicende abdicative, cit., p. 40, per la quale «al valido esercizio del pote e di i u ia, uale atto u ilate ale f utto dell’auto o ia negoziale del singolo, non può opporsi, seppure quale strumento di autotutela, il rifiuto del soggetto che indirettamente si avvantaggia delle conseguenze (eventualmente favorevoli) della rinuncia. Tale soggetto, beneficiario indiretto della vi e da a di ativa, pot à es lude e l’effetto giu idi o p odottosi ex lege, solo esercitando negativamente a sua volta, mediante il negozio di rinuncia, il diritto di cui è divenuto titolare». 93) 94) 95) FEDELE, La comunione, cit., p. 332. Cfr. SALIS, La comunione, cit., p. 14 e 192. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 85; MANCINI, Note in tema di rinuncia alla proprietà, cit., p. 945. Si veda, al riguardo, quanto già detto supra, par. 4. 96) Cfr. MACIOCE, op. cit., p. 938. Si veda, inoltre, la già citata BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 156, la quale afferma trattarsi di una «rinuncia affatto singolare; con un atto, cioè, il cui scopo è quello di provocare la liberazione del rinunciante e, dunque, un effetto che si ripercuote negativamente nella sfera giuridica degli altri comunisti. Ed è questo aspetto che – sotto il profilo considerato – dovrebbe prevalere (rispetto a quello, positivo, dell’a uisto della uota i u iata , giustifi a do il a atte e e ettizio dell’atto». 97) MACIOCE, op. cit., p. 936-937; BOZZI, op. cit., p. 1146; MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 6; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, p. 86 ss., il quale ritiene che la regola sia il carattere non recettizio dell’atto di i u zia, ui fa e ezio e pe i fi i he ui interessano) la fattispecie della rinunzia liberatoria, in cui la dichiarazione del rinunziante è qualificata da una funzione he e ede il o ale s he a dell’atto ossia la li e azio e dal de ito); BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 301; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, cit., p. 145; CICALA, L’ade pi e to i di etto del de ito alt ui, Napoli, 1968, p. 188; NOBILI, Le obbligazioni, Milano, 2008, p. 172. 98) 99) 100) Cass. 20 aprile 1965, n. 761, in Rep. giust. civ., 1958, Servitù, n. 72; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, in Foro it., 1957, I, 410. 101) 102) 103) V. supra, par. 3.2. 104) 105) Cfr. BOZZI, Rinunzia, cit., p. 1141 ss.; MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 2. Cfr. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 359 ss. Cfr. MANCINI, op. cit., p. 946, nt. 13, secondo la quale «sebbene risulti i ega ile l’oppo tu ità he l’atto sia po tato a o os e za degli alt i o p op ieta i, appa e e essivo su o di a e l’effi a ia all’osse va za di tale ade pi e to he vede destinatari soggetti i quali, non solo, non concorrono con il loro consenso al pe fezio a e to dell’atto ... , a o possono neppure opporvisi». V. supra, par. 3. BOZZI, Rinunzia (diritto pubblico e privato), cit., p. 1149; SICCHIERO, Rinuncia, cit., p. 659; MOSCARINI, Rinunzia, cit., p. 3, secondo il quale è proprio il profilo strutturale dei diritti assoluti, quali situazioni soggettive attive cui corrisponde un generico dovere di astensione in capo alla generalità dei consociati, senza che sia identificabile un soggetto passivo del rapporto, che consente la più rigorosa configurazione di un effetto abdicativo. La rinunzia determina, infatti, la fuoriuscita del di itto dalla sfe a giu idi a del i u zia te se za dete i a e l’i e e to di uella di al u alt o soggetto, i modo diretto, ne in modo indiretto; MACIOCE, op. cit., p. 942, secondo il quale «la rinunciabilità non è che un modo di essere del diritto soggettivo, riflesso di una qualificazione normativa»; MAIORCA, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, cit., p. 107 ss.; COVIELLO, Della trascrizione, cit., p. 368 ss.; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 406; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 137. GIACOBBE, La superficie, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2003, p. 148 ss.; SALIS, La superficie, in Tratt. Vassalli, Torino, 1958, p. 133 ss.; A. PALERMO, Enfiteusi-Superficie-Oneri reali-Usi civici, in Giur. sist. civ. e comm., dir. da BIGIAVI, Torino, 1965, p. 506 ss.; MAGRI-SCILHANICK, Diritto di superficie, in Tratt. Cendon, Padova, 2006, p. 229; GUARNERI, La superficie, in Comm. Schlesinger, Milano, 2007, p. 185 ss.; ID., Superficie, in Dig. disc. priv., XIX, Torino, 1999, p. 224; A. PALERMO, La superficie, in Tratt. Rescigno, 8, Proprietà, t. 2, Torino, 2002, p. 36; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 559; RAFFAELE, I diritti reali, 3, Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in Tratt. Sacco, Torino, 2009, p. 223; PUGLIESE, Superficie, in Comm. Scialoja-Branca, BolognaRoma, 1976, p. 620 ss.; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 114; PASETTI BOMBARDELLA, Superficie (dir. priv.), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1485; BUTERA, Della superficie, in Il codice civile italiano commentato, Libro della proprietà, parte I, Torino, 1941, p. 306 ss.; B ESSONE-DI PAOLO, Superficie (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXXV, p. 3. Conferma della ammissibilità di una rinunzia al diritto di superficie si rinviene anche nella giurisprudenza tributaria: cfr. Commiss. trib. centrale, 9 febbraio 1989, n. 1068, in Fisco, , , se o do la uale «L’atto di i u zia al di itto di superficie soggiace alle previste imposte di trasferimento a nulla rilevando il precedente perimento della costruzione oggetto del di itto edesi o; la stessa atu a eale del di itto po ta ad es lude e l’esti zio e dello stesso a seguito della dist uzio e del e e, ta t’ ve o he esta al titola e la fa oltà di i ost ui e l’edifi io dopo la sua de olizio e». 106) 107) Cfr. GIACOBBE, La superficie, cit., p. 152; SALIS, La superficie, cit., p. 133 ss. SALIS, La superficie, cit., p. 133 ss.; ID., voce Superficie (diritto vigente), Nov. dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 953; A. PALERMO, Enfiteusi-Superficie-Oneri reali-Usi civici, cit., p. 506 ss.; MAGRI-SCILHANICK, Diritto di superficie, cit., p. 229 ss. 108) SALIS, La superficie, cit., p.37 ss. Tale tesi è stata di recente ripresa, sia pure incidentalmente, da Cass. 13 febbraio 1993, n. 1844 in Riv. giur. edilizia, 1993, I, p. 1023, con nota di SALIS e da Cass. 4 febbraio 2004, n. 2100, in Foro it., 2004, I, 2154, con nota di LAGHEZZA. 109) 110) 111) 112) 113) SALIS, La superficie, cit., p. 135. 114) 115) 116) PUGLIESE, op. cit., p. 567, nt. 23. 117) 118) 119) 120) 121) SALIS, op. cit., p. 135; MAGRI-SCILHANICK, op. cit., p. 229. SALIS, op. cit., p. 133 ss. SALIS, op. cit., p. 134, nt. 1. Sulla rinunzia alla proprietà v. supra, par. 3. PUGLIESE, Superficie, cit., p. 557 ss.; MAGRI-SCILHANICK, Diritto di superficie, cit., p. 33 ss.; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 545 ss.; PASETTI BOMBARDELLA, Superficie (dir. priv.), cit., p. 1472 ss.; A. PALERMO, La superficie, cit., p. 17 ss.; RAFFAELE, I diritti reali, cit., p. ss. I giu isp ude za, pe la tesi dell’u ita ietà del di itto di supe fi ie si veda Cass. ove e , . , in Mass. giust. civ., 1970, p. 1286. PUGLIESE, op. cit., p. 567, nt. 23. Cfr. PUGLIESE, op. cit., p. 620, il quale ipotizza anche la possibilità (da valutarsi in considerazione del tenore della dichiarazione e della circostanza che sia compresa o meno la dismissione della proprietà della costruzione) che la rinunzia sia volta soltanto a rendere illegittimo il permanere della costruzione sul suolo, così da imporre la demolizione ed autorizzare il superficiario ad asportare i materiali. PUGLIESE, op. cit., p. 620 ss.; GUARNERI, La superficie, cit., p. 185; RAFFAELE, I diritti reali, cit., p. 223; GIACOBBE, La superficie, cit., p. 152 ss.; GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 241. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 241. PUGLIESE, op. cit., p. 621, nt. 12. PUGLIESE, op. ult. cit. GUARNERI, Superficie, cit., p. 224; ID., La superficie, cit., p. 185; GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 241; GIACOBBE, La superficie, cit., p. 151; MAGRI-SCILHANICK, Diritto di superficie, cit., p. 230; PASETTI BOMBARDELLA, Superficie (dir. priv.), cit., p. 1485; RAFFAELE, I diritti reali, cit., p. 223; PUGLIESE, Superficie, cit., p. 621; SALIS, La superficie, cit., p. 133. 122) 123) V. supra, par. 3. 124) CARIOTA FERRARA, L’e fiteusi, in Tratt. di dir. civ. it., dir. da VASSALLI, Torino, 1951, p. 405 ss. e dottrina ivi citata; A. PALERMO, Enfiteusi, superficie, oneri reali, usi civili, in Giur. sist. civ. e comm., dir. da BIGIAVI, Torino, 1965, p. 312 ss.; IANNELLI, La nuova enfiteusi, Napoli, 1975, p. 47 ss. 125) 126) BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, cit., p. 581; BURDESE, Manuale di diritto privato italiano, Torino, 1974, p. 232; BARBERO, Il sistema del diritto privato, Torino, 1988, p. 520; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1988, p. 244, in generale per tutti i diritti reali limitati. CARIOTA FERRARA, L’e fiteusi, cit., p. 369. A. PALERMO, Enfiteusi, cit., p. 316. Secondo ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 118, la disposizione in esame, più che derogare al principio di generale rinunziabilità dei diritti reali, costituisce una applicazione della regola generale per cui nessuno può unilateralmente sciogliersi da un rapporto obbligatorio in cui assume la veste di soggetto passivo. Perché ciò sia possibile occorre o un accordo con il creditore ovvero una causa alla quale «la legge attribuisca l’effi a ia di pote si li e a e da tali o ligazio i, i u zia do ai di itti ostitue ti il lo o o ispettivo». 