Stadium n. 4/2022

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POSTE ITALIANE S.P.A. –SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALEAUT. 66/2011 STAMPE IN REGIME LIBERO

Con lo sport per realizzare le speranze d’una vita piena

GLI AUGURI DI VIVERE I GIORNI DI NATALE NELLA GIOIA DELLA SOLIDARIETÀ CON ATTENZIONE AI FRATELLI IN DIFFICOLTÀ, PER REALIZZARE I VALORI DEL CSI

La ricchezza di questo numero e la pubblicazione di tanti contributi provenienti dai molti Comitati di tutta Italia sono il segno del successo di “Stadium” che, nella sua “rinascita”, compie un anno esatto con questo n. 4 del 2022, essendo in realtà nato con il numero 0 della edizione speciale in occasione dell’incontro ad Assisi del 2021.

In questo anno Stadium è stato fedele testimone del cammino CSI accompagnando e spesso illuminando l’attività sportiva del CSI. Questo era il mandato, queste erano le aspettative e questo è stato fatto. Ringrazio perciò tutti coloro che ci hanno creduto e che ci hanno lavorato con entusiasmo e voglia di fare bene.

Stadium n. 4 del 2022 è dedicato in particolare alla disabilità nell’espressione sportiva. L’intervista al Presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli, è da questo punto di vista la sintesi dei valori di condivisione che il CSI rappresenta nei confronti di ogni forma di attività sportiva. Così come illuminanti sono alcuni articoli con i quali Stadium racconta le esperienze di vita – esperienze fortemente educative – di alcuni atleti paralimpici. Articoli che fanno riflettere e che aiutano ad avvicinare una realtà

che a volte ci appare un po’ lontana e che invece va vissuta partecipando, tutti insieme, alla stupenda avventura umana, secondo gli auspici espressi ancora dal Presidente Pancalli quando sottolinea: «Il nostro obiettivo, ieri come oggi, è quello di intercettare le speranze e le aspirazioni di ragazze e ragazzi che vedono nello sport uno straordinario strumento per riappropriarsi della propria vita». Meraviglioso: attraverso lo sport realizzare le speranze di vivere una vita piena. In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, Stadium è così portatore di cultura, solidarietà e, soprattutto, speranza. Quella speranza che deve continuare, nonostante tutto quello che sta succedendo, a sostenere l’impegno solidaristico, educativo e formativo del CSI.

Avrei tanto desiderato poter augurare a tutti, nell’approssimarsi del Santo Natale, di trascorrere nella serenità e nella solidarietà questi giorni che per i cristiani sono i giorni che aprono il nuovo orizzonte della salvezza portata da Gesù.

Lo faccio comunque, pur consapevole che la speranza e la fiducia che ci hanno sorretti in questi ultimi tempi tanto difficili, sono appesantite dalle orribili vicende, dalle sofferenze intollerabili e assurde,

provocate dalla guerra. Certo, ora che è così vicina, la guerra, ci ha costretti ad aprire gli occhi sulle sofferenze che l’umanità, nella sua dimensione fraterna, non ha mai smesso di subire. Ovunque le guerre, le ingiustizie, le sopraffazioni hanno portato solo morte e distruzione. Mai progresso e benessere. Ma ovunque, allo stesso tempo, la presenza del messaggio cristiano e l’operosa disponibilità di tanti volontari, come quelli che animano la proposta sportiva del CSI su tutto il territorio nazionale, tiene accesa la luce della giustizia e dell’amore per il prossimo.

In particolare mi sia permesso esprimere un augurio speciale alle persone e alle famiglie che sono nella sofferenza a causa delle malattie, dei problemi economici, delle ingiustizie. L’augurio è, dal profondo del cuore, che possano trovare sollievo grazie alla vicinanza di persone amiche capaci di far sentire, anche concretamente, che nessuno è lasciato solo, perché solo così ci salviamo tutti.

Buon Natale a tutti, buona conclusione dell’anno 2022 e buon inizio del 2023.

Vittorio Bosio Presidente nazionale CSI

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PAROLA DI PRESIDENTE

Parola di Presidente p. 1

L’angolo dell’Assistente p. 3

Politica: La disabilità per noi è normalità p. 4

Dossier: La storia di Fabrizietto p. 7

Dossier: Non più “noi e loro”, ma semplicemente “noi” p. 8

Dossier: Christian, la forza della vita p. 12

L’intervista: Luca Pancalli p. 16

Terzo Settore: Eurobarometro, dati allarmanti per lo sport p. 20

Polizze&Sport p. 23

Nati nel CSI: «Per questo mi chiamo Francesco» p. 24

Focus: Covid-19, quanto è stata dura! p. 30

Attualità: Ferdinando De Giorgi p. 32

Pillole di storia p. 38 CineSport p. 40 #VitaCSI p. 41 In libreria p. 48

EDITORE E REDAZIONE

Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma www.csi-net.it - comunicazione@csi-net.it

Mail di redazione: stadium@csi-net.it

PERIODICITÀ Trimestrale

DIRETTORE RESPONSABILE

Leonio Callioni

DIRETTORE EDITORIALE

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REDAZIONE

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FOTO

Archivio fotografico CSI, Daniele La Monaca, ufficio stampa FIPAV

SEGRETERIA DI REDAZIONE

Laura Sanvito

GRAFICA Gianluca Capponi, Loretta Pizzinga

HANNO COLLABORATO

Riccardo Buffetti, Elena Boni, Maurizio Caterina, Stefano Ceccarelli, Simone Corradetti, Cecilia Dainese, Giulia Di Stefano, Agnese Gagliano, Marika Minghetti, Massimo Montanari, Lorenzo Morano, Alessia Nicoletti, Federigo Noli, Pasquale Scarlino, Paolo Seminati, Ilario Tancon, Luca Tarquini, Salvatore Tropea, Laura Valenzuela, Diego Vitale

Stadium è iscritto presso il Tribunale di Roma - Sezione Stampa al n. 158/2021 del 5/10/2021

Stampato da Varigrafica Alto Lazio, Zona Ind.le Settevene - 01036 Nepi (VT) Italia - su carta Fedrigoni Arena White Smooth da 140 gr. biodegradabile e riciclabile

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«Arrendersi non è un’opzione»

Sarete d’accordo con me nel riconoscere che Bebe Vio, trionfando per la seconda volta consecutiva alle Paralimpiadi, ha lanciato un messaggio a tutti noi: smettiamola di lamentarci. Piantiamola di vedere soltanto il peggio di noi stessi. Scappiamo dalla rassegnazione e riaccendiamo il motore della speranza. «Arrendersi non è un’opzione»: è la frase fulminante e bellissima pronunciata da Carlotta Gigli, nuotatrice ventenne, affetta da retinopatia degenerativa, dopo il record mondiale nei duecento metri misti. Lo si può cantare anche sulle note di “Volare”, come hanno fatto le tre ragazze, amputate di gamba, sul podio tutto italiano dei 100 metri piani: Ambra Sabatini oro e record del mondo, Martina Caironi argento e Monica Contraffatto bronzo. Lo si ammira nello sforzo del nuotatore cinese Zheng Tao, che esce dalla piscina sollevato da un tubo stretto tra le labbra essendo privo di braccia. Una disabilità che, tuttavia, non gli ha impedito di vincere cinque ori paralimpici. Ogni storia, ogni medaglia, ogni gara è una lezione su come ciascuno di noi abbia sempre la forza di andare avanti. È questo il vero segreto della felicità! Non rimanere paralizzati dal dolore per il proprio limite e vincolo, ma fare

Ogni storia, ogni gara è una lezione su come ciascuno abbia sempre la forza di andare avanti. È questo il vero segreto della felicità!

Non rimanere paralizzati dal dolore per il proprio limite, ma far leva su questo per lanciarsi oltre gli ostacoli

leva proprio su questi per lanciarsi oltre l’ostacolo con l’obiettivo di fare il massimo possibile. Si tratta di qualcosa di più che semplicemente abbassare l’asticella delle proprie aspettative. Dobbiamo ammetterlo, anche noi siamo atleti paralimpici. La nostra vera competizione, nella quale siamo impegnati quotidianamente con il nostro lavoro e la nostra vita, è piena di limiti e difficoltà. Siamo imperfetti, feriti, menomati, disabili: tutti siamo chiamati ad affrontare una lotta. Tutti abbiamo bisogno della forza di questi atleti, che si chiama “coraggio”. Quel famoso coraggio manzoniano, che se uno non ce l’ha non se lo può dare. Loro invece l’hanno avuto e se lo sono dato confrontandosi quotidianamente con avversità di ogni tipo, comprese le loro disabilità, per trasformarle poi in punti di forza. Questi sono atleti davvero speciali perché hanno trovato la forza di rendere bella, piena e felice la loro vita ferita e ammaccata. Sono stati in

grado di cancellare dal vocabolario l’avverbio “nonostante” per lanciare a tutti questo messaggio: nonostante non esiste, «se sembra impossibile, allora si può fare». L’impossibile è possibile. Noi che abbiamo le gambe e le braccia, che possediamo occhi e orecchie funzionanti, a volte ci scopriamo incapaci di usarli ritrovandoci sordi, ciechi e immobili. La paura e la rassegnazione paralizzano, solo il coraggio offre la capacità di ripartire. Questi straordinari atleti paralimpici, famosi o che frequentano le nostre società sportive, sono un grande esempio per tutti noi. La loro tenacia è l’invito a credere che per riuscire nell’impresa della nostra vita, per realizzare il sogno che abbiamo in mente, dobbiamo combattere contro problemi, limiti e mali che non potevamo neppure immaginare… e vincerli!

don Alessio Albertini Assistente ecclesiastico nazionale CSI

Stadium 3 L’ANGOLO DELL’ASSISTENTE
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LA FRASE DELLA NUOTATRICE PARALIMPICA CARLOTTA GIGLI CI INDICA LA FORZA DI QUESTI ATLETI, CHE SI CHIAMA “CORAGGIO”

«La disabilità per noi è normalità»

«DA SEMPRE IL CSI CONSIDERA LO SPORT AL SERVIZIO DELLA PERSONA, METTENDOLA AL CENTRO DI TUTTO IL SUO LAVORO, CON O SENZA DISABILITÀ. NON ABBIAMO MAI CONSIDERATO L’ATLETA CON DISABILITÀ COME PARTE “DIVERSA” O MEGLIO, NON ABBIAMO MAI DATO ALLA PAROLA “DIVERSITÀ” UN’ACCEZIONE NEGATIVA. LA DISABILITÀ PER NOI È NORMALITÀ E VA ACCOLTA. PER NOI È ESSENZIALE PRIMA DI TUTTO VOLER BENE ED ACCOGLIERE. POI TUTTO IL RESTO». (VITTORIO BOSIO, PRESIDENTE NAZIONALE CSI)

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Èsu queste parole del presidente nazionale, Vittorio Bosio, che si fonda tutto il lavoro del Centro Sportivo Italiano a favore delle persone con disabilità che desiderano fare sport. L’attività sportiva è in grado di generare, per sua natura, un contesto privilegiato sotto tanti aspetti; in particolare rispetto a tematiche quali integrazione, socializzazione e inclusione.

Praticare un’attività sportiva e cercare di raggiungere un obiettivo sviluppa autostima, attenzione e benessere, fisico ed emozionale. In particolare, il benessere emozionale equivale alla consapevolezza che tu ce la puoi fare, che qualcuno crede in te, indipendentemente dalle tue abilità.

In una società sportiva che crede e lavora anche per il benessere emotivo puoi trovare persone che ti aiutano, soprattutto in un’ottica di allenamento al miglioramento. Ti consigliano come muoverti per raggiungere risultati migliori, ti spronano a non mollare, ti stimolano a superare fatiche ed ostacoli e questi insegnamenti valgono per tutti, senza differenze, per crescere sia come atleti che come persone. L’attività sportiva diventa così un mezzo meraviglioso per avvicinare le persone e porle al centro di un progetto educativo.

Il CSI poggia il suo impegno nel mondo sportivo su precisi valori e scopi, volutamente inseriti nel proprio statuto e nel patto associativo. L’uomo, la persona umana, è al centro del suo progetto educativo pertanto, a maggior ragione, il CSI vuole operare in un settore, come quello della disabilità, che necessita ancora di essere aiutato a crescere e a raggiungere una dignità sportiva equiparata a tutte le altre attività sportive.

Proprio per raggiungere questo obiettivo e al fine di avviare azioni incisive sia a livello nazionale che di coordinamento sui territori, il Centro Sportivo Italiano si è dotato di un’apposita commissione che lavora in sinergia con tutta l’Associazione, a tutti i livelli.

Attraverso un importante lavoro di rete tra associazioni, società sportive e comitati territoriali sono state infatti incrementate le occasioni di incontro tramite tornei, manifestazioni e corsi formativi.

Moltissime le attività che le società affiliate al CSI, da nord a sud, già propongono con impegno per rendere accessibile la bellezza dello sport anche alle persone che, avendo delle disabilità, potrebbero trovarsi ad essere escluse dallo sport praticato.

A Ravenna, oltre a corsi di

qualifica come operatori sportivi per la disabilità ed eventi volti alla promozione dell’inclusione come “Giocando senza frontiere”, meeting dedicato all’inclusione sociale attraverso gare di atletica e tornei dedicati ad atleti con disabilità, e “Correndo senza frontiere” che apre le porte della Maratona di Ravenna Città d’Arte ad atleti impossibilitati ad affrontare distanze più impegnative, scopriamo “Oltre la siepe”, manifestazione nazionale di pallavolo, in collaborazione con la FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali) e patrocinata dal CIP, con il maggior numero di partecipanti con difficoltà intellettivo-relazionali.

Anche a Mantova un “Oltre la siepe” raccoglie, in una giornata conclusiva, tornei all’insegna dello sport inclusivo. A Salerno, “Oltre lo sport” con

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Dossier
L’uomo, la persona umana, è al centro del progetto educativo CSI, il quale, pertanto, a maggior ragione, vuole operare in un settore, come quello della disabilità, che necessita ancora di essere aiutato a crescere e a raggiungere una dignità sportiva equiparata a tutte le altre attività sportive
“ di Alessio Franchina

il basket in carrozzina, è un evento organizzato in occasione della giornata della disabilità in collaborazione con il CUS e associazioni paralimpiche e il patrocinio del CONI e del CIP. A Nuoro “Sulle ali dell’inclusione”, un progetto il cui sviluppo si è articolato in un periodo iniziato ad aprile 2022 e terminato lo scorso novembre, orchestrato dall’ASD Speedysport con il coinvolgimento di ben 10 comuni della provincia, che ha proposto moltissime attività e progetti sportivi per creare una vera inclusione dei ragazzi con disabilità attraverso lo sport.

Troviamo poi le “Virgiliadi” a Mantova, mini olimpiadi dedicate a ragazzi

con disabilità intellettivo-relazionali, la “Coppa del sorriso” a Roma, proposta attiva dal 2010 del CSI Roma all’interno della Commissione Sport e Marginalità. Anche tanti altri comitati come ad esempio Foligno, Siracusa, Bergamo, Varese, Brescia, Cava De’ Tirreni, Reggio Calabria, Pesaro-Urbino, Livorno, Volterra, Acireale, Modena, Latina, Firenze, Pistoia, Cremona hanno da tempo incorporato, nelle loro proposte sportive, attività inclusive con un particolare e specifico riguardo alla disabilità.

Ma questi sono solo gli esempi più “evidenti” del grande e quotidiano lavoro che le società CSI fanno, su tutto il territorio italiano, per regalare

a tutti i propri tesserati, con o senza disabilità, la possibilità di fare sport… com’è giusto e normale che sia. Da qualche anno, il CSI ha ricevuto dal Comitato Italiano Paralimpico la qualifica di ente di promozione sportiva paralimpico, a testimonianza del grande lavoro svolto quotidianamente dalle oltre 1000 società sportive sparse su tutto il territorio nazionale e che svolgono attività sportive, ludiche e motorie per persone con disabilità.

Il grande lavoro è anche quello di conoscerle e farle conoscere in quanto fare rete è il miglior strumento di promozione di un valore in cui crediamo fortemente: l’inclusione.

Giorgia Greco, una farfalla inarrestabile Stadium ha conosciuto Giorgia Greco ai campionati nazionali CSI di ginnastica ritmica del 2018, impegnata come allieva alla fune. Prima ancora ai regionali della Lombardia. Nella palestra brianzola della Sesto Ritmic Dreams a Sesto San Giovanni la conoscono da sempre. Il grande pubblico l’ha invece scoperta e apprezzata nel 2021 quando in tv, sotto i riflettori di “Italian’s Got Talent”, la giudice Federica Pellegrini con il Golden Buzzer la portò direttamente in finale. La storia di Giorgia parte da una foto, dall’immagine di una bambina di 7 anni che porta i segni evidenti della chemio. In quella foto la piccola è ritratta mentre effettua una verticale a muro con l’apparecchio della chemioterapia attaccato al braccio. Oggi Giorgia ha 15 anni, recentemente al Gran Prix della Federginnastica era a cantare l’inno di Mameli. Gareggia sempre nel CSI con quella stessa passione vitale per la ginnastica ritmica, che dalla sua cameretta ha portato sino in palestra. Con quel suo dinamismo e quella voglia inarrestabile di sport che non si sono fermati nemmeno davanti alla terribile diagnosi del 2014: un osteosarcoma con conseguente disarticolazione della gamba destra. Sempre in pedana, anche da amputata, mai ridimensionato il suo sogno, quello di aggregare altre giovani atlete nella sua medesima condizione e creare un piccolo grande movimento di ginnaste irriducibili quanto esemplari.