127) 128) 129) V. supra, par. 4. 130) PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, in Comm. del cod. civ., Libro III, t. 2, Torino, 1968, p. 249; PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, in Tratt. Vassalli, IV, t. 5, Torino, 1972, p. 605; BARASSI, I di itti eali li itati. I pa ti ola e l’usuf utto e le servitù, Milano, 1947, p. 181; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile, cit., p. 112; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, in Comm. teorico-pratico al cod. civ., dir. da DE MARTINO, Novara-Roma, 1972, p. 535; A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, in Giur. sist. civ. e comm., fond. da BIGIAVI, Torino, 1978, p. 485; DE MARTINO, Dell’usuf utto, in Comm. Scialoja-Branca, BOLOGNA-Roma, 1978, p. 334; NICOLÒ, Dell’usuf utto, in Comm. al cod. civ., di . da D’AMELIO, Firenze, 1942, p. 701; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, in Tratt. Cicu-Messineo, XI, t. 1, Milano, 1979, p. 277; ID., Usufrutto, uso e abitazione:I, in Enc. giur. Treccani, XXXVII, p. 9; ID., L’usuf utto, Milano, 1977, p. 437; PLAIA, Usufrutto, uso, abitazione, in Dig. disc. priv., XIX, Torino, 1999, p. 589; BUTERA, Il codice civile italiano. Libro della proprietà, I, Torino, 1941, p. 481; CATERINA, I diritti reali, 3, Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in Tratt. di dir. civ., dir. da SACCO, Torino, 2009, p. 131; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 614. Si veda anche METALLO-RUOTOLO, Rinuncia al diritto di usufrutto e consolidazione della (nuda) proprietà superficiaria: ammissibilità, quesito n. 718-2009/C, in Studi e materiali del C.N.N., 2010, 1, p. 207. 131) Cass. 30 dicembre 1997, n. 13117, in Notariato, 1998, 5, p. 407; Cass. 3 marzo 1967, n. 507, in Giust. civ., 1976, I, p. 1074; Cass. 7 settembre 1948, n. 1582, in Rep. foro it., 1948, voce Usufrutto, n. 6. 132) Cfr. NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 701, il quale fa presente che la rinunzia al diritto in esame era stata espressamente prevista nel Progetto della Commissione Reale (art. 166), ma non fu poi riprodotta ritenendosi inopportuno prevederla solo o ife i e to all’usuf utto, t atta dosi di ausa di esti zio e o u e a tutti i di itti eali. 133) Può discutersi se sia ammissibile una irrinunziabilità convenzionale. Se sia possibile, cioè, pattuire in sede di costituzione dell’usuf utto he l’usuf uttuario non possa rinunziare anzi tempo al proprio diritto. Tale questione risulta particolarmente complessa. I favo e della tesi positiva pot e e i hia a si l’a t. . ., il uale o se te di es lude e la edi ilità dell’usuf utto. Come, dunque, è possi ile es lude e uella pa ti ola e fo a di disposizio e del di itto he l’alie azio e, osì pot e e anche escludersi la diversa ipotesi della rinunzia (così come parte della dottrina ammette la estensione della norma in esame a facoltà diverse dalla cessione, ed in particolare alla possibilità di locare la cosa). Ciò potrebbe corrispondere ad un apprezzabile interesse del nudo proprietario, laddove egli non voglia ritrovarsi ad essere pieno proprietario prima del tempo previsto, con tutti gli oneri, anche fis ali, he e o seguo o. U ’esige za a aloga pot e e i o e e a he o ife i e to agli alt i di itti eali oggetto di i u zia, pe i uali pot e e i vo a si il i o so all’a alogia. Sembrano valide, tuttavia, anche le osservazioni che possono farsi in senso contrario rispetto a quanto in precedenza affe ato. Il ife i e to all’a t. . . isulta i e to i ua to il fo da e to della i edi ilità dell’usuf utto pe altro conforme alla tradizione romanistica) è stato individuato nella tutela dell’i te esse del udo p op ieta io a o se ti e il godimento del bene solo a quella specifica persona ritenuta capace di mantenere la destinazione economica della cosa (v. BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 157). Un fondamento, dunque, connesso alla rilevanza della persona cui spetta il godimento del bene che, forse, non può giustificare il divieto di un negozio (quello abdicativo) che non muta tale soggetto, ma dismette tout court il diritto. Determinandosi a seguito di esso la riespansione della proprietà non sembra dunque invocabile il ragionamento su cui si fonda la possibilità di un divieto convenzionale di alienazione. Del resto, anche la possibilità di includere in tale divieto la locazione della cosa è negata da parte di alcuni autori, in quanto esercizio del pote e di godi e to he spetta all’usuf uttua io. Pot e e a he i hia a si, se p e i se so o t a io ad u a irrinunziabilità convenzionale, almeno laddove essa fosse prevista per tutta la durata del diritto, il tendenziale disfavore he l’o di a e to ost a ve so vi oli di du ata i dete i ata o e essiva e te lu ga. A he l’appli azio e a alogi a dell’a t. . . agli alt i di itti eali può appa i e du ia se si o side a il a atte e eccezionale del divieto di alienazio e he esso p evede, sta te l’effi a ia eale he la dott i a p evale te gli att i uis e. CARIOTA FERRARA, L’e fiteusi, cit., p. 197. Qua to ai otivi he posso o spi ge e l’usuf uttuario alla rinunzia cfr. MASTROIACOVO, Chi i u ia all’usuf utto o de ade dall’agevolazio e p i a asa, nota a Cass., ord. 7 dicembre 2012, n. 22244, in Corr. trib., 2013, 9, p. 752, secondo la quale «Da un lato, proprio le ragioni del mercato possono talvolta imporre la rinuncia quale assetto economicamente valido pe l’i ediato pe segui e to di attività fu zio alizzate, a he i agio e dell’eve tuale a o segue te e contemporanea) eliminazione di determinate passività patrimoniali connesse alla titolarità del diritto rinunciato. Dall’alt o, assu e do o e e o o i o il o po ta e to u a o i di e di u a elazio e t a fi i e ezzi s a si sus etti ili di usi alternativi non possiamo escludere dalla sua accezione ragioni che trovino il loro fondamento al di fuori del mercato i teso o e luogo di i o t o di do a da e offe ta e he appaia o i azio ali o disto te ispetto ad u odello lassi o di azio alità della s elta e o o i a, pu esse do valida e te dis i i a ti delle dete i azio i dei si goli ua to al p ofilo dell’allo azio e della i hezza». Il tema della rinunzia preventiva alla facoltà di rinunziare è stato esaminato dalla dottrina con riferimento alle fattispecie di rinunzia liberatoria alla proprietà. In relazione alla rinunzia da parte del comproprietario ex art. 1104 c.c., parte della dottrina ha sostenuto che la rinunzia preventiva a tale facoltà andrebbe intesa quale impegno a rispondere illimitatamente delle spese relative alla cosa e dunque come assu zio e di u ’o ligazio e pe so ale osì PESCATOREALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 57; BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 166). Si è anche ammesso che le parti potrebbero regolare il diritto alla rinunzia, escludendolo con riferimento a determinate spese, ovvero prevedendo che non possa essere esercitato prima di un determinato periodo di tempo (in tal senso F RAGALI, La comunione, cit., p. 454). Altra dottrina, invece, pur ammettendo il patto in esame, non avendo la norma carattere oge te, affe a he esso o o ve ti e e l’o ligazio e da eale a pe so ale, a i po te e e se pli e e te l’i effi a ia o l’illi eità di u atto di i u zia alla uota he dovesse segui e v. F EDELE, La comunione, cit., p. 331). Un discorso dive so vie e fatto, i ve e, o ife i e to alla figu a dell’a a do o del fo do se ve te su ui v. infra, par. 8.1). Un Autore ammette la possibilità di una rinunzia preventiva alla facoltà attribuita dalla legge al proprietario del fondo servente. Ciò non altererebbe la natura propter rem dell’o ligazio e g ava te su tale soggetto, o trasformerebbe in un facere l’oggetto della se vitù, o o t aste e e o la atu a del di itto di p op ietà. La o a di ui all’a t. . . o av e e, du ue, arattere cogente (così BIONDI, Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo, XII, Milano, 1967, p. 482). La dottrina prevalente, invece, ritiene che il potere di rinunzia sia irrinunziabile. Ciò vulnererebbe il potere di disporre che è connotato fondamentale del diritto di proprietà. Con una rinunzia preventiva il potere di disporre, di cui la rinunzia è esplicazione, non sarebbe trasferito ad altri (come in caso di alienazione), ma definitivamente perduto e ciò o t asta o l’esse za del di itto di p op ietà. La orma avrebbe dunque carattere cogente (v. MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, in Scritti giuridici in onore di Antonio Scialoja, III, Bologna, 1953, p. 300). “a e e solo possi ile l’assu zio e di u ’o ligazio e pe so ale di pagare le spese necessarie alla servitù (BRANCA, Servitù prediali, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna- Roma, 1987, p. 402; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, I, in Tratt. Vassalli, Torino, 1963, p. 280). 134) 135) 136) 137) Con riferimento al diritto romano v. SCAPINI, Usufrutto (dir. rom.