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La disabilità per noi è normalità

La storia di Fabrizietto

Questa è la storia di Fabrizio, alias Fabrizietto, e di quel calcio che ancora conosce il sentimento, la poesia, l’odore dello spogliatoio, la maglia senza sponsor con numeri troppo grandi per lui e che narrano di un giovane apprendista campione. Fabrizio: stravagante, lunatico, angelico, troppo presto orfano di madre e padre, cresciuto in collegio dalle suore e poi escluso dalla vita con un solo amico, il suo dito medio, l’altro da sé, con cui ancora imbastisce discorsi senza fine con domande e risposte e con la voce che cambia a seconda dell’io narrante. Fabrizio: l’uomo giusto al posto giusto, operaio addetto al mangano della lavanderia industriale Coop integrata Spazio Lavoro, un progetto per l’integrazione lavorativa di persone con disabilità. Fabrizietto davanti alla macchina infernale sbuffa, strepita, suda, fatica ma insieme ai suoi colleghi/amici non tradisce mai le aspettative. E la sua passione per il calcio. Correva l’anno… tanta acqua è passata sotto i ponti… immagini sfocate… un campetto di terra, un pallone regalato, magliette di colori diversi, scarpe da passeggio e ragazzi speciali con tecnici volontari

e tanta voglia di dimostrare che il calcio, in quanto gioco, ha un’anima ed è un grimaldello per scardinare pregiudizi ed esclusione sociale.

Una grande squadra variopinta che supera la goffaggine ed i sorrisi di sarcasmo con il coraggio di chi è abituato alle sfide con la vita. Fabrizio ha i suoi problemi ma ha anche un’innata capacità calcistica: dribbling, piroette, destro e sinistro, tiri fulminanti, colpi di tacco, cannoniere insaziabile. E poi l’esultanza: un salto mortale, impossibile per tutti. Allenamenti, partite, prati, strade, stadi, qui, là, dove c’è da giocare si va. Grazie all’impegno volontario di tutti, la squadra cresce in autostima e autonomia.

I ragazzi, compreso Fabrizio, sono ormai consapevoli delle loro capacità. Arriva inaspettata la grande notizia: Fabrizio da Ariccia è convocato per la squadra nazionale di calcio Special Olympics, che

rappresenterà l’Italia ai Giochi Mondiali di Shanghai, con la fascia di capitano! Incredulo capitan Fabrizio non sta nella pelle. Non dorme pensando al viaggio di 14 ore in aereo, ad un paese sconosciuto, a genti diverse, allo stadio, alle partite, lontano dalle sue certezze però consapevole, nonostante le sue difficoltà, di vivere un sogno. Finalmente si va… da Ariccia a Shanghai… che brivido! Nuovi orizzonti, altre abitudini, giocare con altre nazioni. Sapersi adeguare: un affare non da poco e non così semplice. Nicaragua, Myanmar sotto l’uragano, Irlanda, Principato di Monaco, Fabrizio quando è schierato fa la sua parte…segna ed esulta da giocatore della Nazionale. Arriva la finale: Italia – Guatemala…1 a 0 per l’Italia, 1 pari, 2 a 1 per il Guatemala… Mancano 5 minuti… entra Fabrizio… ormai solo catenaccio… palla che supera la difesa sbuca Fabrizietto e… E qui vorremmo tutti il lieto fine ma, ahimè, il destino fa sbattere il tiro sul palo di sinistra che poi carambola sul palo di destra, ballonzola sulla linea ed esce. L’arbitro fischia la fine. Vice campioni e… scusate se è poco per Fabrizietto, calciatore da Ariccia.

Storie stra-ordinarie dai Comitati
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Ci sono bisogni fondamentali che accomunano tutti: essere riconosciuti, avere stima di sé e amarsi, donare e contare per gli altri

Non più «noi e loro», ma semplicemente «noi»

La diversità spesso ci mette in crisi, ci inquieta, ci infastidisce, particolarmente quando manifesta una difficoltà, un limite o un deficit. Bartimeo il cieco, seduto al bordo della strada, grida a tutti che lui ha un problema. Dà fastidio, al punto che gli apostoli gli dicono di smettere per non disturbare il Maestro. Ma Bartimeo non grida solo con la voce; le persone con disabilità non gridano solo con la voce, gridano col loro corpo, con la loro presenza. Ci turbano perché di fronte a loro non possiamo rimanere indifferenti, siamo costretti a metterci in discussione. Scattano allora meccanismi di difesa che hanno l’obiettivo di allontanare il problema. La difesa più immediata è l’allontanamento fisico. Un meccanismo molto attivo fino alla metà del secolo scorso, ma tuttora molto presente. Un altro modo per difendersi è quello del pietismo. La pietà è un sentimento molto nobile, ma facilmente si rischia di scivolare nel pietismo dove il problema è quello di mantenere una netta separazione tra “noi” e “loro”: noi siamo i normali, loro i

disabili; noi quelli che aiutano, loro quelli che hanno sempre bisogno. Un terzo meccanismo di difesa è la negazione: «la diversità non conta nulla, è una cosa superficiale; in fondo siamo tutti uguali perché siamo tutti esseri umani». Provate a dirlo a chi è in carrozzina e non riesce a camminare! Ma se non siamo tutti uguali, ci difendiamo usando l’idealizzazione: «La diversità è bella! Non siamo forse tutti diversi?» Allora «la diversità è produttiva, è creativa». È un altro modo per squalificare l’esperienza, spesso triste e faticosa, di chi lotta con i propri limiti per cercare una vita dignitosa. Come conciliare questa antinomia irriducibile: essere diversi e uguali insieme? Non rifiutare la diversità, ma da un lato considerarla per quello che è, e nello stesso tempo riconoscere che ci sono bisogni fondamentali che accomunano tutti. Quali sono questi bisogni? Il primo è quello di essere riconosciuti. Poi avere stima di sé e amarsi, con le proprie difficoltà e i propri limiti. Altro bisogno è quello di appartenere, di esserci per qualcuno con la prospettiva di “contare” per gli

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Non più “noi e loro”, ma semplicemente “noi”

altri. Non basta l’accoglienza, non basta l’appartenenza, occorre che l’essere con gli altri significhi anche essere utili per gli altri. E l’ultimo dei bisogni è “donare”. Troppe volte alle persone con disabilità è stata tolta l’esperienza di essere un dono, reale e non astratto.

Un dilemma irrisolvibile

Lo sport per sua natura ha la necessità di definire delle regole: senza le regole non ci sarebbe gioco, non ci sarebbe il confronto. Ma proprio perché è necessario, ogni volta che definiamo una regola, creiamo una separazione e quindi facciamo un’operazione di in-clusione e di es-clusione. Questo dilemma irrisolvibile dello sport è spesso anche il dilemma irrisolvibile di tutti i progetti e le proposte per le persone con disabilità. Storicamente come è stato affrontato questo dilemma? Sono due i modelli. Il primo è quello della specializzazione: per poter dare di più e meglio agli atleti partecipanti si crea un territorio culturale ed organizzativo specifico, si creano sport speciali o attività speciali dentro gli sport. Ciò permette una competizione più equilibrata perché si mettono insieme solo persone con un deficit simile. L’esempio a tutti noto è quello delle Paralimpiadi. Questo modello è molto positivo dal punto di vista della crescita e del miglioramento e tuttavia ripropone in maniera drammatica la separazione. Il modello alternativo è quello dell’inclusione, che permette a tutti di partecipare insieme, di socializzare; il rischio tuttavia è che la qualificazione dell’attività venga meno fino al punto che, si dice, «purché si stia insieme va

Non più PARAlimpiadi, ma ALLimpiadi, non più calcio integrato ma calcio, non più baskin ma basket, non più sport speciali ma semplicemente sport. Così possiamo superare tutte le barriere culturali

sempre bene». E invece non va per niente bene, perché si rischia di considerare la diversità come qualcosa di squalificato, una zavorra solo inutile. L’inclusione deve anche portare al miglioramento.

La normalizzazione dello sport Quando pensiamo allo sport normalizzante, ci rifacciamo ai bisogni fondamentali della persona per comprendere come i modelli sportivi rispondano a questi bisogni. Occorre ribadire comunque che non esiste un modello perfetto ed altri negativi: ogni modello ha una sua validità e si adatta a specifiche situazioni. Un progetto di sport “inclusivo” dovrebbe contemplare, in maniera integrata, la proposta di vari modelli. Detto ciò, il primo modello è Fare come gli altri. In questo caso le attività, pur rivolte a persone con disabilità, dal punto di vista dell’organizzazione sono esattamente come quelle di tutti. L’esperienza della normalizzazione si fa quando noi facciamo le cose uguali a tutti, con l’organizzazione uguale a quella di tutti, con rispetto delle regole, non solo quelle di gioco che magari possono essere adattate, ma quelle dello sport: l’agonismo, l’impegno, la serietà, l’amicizia e così via. Concretamente: stessi impianti sportivi di tutti, partite regolari, arbitri ufficiali, allenamenti e campionati, perché non si fa sport due giorni all’anno, la classifica che è il modo con cui ci si confronta con i propri risultati, la festa, il pubblico e anche i premi, che sono un altro modo di riconoscere quello che uno fa.