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, p. 1099, secondo il quale già i età lassi a la i u zia da pa te dell’usuf uttua io aveva l’effetto di esti gue e il di itto. PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 249, nt. 24; PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 605. VENEZIAN, Usufrutto, II, p. 706 ss. e dottrina ivi citata. DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 334; PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 606; A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 486; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 250; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 535; ; CATERINA, I diritti reali, cit., p. 131; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278; NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 702; BARASSI, I diritti reali limitati, cit., p. 181. In giurisprudenza, v. Cass. 10 gennaio 2013, n. 482, in Rep. foro it., 2013, voce Usufrutto, n. 1; Cass. 22 marzo 1962, n. 592, in Rep. foro it., 1962, voce Rinunzia, n. 1. 138) Secondo PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, it., p. , e e o sa e e appli a ile all’usuf utto la o a di ui all’a t. . . sulla e issio e del de ito gia h «esse do l’u ilate alità pu a e se pli e o fo e ai p i ipi, essa risulta eccezionale e non idonea a venire estesa ad altri casi». 139) DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 335; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 250; NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 702; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278. 140) 141) 142) 143) Così NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 702. 144) 145) Così PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 250. Così BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278, nt. 54. PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 607; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile, cit., p. 113; A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 486; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, cit., p. 86; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 264. In giurisprudenza v. App. Milano, 16 luglio 1951, in Foro pad., 1951, 1236, secondo il quale si tratta di un negozio unilaterale non recettizio e non «può indurre in diversa conclusione il fatto che, nel caso in esa e, la i u ia dell’usuf uttua io al p op io di itto dete i ò la espa sio e del di itto di p op ietà el p op ietario, perché tale espansione non può ritenersi un effetti negoziale della rinuncia, ma una conseguenza indiretta di essa. L’effetto i ediato e di etto solta to l’a a do o del appo to, la sepa azio e pu a e se pli e del di itto dal soggetto rinunciante con la conseguente estinzione di esso». Così PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 607. Cfr. PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 250, nonché PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 608, secondo i uali se sull’usuf utto sia costituito un ulteriore usufrutto, il secondo usufruttuario è legittimato a rinunziare al proprio diritto, ma non a quello principale, determinandosi così la riespansione del primo usufrutto. Il primo usufruttuario, per converso, potrebbe rinunziare al proprio diritto, ma ciò non estinguerebbe il secondo usuf utto. Dall’a t. . . si i ave e e i fatti il p i ipio pe ui « o può a ette si he u atto di disposizio e (ndr. quale è la rinunzia) incida sui diritti precedentemente costituiti, anche se uesti sia o sottoposti all’alea dell’esti zio e del di itto p i ipale, poi h l’esti zio e di ui o o o l’alea o uella he dipe de da u li e o atto di disposizio e o, o u ue, da u ’a tifi iale odifi azio e della situazio e p eesiste te» osì PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 610). Co ife i e to alla so te, i aso di i u zia, delle lo azio i o luse dall’usuf uttua io, v. P UGLIESE, op. cit., p. 610, per il quale, non acquistando il nudo proprietario il diritto di usufrutto, e non potendo pertanto essere considerato un terzo a ui e te, lo stesso o pot e e ite e si vi olato dal o t atto di lo azio e olt e i asi ed i li iti di ui all’a t. 9 c.c. Nello stesso senso v. A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 490; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 251; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 535 ss. 146) U pa ti ola e p o le a, più volte posto all’atte zio e dell’Uffi io studi uesiti . -2010/C est. MATTIA e 79-2010/C, est. METALLO, inediti), si pone in caso di usufrutto successivo. Ci si chiede, infatti, se a fronte della rinunzia da parte del primo usufruttuario acquisti immediata efficacia il secondo usufrutto. La risposta che viene data non è univoca. Da un lato, potre e ite e si he l’i te ve uta i u zia a di ativa da pa te del p i o usuf uttua io dete i i l’attualità del di itto di usuf utto su essivo, sul p esupposto di u ’e uipa azio e t a l’eve to o te e la i u zia. Dall’alt o, si potrebbe ritenere che la ri u zia o o po ti l’attualità del di itto di usuf utto su essivo, sul p esupposto he sa e e solo la morte del primo usufruttuario a rendere attuale il diritto del secondo titolare. A seguito della rinunzia, dunque, l’usuf utto si a d e e a iu i e o la uda p op ietà, o po ta do e l’auto ati a iespa sio e, salvo dove si i o p i e e i seguito alla o te del p i o titola e dell’usuf utto. Il predetto diritto di usufrutto sarebbe, quindi, sottoposto al contempo a termine iniziale ed a condizione sospensiva. Tale ricostruzione sembrerebbe prevalere in dottrina, laddove si ritiene che il beneficiario di un usufrutto successivo sia giuridicamente titolare di un diritto di usufrutto futuro ed eventuale, in quanto sottoposto al termine iniziale di efficacia oi ide te o la s ade za dell’usuf utto attuale e sottoposto, alt esì, alla o dizio e sospe siva della sop avvive za del secondo usufruttuario rispetto al primo o alla premorienza del donante. 147) Cfr. PUGLIESE, op. cit., p. 609 ss.; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 251; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 535; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278; NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 702; DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 335; BUTERA, Il codice civile italiano, cit., p. 481; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 614; BARASSI, I diritti reali limitati, cit., p. 181; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile, cit., p. 112. In giurisprudenza, v. Cass. 2 maggio 2013, n. 10249, in Riv. giur. edilizia, 2013, 4, I, p. 703; Cass. 10 gennaio 2013, n. 482, cit.; Cass. ord. 7 dicembre 2012, n. 22244, in Corr. trib., 2013, 9, p. 756. 148) Cfr. BARASSI, I diritti reali limitati, it., p. , pe il uale «L’a uisto del p op ieta io u a o segue za atu ale e necessaria di quella rinuncia, anche se vera rinuncia, cioè puramente abdicativa. Le facoltà di godimento non sono separate dalla loro naturale sede, la proprietà, se non in virtù del diritto di usufrutto di cui è investito un terzo. Ma quel contenuto tende fatalmente e irresistibilmente a rientrare nella proprietà: come il non uso, così anche la rinuncia che ne fa ia l’usuf uttua io di ost a l’i utilità di uella a o ala sepa azio e. E si o e uesta sepa azio e i giustifi ata, vien meno il diritto stesso». 149) 150) PUGLIESE, op. cit., p. 610; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 251; Cfr. NICOLÒ, Dell’usuf utto, cit., p. 702; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile, cit., p. 112, secondo il quale «il consolidamento si verifica ope legis, all’i saputa e a he alg ado la volo tà del p op ieta io. Questi può, dal suo a to, i u zia e al di itto di p op ietà, a o può, fi h lo o se va, i pedi e all’usuf uttua io la li e tà di pote i u zia e al suo di itto, ta to e o, ove l’usuf uttuario si valga di questa libertà, impedire, che si verifichi il consolidamento dell’usuf utto olla p op ietà». 151) PUGLIESE, op. cit., p. 609; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 251; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 535; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278. 152) 153) PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 251. Cfr. PUGLIESE, op. cit., p. 609, per il quale è da escludere una volontà manifestata per fatti concludenti essendo richiesta la forma scritta ad substantiam; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 250; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 535; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 278; BARASSI, I diritti reali limitati, cit., p. 181; NICOLÒ, Dell’usufrutto, cit., p. 702; DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 336; BUTERA, Il codice civile italiano, cit., p. 485; A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 489; PLAIA, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 589; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 266. 154) 155) 156) Come noto, si ha donazione indiretta (che costituisce la principale ipotesi di liberalità indiretta) quando le parti, per o segui e il isultato tipi o della do azio e o t attuale, vale a di e l’a i hi e to del donatario e il depauperamento del donante, fanno ricorso a strumenti giuridici diversi dalla donazione, che ugualmente consentono di produrre, in via mediata, effetti economici di liberalità (CARNEVALI, Le donazioni, in Tratt. Rescigno, 6, II, Torino, 1997, p. 601). Si utilizzano negozi giuridici (unilaterali o bilaterali) che perseguono scopi tipici diversi dalla donazione diretta, ma che consentono di attua e, i via i di etta, l’a i hi e to del do ata io se za o ispettivo C ASULLI, Donazione (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 988). Si ottiene, dunque, il risultato pratico del contratto di donazione, attraverso altri strumenti giuridici che consentono ugualmente di realizzare in concreto il motivo soggettivo specifico di attribuzione, conosciuto da entrambe le parti (MONTECCHIARI, La forma degli atti giuridici unilaterali, Milano, 1998, p. 84). Cass. 7 settembre 1948, n. 1582, in Rep. foro it., 1948, voce Usufrutto, n. 6. Escludono che la rinunzia abdicativa possa configurarsi quale donazione diretta: PUGLIESE, op. cit., p. 608; DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 335; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile, cit., p. 71; DI CONDOJANNI, Ri u zia all’usuf utto e altri atti di liberalità, in Fam. pers. succ., 2009, 12, p. 986. 