Stare fra gli altri. Anche in questo caso si tratta di attività che vengono svolte da persone con disabilità, che

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tuttavia si svolgono in un contesto in cui ci sono tutte le altre categorie di atleti, giovani, adulti, ragazzi e ragazze. Si crea così uno spazio di assoluta integrazione perché lo sport non si identifica con la gara, ma con esperienze sociali più ampie e la squadra non vive soltanto sul campo.

Contare per gli altri. Ognuno di noi sente che è davvero se stesso quando ha qualcosa da regalare e donare agli altri. Non basta che la mia presenza nella squadra venga accettata, occorre che sia desiderata e utile. Per fare questo è necessario che le regole del gioco

vengano modificate e adattate in modo che le potenzialità di ciascuno siano valorizzate e rese preziose per la squadra.

Misurarsi con gli altri. Lo sport insegna a riconoscere i limiti e ad amare se stessi nonostante i limiti. Questo è complicato e difficile per le persone con disabilità, ma lo sport è un buon aiuto. E tuttavia i limiti esistono anche per essere combattuti e quindi per riuscire a migliorare.

Troppo spesso alle persone con disabilità non si chiede di cambiare, di combattere, di migliorare; vengono trattate da “croniche”,

da proteggere e si toglie loro la speranza.

Affinchè lo sport diventi normalizzante occorrono allora due cambiamenti radicali, perché lo sport storicamente non è adatto a svolgere una funzione di normalizzazione delle persone con disabilità. Innanzitutto occorrono dei cambiamenti del contesto: gli impianti, il terreno di gioco devono essere modificati perché siano aperti e accessibili davvero a tutti. E non parliamo solo di barriere architettoniche. Occorre inoltre un cambiamento delle regole, che devono essere adattate a tutti, diverse perché siano commisurate a ciascuno, permettendogli di esprimere se stesso e di contare per gli altri, confezionate sulle risorse e non sui deficit. In questa dimensione relazionale complessiva, olistica oserei dire, la diversità non è né un limite né una risorsa, ma è semplicemente una modalità della vita che appartiene a tutti, che condiziona tutti, che aiuta tutti. Per questo occorre andare oltre l’integrazione, oltre l’inclusione, per realizzare lanormalizzazione.

Non più PARAlimpiadi, ma ALLimpiadi, non più calcio integrato ma calcio, non più baskin ma basket, non più sport speciali ma semplicemente sport. Possiamo così sperare di superare tutte le barriere che continuano a dividere persone con disabilità e persone non disabili, barriere prima di tutto culturali.

È la diversità che è normale e possiamo riconoscerci tutti come persone e cittadini dello stesso mondo.

Non più “noi e loro”, ma semplicemente “noi”.

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Una sofferenza cerebrale alla nascita toglie alcune possibilità al ragazzo ma non la capacità di mostrare al mondo le sue qualità di vincente. Mamma Silvia racconta la sua storia

Christian, la forza della vita

Da quel giorno sono passati quasi 12 anni, ma lo ricordo come fosse ieri il giorno della nascita di Marco e Christian, i miei due gemellini. La dottoressa ci chiama, ci fa entrare, ci fa sedere. Sicuramente vuole aggiornarci sulle condizioni dei bambini. E invece le parole sono altre: il cuore di Christian si era fermato. Il cuore del mio bambino appena nato, prematuro di 2 mesi, del peso di poco più di 1 kg. Il suo cuoricino si era fermato. Penso che in quel momento anche il mio si sia fermato, forse per qualche secondo. Quello di Christian per 20 minuti.

Lei inizia a dire cose tipo «l’abbiamo rianimato, l’abbiamo intubato…» ma io non sto più ascoltando, piango, voglio solo andare a vederlo, vedere se è vivo, se respira. Mi accompagnano e lo trovo in una culla termica, con tanti tubicini attaccati, macchinari intorno a lui che suonano e scandiscono i battiti del suo cuore e, a questo punto, la stoccata definitiva: “paralisi cerebrale”, il suo cervello ha riportato un danno.

E a quel punto i miei pensieri iniziano a galoppare. In quel

periodo lavoravo nelle scuole come assistente educatrice, affiancavo i bimbi disabili nelle loro giornate scolastiche, vivevo e condividevo le loro gioie e le loro fatiche e quelle delle loro famiglie. Ora ci sarei stata io dall’altra parte, sarei stato io il genitore da confortare, qualcuno avrebbe parlato a me delle fragilità di mio figlio, io avrei avuto bisogno dei servizi sociali; sarei andata agli incontri in neuropsichiatria da genitore non da insegnante e tutto quello che io dicevo alle famiglie dei miei bambini qualcuno ora lo avrebbe detto a me.

Non è così che doveva andare. A volte la vita non va come ti aspetti, come l’hai pensata, come l’hai programmata... ma è così che è iniziata la storia della nostra “famiglia speciale”. Abbiamo avuto la fortuna che la disabilità di Christian si è manifestata piano piano. Man mano che lui cresceva cercavamo di capire quali potessero essere i suoi punti di forza e le sue fragilità, gioivamo di ogni sua conquista e di ogni suo progresso, ma presto abbiamo capito che le sue difficoltà motorie erano

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di Silvia Merli

serie, il paragone con il fratello gemello era inevitabile. Marco striscia e lui no, Marco gattona e lui no, Marco si alza in piedi e lui no. E così inizia il percorso di riabilitazione, ginnastica, specialisti, psicomotricità, ricerche varie, non sempre fruttuose e non sempre utili. A volte lo sconforto prendeva il sopravvento e, aggrappati alla speranza e all’illusione di poter trovare qualcuno che ci potesse aiutare, che potesse aiutare Christian, purtroppo ci siamo imbattuti in venditori di fumo che promettevano il miracolo, e ci abbiamo voluto credere, ci abbiamo voluto provare, perché il dolore e il dispiacere erano talmente grandi da annebbiare quasi la mente e renderci irrazionali. Gli incontri con queste persone però ci sono serviti per farci capire, fortunatamente, quale fosse la strada giusta da seguire. Finché Christian era piccolo tutto è proseguito abbastanza tranquillamente. Poi però Christian ha iniziato a diventare grande, il passeggino che usavamo per portarlo fuori stava un po’ stretto, e all’età di 4 anni ci è stata prescritta la prima (di tante) carrozzina. Noi eravamo anche contenti tutto sommato, perché lui sarebbe stato più comodo e avrebbe potuto essere un pochino indipendente (e in realtà all’epoca avevamo ancora la speranza che avrebbe potuto camminare). Ma quando l’abbiamo visto per la prima volta seduto su quella carrozzina verde l’impatto è stato devastante. È come se la disabilità si fosse di colpo materializzata e manifestata in tutta la sua spietatezza.

Pochi giorni dopo la consegna della carrozzina siamo partiti per le vacanze al mare e lì abbiamo avuto per la prima volta un assaggio della quotidianità con la nostra nuova compagna di viaggio. Non avevamo mai pensato a quanto fosse difficoltoso spingere una carrozzina sulla spiaggia, non avevamo pensato di chiedere in hotel se l’ascensore fosse abbastanza largo, non abbiamo calcolato che nel baule ci sarebbe stato meno spazio per i bagagli… Ora queste cose le abbiamo imparate, queste e altre. Sappiamo per esempio che non possiamo decidere all’ultimo momento di partire in treno per una gita perché la pedana per salirci si deve prenotare con giorni di anticipo;

sappiamo che se vogliamo andare al mare dobbiamo assicurarci che la spiaggia non sia rocciosa, che ci sia una pedana che porta fino alla riva, che abbiano una sedia job per entrare in acqua. Se vogliamo fare una passeggiata in montagna dobbiamo cercare dove sono indicati i sentieri accessibili, se vogliamo andare in un parco divertimenti dobbiamo prima capire se ci sono delle attrazioni che Christian può usare, se vogliamo andare al ristorante ci dobbiamo assicurare che non sia troppo affollato e che ci si riesca a muovere senza far alzare tutti per passare. Se Christian deve andare in gita con la scuola dobbiamo far presente che serve il pullman con la pedana (anche se costa

Stadium 13 Dossier
Non conta il risultato.
Quando Christian è in campo e prende la palla ed entra nella porta con tutta la carrozzina e la lascia cadere oltre la linea, lui bacia la sua maglia ed esulta come se fosse il più grande giocatore al mondo, e per noi lo è

di più). Tante piccole cose a cui normalmente non si deve pensare, ma con il tempo ci siamo abituati e le difficoltà pratiche le sappiamo abbastanza gestire. Quello che invece facciamo tanta fatica a gestire è la parte emotiva e sentimentale. Christian è ormai un ragazzo, è pienamente consapevole della sua disabilità; spesso in casa ci scherziamo e facciamo battute, ma ci sono cose che lo turbano tanto. Un giorno, appena tornato da scuola, ha iniziato a piangere in un modo disperato e inconsolabile e mi ha detto che mentre passava nei corridoi della scuola si è accorto che un ragazzo più grande rideva di lui. Mi ha chiesto perché lui è così, perché è successo proprio a lui, ha voluto sapere se la sua vita sarebbe sempre stata così, ha detto che non voleva più uscire

di casa perché non voleva essere preso in giro, che sarebbe stato meglio se non lo avessi fatto nascere… e per una mamma è terribile sentire queste cose e sapere che il proprio figlio prova questo dolore.