157) Tale mutamento di indirizzo si è avuto a partire dalla citata Cass. 3 marzo 1967, n. 507. Da ultimo v. Cass. 10 gennaio , . , it., osì assi ata: «la i u ia all’usuf utto, uale egozio u ilate ale e a e te a di ativo, ha o e causa la dismissione del diritto e, poiché il consolidamento con la nuda proprietà ne costituisce effetto ex lege, non può esse e o side ata o e u a do azio e, e essita della fo a p es itta dall’a t. . .». 158) TORRENTE, La donazione, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2006, p. 50; CARRABBA, Donazioni, in Tratt. di dir. civ. del Cons. Naz. del Not., dir. da PERLINGIERI, Napoli, 2009, p. 845 ss.; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2009, p. 1673 ss.; CATERINA, I diritti reali, cit., p. 131 159) Cass. 3 marzo 1967, n. 507, cit.; Cass. 30 dicembre 1997, n. 13117, in Notariato, 1998, 5, p. 407, così massimata: «La i u ia all’usuf utto, se ispi ata da animus donandi, è suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto eale pa zia io i u iato, pe h , o po ta do u ’esti zio e a ti ipata di tale di itto, si isolve el o segui e to da pa te di detto do i us dei va taggi pat i o iali i e e ti all’a uisizio e del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usuf utto fosse du ato fi o alla sua atu ale s ade za: il o t ovalo e di tali va taggi , pe ta to, se z’alt o passi ile di o voglia e to ella assa e edita ia di ui all’a t. c.c.». 160) Cfr. TORDIGLIONE, Ri u zia all’usuf utto e do azio e i diretta, nota a Cass. 30 dicembre 1997, n. 13117, cit., p. 421, secondo il quale «perché una rinunzia unilaterale possa considerarsi una donazione indiretta è necessario quanto segue: a) il rinunziante deve subire un impoverimento patrimoniale con correlativo arricchimento [...] per il terzo beneficiario (cd. elemento oggettivo); b) nel rinunziante deve essere riscontrabile uno spirito di liberalità inteso come interesse non pat i o iale all’a i hi e to del do ata io d. ele e to soggettivo . L’animus donandi deve ritenersi escluso qualora il dispo e te i i ad otte e e a ezzo dell’atto u va taggio pat i o iale i ediato e di etto; deve esiste e u esso di ausalità di etta f a la i u zia e l’a i hi e to, el se so he uest’ulti o deve esse e l’effetto di una nomale ed automatica conseguenza giuridica originata dalla rinunzia; d) il terzo avvantaggiato, infine, deve essere individuabile a priori e con certezza, altrimenti si ammetterebbe una sorta di liberalità in incertam personam». 161) Occorre segnala e he i dott i a si e e te e te posto i du io he la i u zia all’usuf utto possa o figu a e u a liberalità indiretta (così DI CONDOJANNI, Ri u zia all’usuf utto e alt i atti di li e alità, cit., p. 987 ss.). Il presupposto da cui muove questa ricost uzio e o siste i iò, he l’a i hi e to uale p esupposto della li e alità a he i di etta u fe o e o he i pli he e e se p e la p ese za di due soggetti. «L’effetto di li e alità, i alt i termini, è sempre effetto di circolazione: mutamento di situazioni giuridiche soggettive, che transitano da uno ad altro titolare. [...]La nozione di arricchimento è, sotto il profilo tecnico, rapporto tra patrimoni: il mutamento di qualificazioni giuridiche soggettive propriamente designa una nuova titolarità». Ciò spiega pe h ve go o i hia ate dall’a t. . . le o e i te a di evo azio e e di iduzio e, le uali p esuppo go o u soggetto desti ata io dell’att i uzio e. O a, la rinunzia è un negozio unilaterale il cui unico effetto è la dismissione del diritto. Esso, dunque, non determinerebbe un arricchimento in senso tecnico e non potrebbe considerarsi una liberalità. Sarebbe, invece, un distinto accordo tra le pa ti, esp esso o ta ito, he si affia a alla i u zia, a dete i a e l’effetto li e ale e lo stesso andrebbe qualificato come do azio e di etta. «Così, o si sfugge alla etta alte ativa: o la i u ia all’usuf utto p e eduta dall’a o do t a usuf uttua io e udo p op ieta io, ave dosi ui do azio e di etta; o l’atto di i u ia dete ina semplice estinzione del diritto, non potendosi così discorrere di atto di liberalità». Tale ricostruzione, tuttavia, appare alquanto artificiosa. Sembra difficile dover presupporre sempre un previo accordo tra le parti affinché possa ravvisarsi una liberalità indiretta. Così non è, ad esempio, in caso di adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. dove non necessariamente vi è un accordo tra terzo adempiente e debitore; ovvero ancora nel contratto a favore del terzo, dove pure si ravvisa una liberalità indiretta anche in mancanza di un accordo tra stipulante e terzo. Configurare, inoltre, tale ipotetico accordo come donazione diretta imporrebbe il ricorso alla forma solenne e ciò o t addi e l’affe azio e pe ui esso pot e e esse e esp esso o ta ito . Appare invece più semplice ritenere, con la dott i a e la giu isp ude za p evale ti, he la i u zia all’usuf utto, se ossa da a i o li e ale, o figu i u a li e alità i di etta: l’a i hi e to o effetto di etto, a solo i di etto del egozio i esa e, ma comunque è ad esso (sia pure mediatamente) riconducibile. La fattispecie de quo sembra ben ricondursi alla ricostruzione della liberalità indiretta quale negozio indiretto: si utilizza un istituto con causa ed effetti propri (la rinunzia abdicativa), al fine di conseguire un effetto ulte io e la li e alità . Ragio a e dive sa e te, del esto, espo e e l’istituto i esa e al is hio di fa ili a usi, soprattutto a danno dei legittimari. 162) Con riferimento al diritto di abitazione non sembra mutare il discorso circa la rinunziabilità a seconda che si tratti del di itto eale di ui all’a t. . . ovve o del di itto spetta te al o iuge supe stite ai se si dell’a t. , o a , .c. Si veda, inoltre, per una particolare fattispecie: BOGGIALI, Vendita della nuda proprietà e del diritto di abitazione con riserva di usuf utto a favo e dell’alie a te, i u ia al di itto di a itazio e e ostituzio e del o-usufrutto, quesito n. 651-2008/C, in Studi e materiali del C.N.N., 2009, 1, p. 382 ss. 163) La natura del dispo i ile del di itto di a itazio e se a t ova e o fe a a he ell’i te esse e a e te p ivatisti o sotteso al divieto di cessione, in quanto tale derogabile secondo la giurisprudenza. Sul punto cfr. C ACCAVALE-RUOTOLO, Il diritto di abitazione nella circolazione dei beni, studio n. 2344, approvato dalla Commissione Studi il 22 giugno 1999, in Studi e materiali, 1998-2000, I, Milano, 2001, p. 590 ss. 164) In tema di trascrizione della rinunzia, secondo GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 266, essa non sarebbe necessaria per i diritti di uso ed abitazione. Ciò in quanti gli stessi sono incedibili e non sarebbe ipotizzabile un conflitto tra proprietario e terzi aventi causa, cessionari del diritto. Occorre tuttavia osservare che il divieto di cessione è ritenuto derogabile dalla giurisprudenza, non ritenendosi principio di ordine pubblico (Cass. 31 luglio 1989, n. 3565, in Mass. giust. civ., 1989, p. 849). In tal caso tornerebbe utile la disciplina della trascrizione. Si consideri, inoltre, che secondo MAIORCA, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, cit., p. 119, la trascrizione andrebbe comunque u ata pe ade pie e all’o ligo fis ale. 165) PUGLIESE, op. cit., p. 854; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso e abitazione:I, in Enc. giur. Treccani, cit., p. 11; DE MARTINO, Dell’usuf utto, cit., p. 360; A. PALERMO-C. PALERMO, Usufrutto, uso, abitazione, cit., p. 605; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 287; QUARANTA-PREDEN, Libro III – Della proprietà, cit., p. 581; MUSOLINO, Il diritto di uso dalla disciplina del codice alle figure di più recente emersione, in Riv. not., 2007, 6, p. 1336. 166) BIONDI, Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo, XII, Milano, 1967, p. 511 ss.; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, II, in Tratt. Vassalli, Torino, 1963, p. 1145; TRIOLA, Le servitù, in Comm. Schlesinger, Artt. 1027-1099, Milano, 2008, p. 537; STOLFI, Diritto civile, vol. II, parte II, I diritti reali di godimento, Torino, 1928, p. 320; VITUCCI, Servitù prediali, in Dig. disc. priv., XVIII, Torino, 1998, p. 509; D’ORAZI-FLAVONI, Aspetti del negozio costitutivo ed estintivo di servitù, in Scritti giuridici di Mario D’O azi-Flavoni, a cura del Cons. Not. Di Roma, v. III, Roma, 1965, p. 1658; B IANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 699; COMPORTI, Le servitù prediali, in Tratt. Rescigno, 8, Proprietà, t. II, Torino, 2002, p. 246; BARASSI, I diritti reali limitati, cit., p. 289; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 598; ATZERI, Delle rinunzie secondo il codice civile italiano, cit., p. 113; BURDESE, Le servitù prediali. Linee teoriche e questioni pratiche, in Il giurista europeo, coll. dir. dal GAROFALO-TALAMANCA, 4, Padova, 2007, p. 175; MUSOLINO, “e vitù p ediali. L’esti zio e pe i u zia, in Riv. not., 2013, 2, p. 368; TIBY, Servitù, in Tratt. di dir. imm., dir. da VISINTINI, cit., p. 396. 167) Cass., 28 novembre 2012, n. 21127, in Riv. not., 2013, 2, p. 365; Cass. 12 maggio 2011, n. 10457, in Riv. not., 2011, 5, II, p. 1175; Trib. Padova, 24 maggio 2005, n. 1470, in Mass. giur. civ. Patavina, 2009; Cass. 20 dicembre 1989, n. 5759, in Rep. foro it., 1989, Servitù, n. 27; Cass. 30 marzo 1985, n. 2228, in Mass. giust. civ., 1985, p. 697; Cass. 5 febbraio 1980, n. 835, in Mass. giust. civ., 1980, p. 358; Cass. 29 aprile 1965, n. 761, in Rep. giust. civ., 1965, t. II, Servitù, n. 72; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, in Foro pad., 1957, 18 ss.; Cass. 16 giugno 1953, n. 1767, in Rep. foro it., 1953, Servitù, n. 76. 168) Un problema particolare che potrebbe porsi riguarda la sorte del diritto di servitù in caso di rinunzia alla proprietà del fondo dominante e conseguente acquisto di esso in capo allo Stato ex art. 827 c.c. Parte della dottrina (GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1177 ss.; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 321) sostiene che, avendo l’a uisto dello “tato titolo o igi a io, esso av e e ad oggetto la p op ietà del fo do se za la se vitù, la uale si estinguerebbe. Si tratterebbe infatti non dello stesso diritto spettante al rinunziante, ma di un diritto nuovo, non potendo conservarsi in vita la servitù. La volontà di rinunziare alla proprietà implicherebbe, inoltre, quella di dismettere anche il diritto di servitù. Soluzione, questa, ritenuta più equa in quanto «se si spiega che lo Stato acquisti il diritto di proprietà, dato che nessuno potrebbe vantare un diritto dentro cui debba confluire il diritto di proprietà del rinunziante, non si spiega he esso de a a uista e la se vitù esse do il di itto di se vitù u di itto he o p i e l’alt ui p op ietà» osì GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1178). Altra parte della dottrina (BIONDI, Le servitù, cit., p. 525 ss.; BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 176), invece, ritiene che lo Stato acquisterebbe la proprietà del fondo dominante insieme con il diritto di servitù esistente in suo favore. La giustificazione viene individuata nel principio di inerenza delle servitù, tale per cui le stesse sussistono in quanto inerenti al fondo, anche in caso di mutamento della titolarità del medesimo. Né assumerebbe rilievo la circostanza che si tratti di un acquisto a titolo originario: «ancorché originario, per il solo fatto che inerisce al fondo, la servitù sussiste come sussiste el aso di usu apio e del fo do. La sussiste za de iva o dal t asfe i e to a dall’a uisto della p op ietà» (così BIONDI, Le servitù, cit., p. 525). Né la volontà di rinunziare alla servitù potrebbe considerarsi implicita in quella di dismettere la proprietà del fondo, trattandosi di due diritti autonomi e distinti. «Il proprietario gode della servitù non come contenuto del dominio, ma a titolo di servitù: la qualità di proprietario è solo titolo giuridico per essere titolare della se vitù. Questa att i uis e fa oltà disti te da uelle o p ese el do i io, ta to ve o he tutelata da u ’azio e autonoma e diversa (azione confessoria). Pertanto il proprietario che abbandona il fondo perde ogni qualsiasi godimento, ma non può togliere al fondo la qualità di fondo dominante se non per via di apposita rinunzia alla servitù» (B IONDI, Le servitù, cit., p. 526). 169) Con riferimento al diritto romano cfr. BIONDI, Le servitù, cit., p. 512 ss., il quale mette in luce che, a dispetto di un principio generale di non rinunziabilità della servitù connesso al carattere di inerenza della stessa, nella prassi erano stati escogitati al u i espedie ti pe giu ge e al edesi o isultato. «L’uso di essi ed il i o os i e to di u a remissio servitutis dimostra che il principio tradizionale non fosse inteso in modo tanto rigoroso. Il concetto della servitù, quale ius fundi, non si rinnega, ma da esso non si ricavano tutte le logiche conseguenze, che sarebbero inopportune. La rinuncia non è riconosciuta apertamente, e molto meno è disciplinata, ma è sicuro che non desta scandalo». 170) Si veda, inoltre, BIONDI, Le servitù, cit., p. 513, il quale esclude che possa costituire ostacolo alla rinunziabilità del diritto in esa e il p i ipio della i e e za. Questo, difatti, «spiega talu i p i ipi e sta alla ase dell’istituto, a o i po ta rinnegazione della struttura del rapporto giuridico che postula un soggetto. Come in ogni momento è il proprietario che esercita la servitù ed agisce de servitute, così appare ben naturale che il proprietario possa rinunziare al vantaggio della se vitù. Questa ostituita pe l’utilità di u fo do e vie e ese itata fundi nomine, ma è altrettanto vero che è sempre utile al soggetto, ed è da lui che viene esercitata e difesa». 171) 172) BIONDI, Le servitù, cit., p. 514 ss. 173) 174) BIONDI, op. cit., p. 514. 175) 176) Cass. 26 febbraio 1966, n. 589, in Giust. civ., 1966, p. 330: «La servitù convenzionale, salvi i casi di estinzione previsti dalla legge (art. 1072 ss. c.c.), non può venir meno né essere modificata senza un accordo delle parti risultante da atto scritto». Nello stesso senso, Cass. 17 dicembre 1957, n. 4719, in Riv. dir. agr., 1958, p. 79 ss.; nonché Cass. 14 ottobre 1958, n. 3253, in Rep. giust. civ., 1958, Servitù, n. 93: «La rinuncia ad una servitù si attua mediante convenzione tra le parti redatta per iscritto e, per essere validamente opponibile ai terzi, deve essere trascritta». BIONDI, op. cit., p. 515, secondo il quale si ha un «preciso parallelismo tra costituzione ed estinzione: come una servitù si ostituis e pe atto ilate ale i o f o to dell’attuale p op ieta io, osì si esti gue i o f o to del p op ieta io attuale. Si tratta sempre dello stesso potere di disposizione». BIONDI, op. cit., p. 515 ss. GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1145 ss.; TRIOLA, Le servitù, cit., p. 537; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 320; D’ORAZIFLAVONI, Aspetti del negozio costitutivo ed estintivo di servitù, cit., p. 1658; COMPORTI, Le servitù prediali, cit., p. 246; GROSSO, Ri u ia i pli ita alla se vitù e a atte i dell’atto di i u ia, in Foro pad., 1957, 17 ss. 177) Cass. 20 dicembre 1989, n. 5759, cit.: «Anche in ordine alla servitù prediale costituita per contratto (art. 1058 c.c.) la rinuncia da parte del titolare del relativo diritto è pienamente operativa quale fattispecie estintiva della servitù indipendentemente dal consenso della controparte del contratto costitutivo della stessa, con il conseguente venir meno di og i o ligo del p op ieta io del fo do do i a te atti e te alla o se vazio e e all’ese izio della se vitù ed alle relative successive spese»; Cass. 29 aprile 1965, n. 761, in Rep. giust. civ., 1958, Servitù, n. 72: «La rinuncia abdicativa ad una servitù può validamente effettuarsi mediante un valido negozio unilaterale, e questo non è recettizio. La rinuncia, tuttavia, che deve solo essere manifestata nel mondo esterno perché produca i suoi effetti abdicativi, deve essere fatta pera atto pubblico o per scrittura privata (art. 1350 n. 5 c.c.) e, perché sia opponibile a determinati terzi, deve essere t as itta ai se si dell’a t. . . .»; Cass. agosto , . , it., pe la uale «La i u ia a di ativa ad una servitù prediale può validamente effettuarsi mediante un negozio unilaterale». 178) Escludono espressamente la necessità di accettazione: TRIOLA, Le servitù, cit., p. 537, secondo il quale «il proprietario del fondo servente, il quale formalmente dovesse risultare parte di tale contratto, in realtà nessuna volontà negoziale esprimerebbe, nemmeno ove dichiarasse di accettare la rinunzia, la quale opera per effetto della sola volontà unilaterale del proprietario del fondo dominante»; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 320. 179) Cf ., i tal se so, la già itata Cass. agosto , . , ove si legge he la i u zia a di ativa « o siste ell’ese izio, da parte del titolare del diritto, del potere di disposizione del diritto medesimo, che egli dichiara di voler abbandonare, senza nel contempo volerlo trasferire ad altri. Onde, per la validità di codesto abbandono, è sufficiente la dichiarazione di volontà del rinunziante, e non è necessaria la partecipazione di altre persone. Tale principio vale anche per la rinuncia ad un diritto reale su cosa altrui, nonostante che, a seguito di essa, il proprietario del bene sul quale il diritto rinunziato gravava venga a risentire un innegabile vantaggio. In proposito è infatti sufficiente rilevare che il vantaggio che il proprietario viene a risentire è solo una conseguenza riflessa o mediata della rinuncia, la quale, di per sé, cagiona soltanto l’esti zio e del di itto eale li itato he e ostituis e l’o ietto. Il va taggio del p op ieta io i ve e di etta e te e immediatamente cagionato solo dalla elasticità del dominio, che, venuta meno la compressione su di esso esercitata dal di itto i u ziato, ito a se z’alt o alla sua o ale este zio e». 180) GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1147 ss., per i quali «una dichiarazione del proprietario del fondo servente di non volere la liberazione del suo fondo dalla servitù non avrebbe valore come atto impeditivo della perdita del diritto». 181) COVIELLO, Le servitù prediali, Napoli, 1926, p. 385; CICU, Servitù prediali, Bologna, 1931, p. 335; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, cit., p. 145; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 320. 182) GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1149 ss.; TRIOLA, Le servitù, cit., p. 538; D’ORAZI-FLAVONI, Aspetti del negozio costitutivo ed estintivo di servitù, cit., p. 1658; GROSSO, Ri u ia i pli ita alla se vitù e a atte i dell’atto di i u ia, cit., p. 17; GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, cit., p. 86. 