Io so che nella vita incontrerà gente stupida e insensibile e gliel’ho spiegato, ma gli ho voluto dire che incontrerà anche persone che gli vorranno bene e che lo sapranno apprezzare per com’è se solo avranno la pazienza e la volontà di conoscerlo. Noi siamo stati fortunati negli incontri, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che dedicano tempo prezioso, anche sottraendolo alle proprie famiglie, per stare vicino a questi ragazzi, farli divertire, farli svagare, e per noi genitori è bello vedere Christian vivere questi momenti di

Move City Sport, progettare la libertà

Diverse le voci che hanno dato vita, lo scorso ottobre, al workshop “Progettare la libertà: lo sport come diritto… per tutte le abilità” organizzato da CSI Lombardia e LEDHA Lombardia a “Move City Sport”, la fiera dello sport per il benessere svoltasi a Bergamo.

Introdotti da Marco Zanetel, responsabile Terzo Settore e cittadinanza attiva del CSI Lombardia, e coordinati da Maurizio Trezzi, giornalista professionista, i relatori hanno introdotto al mondo della disabilità. Sono intervenuti: Vittorio Bosio, presidente nazionale del CSI; Gaetano Paternò, presidente CSI Comitato di Bergamo, Carlo Boisio, presidente del CBI – Coordinamento bergamasco dell’inclusione e referente di Bergamo per LEDHA - Davide Iacchetti, componente della Commissione Nazionale CSI - attività paralimpiche, Felicia Panarese, Segretario territoriale di Sport e Salute, Massimo Achini, presidente CSI Comitato di Milano, Armando De Salvatore, responsabile CRABA –LEDHA e Alessandro Munarini, responsabile nazionale CSI delle attività paralimpiche. Dai diversi punti di vista hanno affrontato il tema della disabilità nel mondo dello sport.

spensieratezza.

Un esempio lampante lo abbiamo quando vediamo Christian con la sua squadra di calcio. Ebbene si, lui gioca a calcio. È sempre stato il suo grande desiderio ma per anni glielo abbiamo dovuto negare perché non abbiamo mai trovato una squadra adatta ad accoglierlo. Lo abbiamo sempre portato allo stadio a vedere la sua amata Atalanta ma lui non era mai sceso in campo fino a quando un paio di anni fa ha potuto tesserarsi, come atleta CSI, in una squadra vera nata nella società del nostro paese: “AIB Special”. E sì, è veramente una squadra speciale, composta da giocatori molto speciali e allenatori e volontari ancora più speciali. Per Christian gli allenamenti del sabato sono un appuntamento imperdibile. Li aspetta con impazienza per tutta la settimana, a casa si vuole allenare perché il Mister deve essere orgoglioso di lui, si esalta quando parla con i suoi compagni di classe perché anche lui può raccontare come è andata la sua partita, con la sua squadra, si sente parte attiva di un gruppo, sente forte in lui questo senso di appartenenza e di inclusione. A nessuno interessa il risultato o la prestazione ma in questo caso più che mai lo sport aiuta a stabilire relazioni, crea buon umore e infonde maggior fiducia in se stessi. Quando Christian è in campo e prende la palla ed entra nella porta con tutta la carrozzina e la lascia cadere oltre la linea, lui bacia la sua maglia ed esulta come se fosse il più grande giocatore al mondo, e per noi lo è.

Inutile negare che le difficoltà ci sono e ci saranno ma, se Christian può affrontare tutto questo, possiamo anche noi!

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Christian, la forza della vita

In occasione della Giornata dedicata alle persone con disabilità, Stadium ha incontrato il presidente del CIP, le cui azioni e battaglie hanno inciso fortemente nell’evoluzione della cultura sportiva paralimpica nel nostro Paese, creando i presupposti per un cambiamento di percezione culturale e sociale nell’opinione pubblica

Luca Pancalli:

«Il CSI? Preziosissimo compagno di squadra»

IL CENTRO SPORTIVO ITALIANO È STATO IL PRIMO ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVA AD OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DEL MOVIMENTO PARALIMPICO ITALIANO

Del Presidente del Comitato Italiano Paralimpico si può solo parlar bene. La sua biografia, la sua storia, la sua capacità di rendere concreti progetti di alto profilo sportivo, sociale e culturale, sono ormai patrimonio della Nazione. Costretto da un incidente sportivo quando era un atleta di alto livello, ha modificato i suoi percorsi divenendo fondamentale punto di riferimento per il movimento paralimpico italiano.

Soprattutto ha cambiato in meglio la percezione dello sport paralimpico nella comunità, facendo entusiasmare giovani e adulti a discipline che offrono un approccio diverso dal consueto, dal consolidato nel tempo. Insomma, Pancalli è stato ed è un protagonista di primissimo livello di una vera e propria rivoluzione nel mondo dello sport. Per noi, per il Centro Sportivo

Italiano, ente di promozione sportiva che si preoccupa soprattutto di offrire attività educative e formative attraverso la pratica sportiva, il Presidente Pancalli è in particolare un amico. Uno vero, uno che conosce, che ascolta, che apprezza sinceramente l’attività della nostra Associazione. Non ci soffermiamo sulla presentazione del Presidente Pancalli perché il semplice racconto delle sue gesta e dei suoi meriti richiederebbe lo spazio di tutta l’intervista. Eccoci, perciò, alle domande sul CSI, sulla mission degli Enti di promozione sportiva, sulla necessità di diffondere sempre più l’attività sportiva, sia tra i giovani e sia tra i non più giovani.

«Complimenti a tutti gli atleti e a tutte le atlete che, in questi giorni di gare, sono andati a medaglia. Ma anche a chi non ha ottenuto podi ma ha

lottato e ci ha creduto fino alla fine. State dando, ancora una volta, una dimostrazione di serietà, di forza e di spirito di gruppo. Siete una stella luminosissima di un firmamento paralimpico che negli ultimi anni sta brillando con risultati sempre più prestigiosi ed entusiasmanti». Con queste parole, con questi sentimenti di condivisione lei, che è stato atleta di alto profilo, ha guidato con grande bravura e competenza lo sport paralimpico italiano. Uno sport di cui tutta la Nazione è giustamente orgogliosa. Quali sono gli altri ingredienti di questo straordinario successo sportivo e sociale?

I nostri successi sono frutto di tanti fattori, in primis della serietà e della determinazione delle atlete e degli atleti paralimpici insieme al

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di Leonio Callioni

Finalmente vediamo i risultati di anni di investimenti e di programmazione che hanno portato l’Italia a diventare un punto di riferimento a livello internazionale

grande lavoro che stanno portando avanti i tecnici, le Federazioni, le Associazioni e le Società sportive su tutto il territorio nazionale. Oggi finalmente vediamo i risultati di anni di investimenti e di programmazione che hanno portato l’Italia a diventare un punto di riferimento a livello internazionale. Il movimento paralimpico italiano viene ormai studiato all’estero come modello virtuoso e i nostri tecnici invitati in tutto il mondo a raccontare i metodi di preparazione. Un fatto che ci riempie di orgoglio. Ma ciò che ci regala maggiore soddisfazione è essere riusciti ad accrescere la credibilità del nostro movimento non solo sotto il profilo agonisticosportivo, ma anche e soprattutto

nella dimensione sociale divenendo – come sottolineò il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella –“avanguardia sociale del Paese” con l’obiettivo di cambiare la percezione della disabilità e contribuire, in questo modo, alla crescita civile della nostra società.

Caro Presidente, quanto ritiene importante la presenza del CSI sul territorio italiano per la promozione dello sport a misura di persona?

Moltissimo. Basti pensare che il CSI è stato il primo Ente di promozione sportiva ad ottenere il riconoscimento del movimento paralimpico italiano. Poter usufruire delle strutture del CSI rappresenta

Stadium 17

Luca Pancalli: «Il CSI? Preziosissimo compagno di squadra»

una grande risorsa per i nostri atleti e un supporto strategico nell’opera di diffusione delle attività paralimpiche multidisciplinari per ogni fascia di età e categoria. Come detto in precedenza, la promozione dello sport quale strumento di inclusione e integrazione e pezzo di welfare del nostro Paese rappresenta una parte fondamentale della mission del nostro Ente. E il CSI, da questo punto di vista, è un compagno di strada preziosissimo.

Il CSI, fondato nel 1944, ha sempre cercato di interpretare i bisogni della società per dare delle risposte concrete. Quali sono oggi i bisogni emergenti e più gravi secondo lei?

Il nostro obiettivo, ieri come oggi, è quello di intercettare le speranze e le aspirazioni di ragazze e ragazzi che vedono nello sport uno straordinario strumento per riappropriarsi della propria vita. Allargare la base dei praticanti, questo è il traguardo che ci prefiggiamo, consapevoli che non tutti arriveranno, un giorno, a gareggiare sul palcoscenico di una Paralimpiade, ma che tutti, grazie all’impegno in una disciplina sportiva, saranno in grado di vivere con maggiore pienezza la propria vita. I dati a nostra disposizione ci segnalano che il 31% delle persone con limitazioni gravi che praticano sport sono molto soddisfatte delle proprie relazioni sociali, quota che scende al 16% tra coloro che non praticano sport. Una statistica che deve far riflettere tutti.

Per essere all’altezza dei suoi compiti il Centro Sportivo Italiano è impegnato in una costante opera di formazione dei propri dirigenti, con una cura particolare per i dirigenti

delle oltre 12 mila società sportive operanti in tutta Italia. Lei ha riscontri positivi di questo impegno associativo per la formazione?

Da quando è nata la collaborazione con il CIP, il CSI ha espresso una classe dirigenziale professionale e sensibile alle esigenze del mondo paralimpico, in grado di impegnarsi a fondo per dare risposte concrete alle esigenze di ragazze e ragazzi

con disabilità in tutto il Paese. Oggi, sempre di più, i dirigenti del CSI lavorano sul territorio attraverso progetti di promozione in sinergia con altre entità e organizzazioni locali. I riscontri sono più che positivi. Tuttavia, c’è ancora tanto lavoro da fare per incrementare il numero di persone con disabilità che praticano un’attività sportiva. Da questo punto di vista occorre sempre di più fare sistema e unire le forze.

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è

Dal suo osservatorio particolare ritiene che il CSI possa fare di più e meglio per gli atleti con disabilità?

Il CSI vanta una lunghissima tradizione nello sport paralimpico. È grazie a questa collaborazione che si è potuti arrivare all’organizzazione, sul nostro territorio, di eventi di portata internazionale. I dati ISTAT tratti dall’ultimo rapporto sulla disabilità, ci dicono, tuttavia, che

gli individui con gravi disabilità che praticano sport sono il 9,1% del totale della popolazione disabile. Mentre lo sport è praticato dal 20,5% di persone con limitazioni meno gravi.

Presso la popolazione senza alcuna limitazione la percentuale corrisponde al 36,6%. Una distanza che è possibile comprendere con le numerose difficoltà che ancora oggi incontrano i disabili nell’accesso alla

“pratica sportiva. Numeri significativi che ci devono indurre, anche in questo caso, a una riflessione profonda sul lavoro che siamo chiamati a svolgere nel prossimo futuro.

Come Associazione di ispirazione cristiana abbiamo il dovere di agire con umiltà, ascoltando chi può illuminare il cammino comune.

Quali suggerimenti si sente di poter donare alla nostra Associazione?

Più che un suggerimento mi permetto di raccontare un episodio: nel 2016, in occasione dei Giochi Paralimpici Estivi, decidemmo di allestire Casa Italia all’interno di una parrocchia situata in una favela di Rio de Janeiro. In quella circostanza avviammo una serie di ‘tavoli’ dell’amicizia e progetti rivolti principalmente a ragazzi e ragazze non vedenti. Iniziative che hanno lasciato alla città di Rio segni concreti del nostro passaggio, come la realizzazione di un apposito campetto sportivo.

Ecco, a mio avviso è necessario rafforzare questa sinergia tra lo sport paralimpico e la società, partendo dall’importante ruolo delle famiglie. Tantissime atlete e tantissimi atleti paralimpici hanno alle spalle famiglie straordinarie che hanno contribuito e compartecipato alla realizzazione di un sogno.

Un fatto che non dobbiamo mai dimenticare.

È a loro, principalmente, che dobbiamo rivolgerci se vogliamo far comprendere che lo sport è una risorsa non solo per ciascun individuo ma anche per la collettività.

Stadium 19
L’intervista
A mio avviso è necessario rafforzare questa sinergia tra lo sport paralimpico e la società, partendo dall’importante ruolo delle famiglie.
È a loro, principalmente, che dobbiamo rivolgerci se vogliamo far comprendere che lo sport
una risorsa non solo per ciascun individuo ma anche per la collettività

Ormai quasi metà della popolazione europea non fa nessuna attività fisica

Dall’Eurobarometro dati allarmanti per lo sport

L’

analisi pubblicata a cura della Commissione Europea il 19 settembre scorso, nell’ambito della valutazione sull’attività fisica in Europa e presentata nel corso del Forum Europeo dello Sport che si svolge ogni anno, mette in luce la progressiva disaffezione delle persone per la pratica sportiva, ma pone anche l’interrogativo: questi dati, che rappresentano il resoconto dell’analisi effettuata sugli ultimi quattro anni, quanto possono essere considerati affidabili alla luce di quanto avvenuto tra il 2020 e oggi? Risulta infatti – il dato è stato presentato in molte circostanze e più recentemente ad un convegno organizzato dal Policlinico di Pavia lo scorso 10 novembre – che la pandemia ha cambiato il mondo. Lo ha cambiato in modo evidente sul piano sanitario, con dati veramente spaventosi in termini di vite umane perse o comunque fortemente condizionate, e lo ha cambiato, in modo meno evidente ma non meno drammatico, sul piano sociale e dei costumi.

I giovani in particolare hanno perso due anni di relazioni, di frequenza della scuola, di attività sportive.

Gli effetti sono stati evidenziati da moltissimi studi, ultimo in ordine di tempo, per la nostra breve analisi, a Pavia, quando ancora una volta è stato messo in luce che è in forte aumento il gravissimo problema dell’obesità giovanile.

Ricordiamo che il sondaggio Eurobarometro è stato svolto su incarico della Commissione

europea da Kantar Public nei 28 Stati membri tra il 2 e l’11 dicembre 2017. Al sondaggio –svolto con molta professionalità – hanno preso parte circa 28 mila intervistati di varie nazionalità e di gruppi sociali diversi. L’indagine segue sondaggi fra loro comparabili svolti nel 2002, nel 2009 e nel 2013 e rappresenta un contributo per fornire dati a sostegno dello sviluppo di politiche per promuovere lo sport e l’attività fisica.

La lettura dei dati emersi con la presentazione dell’Eurobarometro raccontano che il livello di partecipazione alle attività sportive è sostanzialmente invariato anche se – e questo è un dato allarmante – continua la salita del numero di persone che dichiarano la loro totale assenza di impegno fisico. Siamo ormai a quasi il 50 per cento della comunità a livello europeo, con un continuo aumento dal 2009 ad oggi. Negli ultimi quattro anni, in particolare, la percentuale è passata dal 42 al 46 per cento.

In controtendenza solo sei Nazioni. Si tratta di: Belgio, Lussemburgo, Finlandia, Cipro, Bulgaria e Malta.

Gli sforzi della comunità europea per diffondere maggiormente l’attività fisica sembrano al momento non dare i risultati sperati, anche se è plausibile pensare che questi sforzi non possono avere effetti positivi in breve tempo. Ci vorranno anni. Eppure questa considerazione non basta a rendere meno pessimisti poiché la mancanza di attività sportiva provoca

Stadium 21 Terzo Settore

Dall’Eurobarometro dati allarmanti per lo sport

effetti estremamente negativi nella società, tanto più in anni in cui tutto sembra spingere le persone all’individualismo, alla chiusura rispetto alle relazioni con gli altri. Non solo il Covid, ma anche i nuovi costumi, con in testa la tendenza ad usare compulsivamente i telefoni cellulari con i quali è possibile passare giornate, settimane, mesi, senza alzare mai lo sguardo verso l’altro, verso gli altri. Senza mai sentirsi comunità. Questa analisi spinge perciò a ritenere importante lo sforzo europeo e a sostenere l’impegno, fra gli altri, del commissario per l’Istruzione, la gioventù, la cultura e lo sport, Tibor Navracsics il quale, analizzando i dati Eurobarometro, ha affermato: «Le nuove cifre mostrano quanto sia di vitale importanza continuare i nostri sforzi per promuovere l’attività fisica e stili di vita sani. Incoraggio vivamente tutti gli attori, dalle autorità pubbliche alle organizzazioni sportive, a intensificare i loro sforzi e lavorare insieme».