183) 184) Cass. 29 aprile 1965, n. 761, cit.; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, cit. 185) BIONDI, op. cit., p. , se o do il uale «Falla e, pe o di e pa adossale l’a go e to desu to dalla st uttu a del di itto reale: se questo si può far valere erga omnes, assu do i hiede e l’a ettazio e di tutto il o do o otifi are la rinuncia a tutto il mondo. Non è vero che i diritti reali su cosa altrui si possono far valere, come si suol dire, erga omnes. Questa è una enunciazione enfatica che possiamo ripetere a scopo soprattutto didattico, ma non rispecchia la essenza del rapporto. Soggetto passivo è anzitutto e direttamente il proprietario, tanto che noi parliamo di diritti reali su cosa altrui. I diritti reali limitati si costituiscono per volontà del proprietario, si esercitano e si estinguono in confronto del proprietario. Le azioni de servitute (confessoria e negatoria) si svolgono fondamentalmente tra i proprietari dei due fondi, i quali sono legitti ati alla affe azio i o egazio e della se vitù» o sivi dell’Auto e . 186) Cfr. TRIOLA, Le servitù, cit., p. 538, il quale afferma che «la non recettizietà deriva dalla struttura del negozio di rinuncia: esaurendosi gli effetti tipici del negozio nella sfera del dichiarante, non postulano per la loro realizzazione la necessità di al u a o u i azio e al te zo; l’effetto a di ativo del diritto è in diretta relazione causale con la dichiarazione, in quanto gli ulteriori effetti della dichiarazione stessa nei confronti dei terzi costituiscono mere conseguenze della rinuncia e pe ta to i ido ee ad i ide e sull’effi a ia della fattispecie». 187) GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1151, nt. 4, i quali analizzano dettagliatamente i casi concreti in sui assume rilevanza sapere se la rinunzia sia o meno recettizia, dimostrando come in ognuno di essi chi ne afferma la recettizietà si preoccupi di tutelare non già il destinatario della dichiarazione (proprietario del fondo servente), bensì il rinunziante, facendo salva la possibilità di revocare la dichiarazione. 188) Cfr. GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 1156; BIONDI, op. cit., p. 519; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 320; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 699, nt. 196; BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 175; MUSOLINO, “e vitù p ediali. L’esti zio e pe i u zia, cit., p. 372. 189) 190) GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1156; BIONDI, op. cit., p. 519; STOLFI, Diritto civile, cit., p. 320; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 699. 191) 192) Cfr. la più volte citata Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, cit., la quale, facendo leva sui caratteri di immediatezza ed assolutezza dei diritti reali, afferma che «poiché quindi il diritto reale limitato è esercitabile erga omnes e non solo verso il proprietario, è necessario ammettere che la rinunzia ad esso non può né deve avere un destinatario determinato, e deve ritenersi richiesto soltanto che essa sia manifestata nel mondo esterno, sia – cioè – este io izzata, o l’osse va za della forma eventualmente stabilita dalla legge». GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1157 ss.; BIONDI, op. cit., p. 520; STOLFI, op. cit., p. 320. Contra, BIANCA, Diritto civile, cit., p. 699, secondo il quale non varre e «a go e ta e da u a p esu ta o elazio e o la egola della i effi a ia dell’atto costitutivo (come la concessione del singolo comproprietario non ha effetto costitutivo della servitù, così non avrebbe effetto esti tivo la i u zia . I ealtà, l’atto costitutivo della servitù da parte del comproprietario non ha effetto costitutivo in quanto il comproprietario non può disporre del fondo comune a danno degli altri comproprietari. La rinunzia, invece, riguarda esclusivamente il rinunziante senza toccare la posizione degli altri». In tal senso, GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1157; BIONDI, op. cit., p. 520; STOLFI, op. cit., p. 320. GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1158; BIONDI, op. cit., p. 520. 193) In tal senso BIONDI, op. cit., p. 522 ss.; GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1158 ss., i quali diffusamente cercano di risolvere il p o le a a he p es i de do dalle o e sulla t as izio e, uove do dall’assu to he l’ipote a sul fo do do i a te implichi anche una ipoteca sulla servitù e concludendo sempre nel senso della prevalenza del creditore ipotecario, laddove né la ipoteca né la rinunzia risultino trascritte. Sul punto non può che rinviarsi agli Autori indicati. 194) 195) 196) BIONDI, op. cit., p. 521. 197) 198) 199) 200) 201) 202) GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1162 ss. BIONDI, op. cit., p. 521 ss.; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 699, nt. 196; GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1174 ss., i quali ritengono che la soluzio e al p o le a dis e da dalla tesi a olta sulla o titola ità della se vitù i apo all’usuf uttua io a il dis orso è analogo per gli altri diritti limitati su cosa altrui). Se si ritiene che essi siano contitolari della servitù con il nudo proprietario allora si tratterà di una rinunzia alla servitù e la fattispecie risulterebbe particolarmente problematica mancando il consenso del contitolare; se invece si ritiene che essi siano titolari di un diritto di godimento analogo a quello che essi hanno sul fondo allora si tratterà di una rinunzia al loro diritto sulla servitù. BIONDI, op. cit., p. 522; GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1176, i quali, in realtà, distinguono due ipotesi. La prima è quella in cui l’usuf uttua io a ia voluto fa a uista e la titola ità della se vitù a he al udo p op ieta io, o pote do i tal aso la i u zia p egiudi a e uest’ulti o. La se o da uella i ui l’usuf uttua io a ia voluto riservare solo a sé la titolarità della se vitù, dete i a do la i u zia i tal aso l’esti zio e della se vitù stessa. GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1166 ss. GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1167; nello stesso senso, STOLFI, op. cit., p. 320. BIONDI, op. cit., p. 522. GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1169 ss. Fenomeno analogo, secondo questa ricostruzione, a quello che si verifica in caso di alienazione di una porzione materiale del fondo dominante. 203) Gli Autori esaminano anche un altro caso, ossia quello in cui la rinunzia da parte del dominus soli avvenga dopo la o essio e del di itto di supe fi ie, a p i a della ost uzio e dell’edifi io. Ve go o, al igua do, evide ziate al u e pe plessità legate alla i osta za he al o e to di e ezio e dell’edifi io la servitù già non esisterebbe più, non potendosi dire che il superficiario ne abbia acquistato la titolarità in virtù di quel fenomeno di sdoppiamento indicato nel testo. La soluzione favorevole al superficiario viene pertanto individuata, da un lato, richiamando quanto detto per gli altri diritti reali limitati, i cui titolari non dovrebbero essere pregiudicati – secondo questa tesi – dalla rinunzia alla servitù da pa te del udo p op ieta io, o se va dosi u pote e di i ge e za sul fo do se ve te; dall’altro, associando la posizione del superficiario a quella del titolare di una servitù a vantaggio di un edificio da costruire. «La servitù», si afferma, «non è a o a so ta, a si ha già l’aspettativa della sua as ita he il p op ieta io del suolo o può pregiudicare con il suo atto di rinunzia» (così GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1171, nt. 16). 204) Cfr. GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1153 ss.; BIONDI, op. cit., p. 517 ss.; BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 175; TRIOLA, Le servitù, cit., p. 538; D’ORAZI-FLAVONI, Aspetti del negozio costitutivo ed estintivo di servitù, cit., p. 1658; GROSSO, Rinuncia implicita alla se vitù e a atte i dell’atto di i u ia, cit., p. 17; COMPORTI, Le servitù prediali, cit., p. 246; TIBY, Servitù, cit., p. 396. In giurisprudenza, v. App. Napoli, 28 giugno 2012, in Giur. mer., 2013, 1, 57; Cass. 29 aprile 1965, n. 761, cit.; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, cit. 205) GROSSO-DEIANA, op. cit., p. 1155; BIONDI, op. cit., p. 518; MUSOLINO, “e vitù p ediali. L’esti zio e pe i u zia, cit., p. 374; BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 175; GROSSO, Ri u ia i pli ita alla se vitù e a atte i dell’atto di i u ia, cit., p. 17 ss.; TRIOLA, Le servitù, cit., p. 538; TIBY, Servitù, cit., p. 396; CAPPIELLO, La rinuncia tacita alla servitù, in Foro pad., 1978, 139 ss. In giurisprudenza, v. Cass., 28 novembre 2012, n. 21127, cit.; Cass. 12 maggio 2011, n. 10457, in Riv. not., 2011, 5, II, p. 1175: «Il requisito di forma scritta stabilito dall'art. 1350 n. 5 c.c., per la rinuncia a una servitù può essere integrato dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso, non essendo necessarie formule sacramentali o espressioni formali particolari, purché contenenti una chiara ed univoca espressione di volontà incompatibile con il mantenimento del predetto diritto reale. Pertanto, la rinuncia ad una servitù negativa può essere contenuta nell'istanza di concessione edilizia diretta all'esecuzione di opere che, realizzate, determinino il venir meno dell'utilitas da cui dipende l'esistenza della servitù stessa»; App. Napoli, 27 febbraio 1978, in Foro pad., 1978, 140 ss.; Cass. 18 agosto 1956, n. 3129, cit.: «La rinuncia abdicativa ad una servitù prediale può validamente effettuarsi mediante un negozio unilaterale e può, perciò, risultare per implicito da una dichiarazione del titolare del diritto che sia incompatibile con la volontà di conservare il diritto stesso ella spe ie, di hia azio e, fatta dal titola e della se vitù, di o se ti e l’ese uzio e di ope e he si isolva o dell’eli i azio e della situazio e di fatto he e de possi ile l’ese izio della se vitù». 