Alcuni dati specifici: l’Eurobarometro mostra che la maggior parte dell’attività fisica si svolge in contesti informali, come parchi e all’aperto (40%) o a casa (32%) o durante gli spostamenti casa-lavoro, scuola o negozi. Tuttavia, il 15% degli europei non cammina per 10 minuti consecutivi in un periodo settimanale e il 12% si siede per più di 8,5 ore al giorno. Sono numeri che fanno pensare e che dovrebbero spaventare. Oltre alla politica e alle istituzioni civili e sportive, un ruolo

importante lo possono svolgere anche altri: i datori di lavoro, ad esempio, possono aiutare a correggere i comportamenti oziosi sul posto di lavoro e anche le città e le autorità locali possono rivestire un ruolo importante nell’aiutare i cittadini ad essere fisicamente più attivi nella loro quotidianità.

Ma perché la gente, quella poca che lo fa, svolge attività sportiva? Le principali motivazioni – spiega Eurobarometro – sono: il miglioramento della salute (54%) e della forma fisica (47%). La mancanza di tempo (40%) è la barriera principale. Indubbiamente c’è molto da fare. E non c’è tempo da perdere.

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Sulle piste in sicurezza

Sci assicurato con CSI e MARSH

Con la stagione sciistica ormai alle porte è importante equipaggiarsi a dovere per solcare le piste in sicurezza: sci adatti, protezioni e una soluzione assicurativa che offra tutela e assistenza in caso di infortuni e incidenti. Già dallo scorso anno, il CSI, in collaborazione con Marsh, offre ai tesserati amanti della montagna e degli sport invernali la possibilità di attivare la tessera integrativa Neve/Ski Safe. Questa soluzione, di durata stagionale, offre ulteriori garanzie in aggiunta a quelle già previste dal tesseramento CSI in essere. In particolare:

• Responsabilità Civile verso Terzi (RCT) - Valida durante l’attività sciistica per eventuali danni cagionati a terzi, anche al di fuori dell’attività promossa/organizzata dal CSI, con massimale di € 500.000,00 (franchigia € 1.000,00). Questa estensione di garanzia è valida ai fini del rispetto dell’obbligo assicurativo previsto dall’art. 30 del D.Lgs. n. 40 del 28/02/2021.

• Assistenza - La tessera garantisce prestazioni di assistenza in caso di infortunio durante l’attività sciistica, mettendo a disposizione una Centrale Operativa dedicata cui far riferimento in caso di sinistro.

Sono inoltre previsti:

1. Concorso spese di primo soccorso in caso di infortunio (trasporto con barella toboga o motoslitta o altri mezzi adatti a superfici innevate), fino ad un massimo di € 800,00;

2. Trasporto sanitario, fino ad un massimo di € 1.500,00;

3. Rimborso Ski-Pass, con il limite di € 200,00;

4. Rimborso spese di iscrizione alla scuola di sci, con il limite di € 200,00;

5. Accompagnamento di minori di 15 anni, con rimborso delle spese di viaggio per permettere ad un familiare di raggiungere il minore;

6. Autista a disposizione, con il limite di € 200,00

7. Infocenter (traffico, meteo, informazioni sanitarie/

farmaceutiche).

Per avere diritto alle prestazioni di assistenza garantite, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa a titolo personale, è necessario contattare la Centrale Operativa disponibile 24 ore su 24 al numero verde: +39 0224128775

La tessera integrativa Neve/Ski Safe è distribuita esclusivamente con modalità online su app o sito MyCSI.

L’attestato di tesseramento integrativo viene rilasciato tramite email ai sottoscrittori insieme alla conferma di avvenuto acquisto ed è reso scaricabile anche dalla app MyCSI sul proprio smartphone. Le condizioni assicurative complete sono a disposizione sul sito www.csi-net.it e/o contattando Marsh alla casella di posta dedicata assicurazioni.csi@marsh.com

Polizze&Sport
Stadium 23

Francesco nasce il 22 novembre 1998 e si presenta Mamma Francesca e papà Stefano senza una gamba, senza un rene, una grave scoliosi, un distacco dell’esofago dallo stomaco. Tanti interventi chirurgici. Vive a Correggio, appassionato di calcio, tifoso di Messi, comincia a giocare a pallone con la protesi e poi con le stampelle. Grazie all’aiuto ed al contributo del CSI, diviene il fondatore della Nazionale Italiana Calcio Amputati, di cui è ancora capitano e centrocampista. Lavora oggi come Segretario Area Femminile e Disability Acces Officer presso il Sassuolo Calcio.

Lo chiamano Messi, per via del cognome, ma oggi per Francesco Messori, capitano della Nazionale di Calcio Amputati, è il suo nome ad essere più importante

«Per questo mi chiamo Francesco»

Nato senza la gamba destra, ma con tante ambizioni nel calcio. Dagli inizi in oratorio, fino al primo gol in azzurro CSI. Un tatuaggio “provocazione”, i recenti Mondiali FISPES. Il giovane calciatore di Correggio racconta a Stadium tutto il suo percorso.

Partiamo da quando ancora non eri il Francesco Messori che ormai conoscono in tanti ma solo il piccolo Francesco che voleva a tutti i costi giocare a calcio anche con una gamba sola. Quando e come è iniziata la tua avventura nel mondo del calcio? Sono nato senza la gamba destra, ma questo non ha mai fermato le mie ambizioni. Sono sempre stato appassionato di calcio. Volevo giocare e ho iniziato a farlo. Inizialmente con la protesi, la stessa che usavo ad un anno e mezzo e con cui ho iniziato a camminare e che mi ha accompagnato fino al termine delle scuole elementari, poi con le stampelle. All’età di 7 anni ho iniziato a frequentare i campi della parrocchia San Prospero di Correggio, dove sono stato accolto. Alla Virtus Correggio il primo tesseramento, poi ho giocato a Mandrio. I ragazzini erano curiosi ma non mi hanno mai fatto del male. Magari qualche fatica in più con i miei compagni di gioco: dovevo essere io a dare fiducia a loro che, vedendomi senza una gamba, non mi giocavano contro come dovevano quando avevo la palla. Mi dava fastidio, perché evidentemente non mi consideravano alla pari.

E poi, nel febbraio 2012, a 13 anni, hai creato il gruppo Facebook “Calcio Amputati Italia” e hai scritto il primo post che ha dato il via a tutto. Cosa ti ha spinto a farlo? Ne ho parlato anzitutto con i miei genitori, che ringrazio sempre perché sono stati i primi a dover affrontare la mia disabilità, prima ancora di me.

Stadium 25
Nati nel CSI

Ma l’hanno superata. E l’hanno fatta superare a me. Mi hanno mostrato sempre per quello che ero, senza nascondermi a nessuno. E crescendo questo mi ha aiutato nel costruire il mio rapporto con gli altri. Nel 2009 è arrivato Facebook in Italia e mia madre, che è la più sportiva fra noi due, ha deciso di assecondare il mio desiderio di creare il gruppo Facebook “Calcio Amputati Italia” e di pubblicare un post in cui dicevo apertamente che sognavo di confrontarmi, col pallone, con altri ragazzi amputati in giro per l’Italia. Da lì subito le prime adesioni. Nemmeno un anno e una dozzina di consensi dopo è nata la squadra nazionale e ad Assisi, grazie al CSI, ho capito che il mio sogno era divenuto realtà.

A soli 10 mesi da quel post, a dicembre dello stesso anno, al meeting annuale di Assisi del CSI, la Nazionale Italiana Calcio Amputati viene ufficializzata. Un traguardo raggiunto a tempo di record. Come ti sei sentito in quell’occasione ma anche nei mesi precedenti in cui vedevi il tuo sogno prendere forma?

Penso spesso anche oggi a quanto mi è successo. E solo adesso riesco a vedere tutto il bello di quello che è avvenuto. Prima non mi accorgevo di queste grandi cose. A quei tempi ero ancora troppo piccolo, troppo bambino. Oggi invece le riconosco. Penso, e spero, di essere più maturo oggi. Mi è cresciuta anche la barba…

Dal mondo CSI a quello della FISPES per arrivare, nel 2018, al Mondiale. C’era anche questo nei tuoi sogni di ragazzino? Attraverso il CSI la nostra squadra ha ricevuto l’invito a partecipare, prima volta nella nostra storia, ai Mondiali di calcio per persone

Vengo da una grave crisi depressiva. Non mi riconoscevo più. Mi faceva paura tutto. E ho toccato il fondo. Ecco allora la fede. Mai raccontato una storia più bella di questa. Perché in questo momento difficile io mi sono sentito amato dal Signore

amputate; eravamo nel 2014 ed il torneo si è giocato in Messico. La nostra squadra è stata successivamente riconosciuta ufficialmente tra le discipline della FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali). Anche nel 2018 abbiamo partecipato ai Mondiali arrivando fino agli ottavi di finale, battuti dall’Angola, che poi avrebbe vinto quel Mondiale. Nel Mondiale di alcuni mesi fa, giocato in Turchia, siamo arrivati ottavi. Non male anche se avevo la sensazione che avremmo potuto fare qualcosa di più. Comunque a livello europeo siamo secondi, dietro solo alla Turchia. Proprio non male. Tra due anni (nel 2024) ci saranno gli Europei. Sono convinto che se arriveremo al top della condizione, potremo fare bene. Spero che il movimento di calcio per persone amputate possa crescere sempre di più. In questo momento in Italia ci sono in tutto 4 squadre per 40 atleti.