206) BIONDI, op. cit., p. 518; MUSOLINO, “e vitù p ediali. L’esti zio e pe i u zia, cit., p. 374; CAPPIELLO, La rinuncia tacita alla servitù, cit., 139. In giurisprudenza, v. Cass. 30 marzo 1985, n. 2228, cit.; Cass. 5 febbraio 1980, n. 835, cit.: «L'estinzione della servitù per rinuncia del titolare deve risultare da atto scritto, ai sensi dell'art. 1350 n. 4 e n. 5 c.c., e non può essere desunta indirettamente da fatti concludenti»; Cass. 22 luglio 1965, n. 1693, in Rep. giust. civ., 1965, t. II, Servitù, n. 71: «I contratti che modificano le servitù e gli atti di rinuncia alle medesime devono farsi per iscritto, a pena di nullità (art. 1350 n. 4 e 5 c.c.). È pertanto irrilevante ai fini di una tacita rinunzia il silenzio osservato dal titolare del fondo dominante sulla situazione dei luoghi, contraria al suo diritto, posta in essere dal titolare del fondo servente»; Cass. 18 luglio 1960, n. 1985, in Rep. foro it., 1960, Servitù, n. 133. 207) Cfr. TRIOLA, Le servitù, cit., p. 539, secondo il quale, in questo caso, «la trascrizione non risolve il conflitto tra due aventi ausa dallo stesso auto e, i ase al p i ipio ge e ale di ui all’a t. . .: da u lato, i fatti, poi h la i u zia determina la riespansione del diritto di proprietà, il titolare del fondo servente non può considerarsi avente causa dal proprietario del fondo dominante rinunciante, destinato a soccombere, in caso di mancata trascrizione, nei confronti di chi ha acquistato dal rinunziante il fondo do i a te; dall’alt o, il o flitto he va isolto i ase alla t as izio e o ta due titoli ave ti ad oggetto lo stesso di itto, a f a la i u zia alla se vitù g ava te sul fo do se ve te e l’a uisto del fondo dominante cui accede la servitù stessa». Con riferimento alle modalità di trascrizione, può ritenersi che anche in questo caso, coerentemente con la natura pu a e te a di ativa della i u zia, l’atto de a esse e t as itto u i a e te o t o il soggetto i u zia te, i di a do i nota sia il fondo dominante che il fondo servente. Una nota così redatta genererebbe solo un errore forzabile, il quale non i pedis e la t as izio e. Tale odalità, i olt e, o se te a he di soddisfa e u ’esige za di o os i ilità della i u zia, la quale emergerà facendo una visura per immobile sia sul fondo dominante che su quello servente. 208) “ull’a go e to f . LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 59 ss.; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, in Scritti giuridici in onore di Antonio Scialoja, III, Bologna, 1953, p. 295 ss.; BIONDI, Le servitù, cit., p. 473 ss.; DEIANA, Abbandono (derelictio), cit., p. 13 ss.; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 56 ss.; BRANCA, Servitù prediali, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna- Roma, 1987, p. 399 ss.; PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 62 ss.; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, I, in Tratt. Vassalli, V, t. 1, Torino, 1963, p. 263 ss.; BARBARO, Delle servitù prediali, in Comm. al cod. civ., dir. da D’AMELIO, Libro della proprietà, Firenze, 1942, p. 835 ss.; TAMBURRINO-GRATTAGLIANO, Le servitù, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., fond. da BIGIAVI, Torino, 2002, p. 428 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 141 ss.; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 12 ss.; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 653. 209) Per tal effetto viene dalla dottrina ricondotto alle fattispecie di rinunzia liberatoria, tra cui anche la fattispecie di cui all’a t. . ., già esa i ata i p e ede za. 210) Co ife i e to all’o igi e sto i a dell’istituto f . LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 70, nt. 26, la quale richiama il termine déguerpissement o te uto ell’a t. del Codi e Napoleo e he si ifà alla t adizio e feudale ove esso i di ava l’a a do o da pa te del vassallo del feudo a lui o esso dal sig o e sotto l’o e e di p esta gli i a o i, fedeltà e sottomissione. Si veda, al riguardo, M ERLIN, Dizionario universale ossia repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, I, Venezia, 1834, voce Abbandonamento di fondo, p. 3, per il quale il termine déguerpissement deriva da werp, te i e ale a o, he sig ifi a i vestitu a, i issio e el possesso , e dalla pa ti ella egative de, indicando l’atto ol uale il dete tore di un immobile gravato di una rendita fondiaria ne abbandona il possesso per esimersi dal peso. 211) 212) 213) Così MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 320. Sulla distinzione tra abbandono e rinunzia cfr. LA TORRE, Abbandono e rinunzia liberatoria, cit., p. 1 ss. Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 85, nt. 66, secondo la quale nel caso in esame si avrebbe una rinunzia in senso tecnico, che p odu e il suo atu ale effetto a di ativo. «Che poi a tale i eli i a ile effetto esti tivo si aggiunga quello o segue ziale della li e azio e dal de ito propter rem, ciò dipende dal fatto che la rinunzia al diritto dominicale, spezza do il lega e f a la p op ietà del fo do se ve te e l’o ligo o esso alla se vitù , o o se te a uesto di sop avvive e ua do uella esti ta: se, i alt i te i i, il soggetto passivo della se vitù de ito e i ua to p op ieta io del fo do se ve te , o segue he, se egli o più p op ieta io pe l’avve uta i u zia , o può esse e ancora debitore». 214) BRANCA, Servitù prediali, cit., p. 400 ss.; BIONDI, Le servitù, cit., p. 478 ss.; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 13, secondo il uale pot e e i hia a si il o t atto di opzio e di ui all’a t. . . 215) “ulla o i o du i ilità dell’istituto i esa e alla fattispe ie di ui all’a t. . ., o ave do atu a o t attuale e o esse do possi ile u ifiuto dell’effetto li e ato io da pa te del edito e, v. L. B OZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 59, nt. 49. 216) BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 653. 217) LA TORRE, op. cit., p. 74 ss.; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 60 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 147. 218) Secondo LA TORRE, op. cit., p. 98 ss., si tratterebbe di una ausa di esti zio e dell’o ligazio e e a e te li e ato ia e o satisfattiva, al pa i dell’offe ta eale. Essa o i hiede, i fatti, il o se so del edito e e si ve ifi a a p es i dere dall’eve tuale app op iazio e del fo do a a do ato da pa te di costui. La liberazione si verifica comunque anche laddove egli non intenda far proprio il detto fondo, non realizzandosi così alcune soddisfazione del suo interesse. 219) LA TORRE, op. cit., p. , la uale affe a he «Nel ost o aso la via d’us ita he si offre al debitore, per liberarsi, è la i u zia alla p op ietà del fo do se ve te ui ollegata l’o ligazio e propter rem: sacrificio non lieve e si direbbe, anzi, eccessivo rispetto al debito delle spese; ma se a tanto il debitore addiviene, segno è che i e ti asi uell’o ligo può incidere a tal punto sulla proprietà del fondo servente da svilirla in misura persino superiore al debito». 220) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 95 ss. In giurisprudenza v. Cass. 22 giugno 1963, n. 1681, in Riv. not., 1963, p. 923 ss., ove si legge he «il ite e e he l’a a do o li e ato io del fo do se ve te postuli, pe esse e p oduttivo di effetti giu idi i, l’a ettazio e del p op ieta io del fo do do i a te sig ifi a i o du e i azio al e te l’istituto ello s he a di u contratto e contraddire sia alla lettere che allo spirito della norma che lo contempla. È infatti la stessa formulazione lette ale della o a he sugge is e di est a ia e dagli s he i o t attuali l’a a do o li e ato io, laddove spe ifi a he il proprietario del fo do se ve te, o de sott a si all’o e e i e e te alle spese e essa ie pe l’uso o pe la o se vazio e della servitù, può sempre liberarsene rinunziando alla proprietà del suo fondo gravato dalla servitù. Non pare che l’adozio e del te i e se p e , di contenuto così assolutistico, tolleri un qualche condizionamento di natura oggettiva o soggettiva o postuli ella o figu azio e ed ope atività dell’istituto l’i te ve to di soggetto dive so da olui he i te de abdicare al proprio diritto dominicale sul fo do asse vito o de sg ava si dell’o e e delle spese he o i te de più soppo ta e. È poi la stessa fu zio e giu idi a ed e o o i a dell’istituto, he uella, o e già detto, di o se ti e i og i caso al proprietario, che si senta eccessivamente onerato delle spese di conduzione della servitù, di cui altri si giova, di sott a si a tale peso, he e ivela l’assoluta u ilate alità e, ui di, le pie a i dipe de za da u ualu ue atto di volizio e del titola e della se vitù. A ette e he l’a a do o liberatorio possa essere paralizzato dal rifiuto del proprietario del fondo dominante, significherebbe contraddire a quella funzione e, di conseguenza, togliere ogni contenuto alla soluzione che, in via di contemperamento equitativo dei contrapposti interessi, il legislatore ha introdotto nel sistema». 221) LA TORRE, op. cit., p. 74 ss.; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 57 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 146; BRANCA, Servitù prediali, cit., p. 403; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 273; PESCATOREALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 587. Isolata risulta, invece, la tesi di FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 13, secondo il uale «pe le o ligazio i già s adute o pa e he l’a a do o produca la liberazione, trattandosi di un effetto passivo già verificatosi a carico del patrimonio del titolare del fondo servente». 222) LA TORRE, op. cit., p. 96 ss.; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 57.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 151; BIANCA, Diritto civile, VI, cit., p. 653; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 586; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 12; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 300; TAMBURRINOGRATTAGLIANO, Le servitù, cit., p. 429 ss. In giurisprudenza v. Cass. 22 giugno 1963, n. 1681, cit., p. 923, così massimata: «L’a a do o del fo do se ve te, ai se si e pe gli effetti di ui all’a t. . ., ope a i dipe de te e te dalla volontà del p op ieta io del fo do do i a te; a se l’a a do o sia o dizio ato i odo da isolve si i u a a it a ia limitazione o modificazione della servitù, esso non è operativo unilateralmente». 223) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 104 ss., la quale evide zia he le pe plessità i a la atu a dell’istituto i esa e e le va ie tesi he i va io odo fi is o o pe i hiede e u ’a ettazio e del p op ieta io del fo do do i a te as o do o u horror vacui con riferimento alla sorte del diritto successivamente alla rinunzia. Esso, difatti, non spetterebbe più al rinunziante, ma non spetterebbe ancora al suo destinatario. In particolare, riassumendo efficacemente le diverse tesi prospettate sul te a, l’Aut i e ette i lu e he uelle i ost uzio i uovo o dall’assu to he a ette e l’effi a ia a di ativa immediata della rinunzia determinerebbe uno stato di incertezza sulla sorte giuridica del fondo. «Ed ecco, per sommi capi, in base a quale ragionamento: a) se la rinunzia fosse da sola idonea a far perdere la proprietà, il fondo abbandonato, uale e e i o ile va a te, dov e e spetta e al pat i o io dello “tato a t. . . , a iò sa e e i o t asto o l’a t. , he p evede i ve e u a i u zia a favo e del p op ieta io del fo do do i a te ; b d’altra parte, se costui ha il diritto sia di far proprio il bene sia di rifiutarlo, segno è che il completamento della fattispecie dipende dal contegno (adesivo o negativo) del destinatario della rinunzia. Di modo che: c) o questa deve intendersi come una se pli e offe ta o p oposta di o t atto, ed allo a l’offe e te esta p op ieta io fi h o i te ve ga l’a ettazio e o alt o fatto a uisitivo ; d) oppure si tratta realmente di una rinunzia, ancorché in funzione pure di proposta o comunque in uno stato di pe de za i elazio e al o teg o del desti ata io, ed allo a dipe de à pu se p e da uest’ulti o la sorte definitiva del bene, ma del quale, in ogni caso, è salva la continuità giuridica: e) sia nel senso che la proprietà passi al destinatario solo ua do egli l’a etti; f) sia nel senso che, neanche in caso di rifiuto, il bene resta mai in una condizione di vacatio. E iò: f/ se o do u a spiegazio e, pe h il fo do, se ifiutato, dive ta nullius ed e t a elle a i del fis o ; f/ se o do u ’alt a, pe h , isoltosi lo stato di pe de za sulla p op ietà del fo do, di uesto si ha il ito o al i u zia te . Ma il su iassu to agio a e to, i tutti i suoi dis uti ili e già dis ussi passaggi, t adis e u vizio di ase: ed è il timore, in realtà i esiste te di uell’horror vacui al uale da e e luogo l’effetto a di ativo esti tivo della i u zia alla proprietà di un bene immobile di cui, per un certo tempo, non si saprebbe chi è il titolare». “e o do l’Aut i e, i ve e, o i sa e e ulla di strano in questo stato di incertezza soggettiva che, come già in altri o testi es. i a ito su esso io , vie e dall’o di a e to isolto edia te il p i ipio di et oattività. I pa ti ola e, anche in questo caso potrebbe venire in rilievo il concetto di delazio e, i teso o e essa a disposizio e del di itto i favore di un certo soggetto. Residua il problema di come la volontà di costui si relazioni rispetto a tale fenomeno, di cui si dirà infra nel testo. 224) LA TORRE, op. cit., p. 80; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 64; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 150; BRANCA, Servitù prediali, cit., p. 404; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 301; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 586; BARBARO, Delle servitù prediali, cit., p. 836; PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 65; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 263 ss.; TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p. 86 ss. 225) “e o do la dott i a he si o upata del p o le a, la t as izio e dell’atto i esa e, dete i a do u a uisto a titolo derivativo (a differenza di quanto accade nelle ipotesi di rinunzia abdicativa pura, cui segue un acquisto altrui a titolo originario), dovrebbe essere presa contro il rinunziante ed a favore del destinatario. Cfr. in tal senso PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 65; FERRI-ZANELLI, Della trascrizione. Art. 2643-2696, cit., p. 130. 226) LA TORRE, op. cit., p. 83; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 301; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 269. 227) 228) GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 26; TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p. 87. MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 308 ss.; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 266 ss.; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 584; FAVARA, Abbandono di fondo, cit., p. 13; TAMBURRINOGRATTAGLIANO, Le servitù, cit., p. 431. In tal senso v. anche Cass. 22 giugno 1963, n. 1681, cit., p. 924, per la quale «La ost uzio e giu idi a dell’a a do o li e ato io, più i evi ile i ua to più ade e te ai p i ipi, uella he i o ette alla i u zia della p op ietà del fo do se ve te, fuo i di og i s he a o t attuale, l’effetto di po e il fo do stesso a disposizione del proprietario del fondo dominante, al quale è data facoltà, con successiva dichiarazione di appropriazione, di acquistarlo, senza che tale dichiarazione, positiva o negativa che sia, possa esercitare una qualche influenza sugli effetti li e ato i dell’a a do o. Nella ipotesi he il p op ieta io del fo do do i a te ifiuti di fa p op io il fo do se ve te o resti inerte, parrebbe, come già rilevato in dottrina, più coerente col concetto della rinuncia ritenere che il rifiuto o la mancata dichiarazione di acquisto da parte del destinatario determini, rispetto al fondo, una situazione di derelizione con tutti gli effetti che a tale stato ineriscono». 229) PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 65; LA TORRE, op. cit., p. 114 ss.; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 149; L. BOZZI, La negozialità degli atti di rinunzia, cit., p. 63; GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, cit., p. 263; TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p. 87. 230) Cfr. LA TORRE, op. cit., p. 116, secondo la quale il proprietario del fondo dominante, ormai privato del suo credito per effetto della rinunzia, «vie e a t ova si i u a situazio e ella uale, ispetto al tutto pe duto , uel di itto di p op ietà he fo a oggetto dell’a a do o i suo favo e app ese ta u ta to di guadag ato ». 231) Cfr. BIONDI, Le servitù, cit., p. 525, secondo il quale «che l’a uisto sia o igi a io o de ivativo o ha i po ta za: a o h originario, per il solo fatto che inerisce al fondo, la servitù sussiste come sussiste nel caso di usucapione del fondo. La sussiste za de iva o dal t asfe i e to a dall’a uisto della p oprietà». 232) In tal senso cfr. LA TORRE, op. cit., p. 133; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 267 e 273; nonché Cass. 22 giugno 1963, n. 1681, cit., p. 924: «Certo è che, quale possa essere la condizione in cui viene a trovarsi il fondo servente nella fase su essiva all’a a do o i o di e alla sua a uisi ilità, gli o e i i o e ti sul p op ieta io del fo do se ve te essa o auto ati a e te, pe esti zio e, i o o ita za all’atto u ilate ale di i u zia». 233) LA TORRE, op. cit., p. 118 ss.; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 314; TAMBURRINOGRATTAGLIANO, Le servitù, cit., p. 428; PESCATORE-ALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 586. 234) MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 302, nt. 20 e p. 312; PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 64; LA TORRE, op. cit., p. 113; BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 150; PESCATOREALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 585; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 269. Isolata è rimasta la tesi di MAIORCA, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, cit., p. 110 ss., il quale affermava il carattere originario dell’a uisto da pa te del p op ieta io del fo do do i a te, al pa i della usucapione. Sul punto v. le critiche mosse da PUGLIATTI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 64 ss. 235) 236) V. par. 3.2. BRANCA, Servitù prediali, cit., p. 405 ss.; BIONDI, Le servitù, cit., p. 483 ss.; MESSINEO, Note sulla rinunzia al fondo servente a scopo liberatorio, cit., p. 317; LA TORRE, op. cit., p. 134 ss.; GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, cit., p. 279 ss.; PESCATOREALBANO-GRECO, Della proprietà, cit., p. 588. (Riproduzione riservata)