Nel tuo libro “Mi chiamano Messi” racconti dell’abbraccio silenzioso e rassicurante che si sono scambiati i tuoi genitori quando hanno avuto notizia che saresti nato con una gamba sola. Ne parli come di un gesto che ancora oggi, anche nell’affrontare i Mondiali, ti ha regalato molta forza. Cos’hanno rappresentato, nella realizzazione del tuo percorso, la forza, la serenità e il sostegno dei tuoi genitori? I miei genitori mi hanno sempre trasmesso serenità e forza per accettare le sfide della vita. Non si sono mai vergognati, anzi andavano orgogliosi. Senza di loro non sarei qui. Non sarei quello che sono.

Ti riporto tre concetti che appaiono più volte nel tuo libro:

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«Per questo mi chiamo Francesco»

“rispetto del proprio corpo”, “fortuna” e “musica”. Che rapporto hai con ciascuno di loro?

La musica per me è mio padre. Amo la musica e papà mi ha trasmesso il gusto per Chopin, il suo pianista preferito come compositore. O Rubinstein come interprete. Mi lega a mio padre anche il fatto di aver inciso due dischi insieme. Uno nel 2009, a dieci anni. L’altro nel 2017. Solo cover di Michael Jackson, Phil Collins, Elton John, Stevie Wonder… artisti così insomma.

Fortuna vuol dire crederci sempre. E occorre cercarla. Fortuna sta nell’incontrare, giorno per giorno, le persone giuste. Penso ad esempio alla fortuna di giocare nella squadra

della Nazionale. Penso alla fortuna di avere dei genitori come i miei prima di tutto. Poi l’aver incontrato Massimo Achini, allora presidente del Centro Sportivo Italiano; poi tutte le altre persone del CSI che hanno sempre creduto in me. Il mister Renzo che mi ha accolto al campo della parrocchia. Ecco, questa è fortuna.

Per quanto riguarda il rispetto del proprio corpo penso che ognuno sia speciale a modo suo. È unico e per questo deve rispettare la persona che è ed il corpo che ha. Credo che ognuno debba seguire la strada per la quale è stato pensato.

E il tuo rapporto con la fede invece? Hai potuto incontrare tre volte papa Francesco e,

sempre nel tuo libro, scrivi che tua mamma aveva pensato che, forse, il Signore stava mettendo alla prova la vostra famiglia con la tua disabilità. Ritieni che sia così? Pensi che una disabilità possa essere anche un dono? Apro un discorso che non ho mai fatto con nessuno al di fuori della mia famiglia. Sono reduce dall’anno più difficile della mia vita, dovuto ad una grave crisi depressiva in cui sono entrato. Depressione riferita essenzialmente ad una crisi d’identità. Non mi riconoscevo più. Mi chiedevo chi fosse il vero Francesco. Se quel ragazzino nato senza una gamba o il personaggio costruito in seguito. Mi faceva paura tutto quello che ero diventato. E ho toccato il punto più basso. Ecco

Stadium 27 Nati nel CSI

«It’s only one leg less» è il mio motto. L’ho voluto tatuare sul collo a 16 anni. Come una provocazione. Chi mi guarda pensa magari che io sia un poverino. Ed invece…

L’ altro tatuaggio virtuale è il CSI. È grazie al CSI se oggi sono quello che sono

allora la fede. Penso di non poter raccontare oggi una storia più bella di questa. Perché in questo momento difficile io mi sono sentito amato dal Signore. Proprio nel grande dolore, anzi solo nel dolore credo si possa conoscere Dio. Non in altre cose. Lui ci mostra la strada per conoscerlo. E la strada è la croce. Ognuno ha la sua. Sono fermamente convinto, dopo la mia esperienza personale e quanto mi è accaduto, che il Signore veda nel segreto, e venga per guarirti. E io personalmente sono stato guarito, magari da falsi idoli che potevo avere. Quelli che forse mi ero costruito con il mio personaggio.

In che senso?

Quello di prima, probabilmente, non era il vero Francesco. Ed io, dopo questo periodo importante della mia vita, ho ricevuto un nome nuovo. Che è sempre Francesco, ma un altro Francesco. Il nome con il quale

io veramente sono nato e che forse è stato un po’ coperto da tutto il resto. Io l’amore di Dio me lo spiego solo con le lacrime. Durante questa crisi piangevo quasi sempre ma, nello stesso tempo, sentivo che mi arrivavano dei messaggi forti. Ho sentito l’amore di Dio attraverso le lacrime. Ho provato una gioia che apre nuovi orizzonti. Oltre qualsiasi felicità terrena. E ho iniziato a vedere con occhi diversi. Mi piace condividere tutto ciò con Stadium e con il CSI, per quanto ha fatto per me e per come lo conosco legato ai valori della Chiesa.

Senti ora il desiderio di tornare dal Papa? Oggi più che mai. Non vedo l’ora di incontrarlo di nuovo. Magari anche per una Messa a Santa Marta. Quel famoso 7 giugno lo vidi con altri occhi.

Di recente sono stato in Terra Santa e anche questo viaggio è stato un

bel coronamento di questo mio nuovo percorso.

Hai raccontato anche di una tua esperienza a Gardaland dove ti era stato proibito (anche se poi hai ricevuto debite scuse), immotivatamente, l’ingresso ad alcune attrazioni. Troppe volte la disabilità significa esclusione. Noti dei miglioramenti oggi da questo punto di vista? Pensi si stia facendo abbastanza per garantire a tutti almeno l’equità dove non è possibile l’uguaglianza?

A Gardaland, dopo 70 minuti di fila, non mi fecero salire su una giostra a causa della protesi. Diversamente a Mirabilandia ho potuto fare anche le adrenaliniche. Spero che presto ogni divertimento possa essere accessibile a tutti. Dappertutto. Perché è sempre meglio essere attori che spettatori, ovunque.

Posso dire che hai trovato nell’ironia un gran bel sistema per mettere a tacere gli sguardi, magari a volte un po’ insistenti, delle persone? Mi riferisco in particolare al tuo tatuaggio... (It’s only one leg less)

È il mio motto. L’ho fatto a 16 anni per provocare. Mi piace sempre. Mi osservi il collo e vedi scritto “Ho solo una gamba in meno”. Chi mi guarda pensa magari che io sia un poverino. Ed invece la frase vuole essere uno stimolo a riflettere. Un altro tatuaggio, ma virtuale, è quello del CSI, perché è inciso nel mio cuore. È grazie al CSI se oggi sono quello che sono. L’ambiente che ho potuto frequentare, le persone che hanno creduto in me. L’enorme lavoro fatto per la Nazionale… addirittura cambiando le regole affinché potessimo giocare!

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“ «Per questo mi chiamo Francesco»

Ho letto la bellissima lettera che ti ha scritto una tua insegnante di lettere. Parole significative che ti hanno scaldato e sicuramente anche motivato. Ne regali tu alcune a tutti i nostri ragazzi e ragazze, amanti dello sport giocato sul campo, che si impegnano a rincorrere, con o senza le fatiche di una disabilità, il proprio sogno? La dedica di Francesco Messori per loro?

Una lettera bellissima, da pelle d’oca. Commovente. Io dico di credere sempre nei propri sogni. Di farsi sempre aiutare dai vicini, dagli

amici e non cercare di fare tutto da soli. È grazie al gruppo che talvolta si realizzano i sogni.

E, a chi si sente perso o non ha motivazione nella vita, disabile o no (e forse mi rivolgo più ai normodotati che le difficoltà le hanno dentro) voglio ricordare senza presunzione che noi siamo chiamati. Ognuno di noi è stato pensato ancora prima di nascere. Se siamo qua, c’è un motivo. Qualcuno ti ha amato ancor prima che tu nascessi. Questo è il messaggio più importante della mia vita. Da questo deve nascere qualsiasi idea, qualsiasi speranza, qualsiasi sogno.

La lettera della professoressa

Caro Francesco, ti ho incontrato la prima volta tra una folla vociante di ragazzi in partenza per Torino, la gita, la “grande vacanza” che anche la scuola concede!

Non ti nascondo che il mio sguardo si è fermato su di te, sulle tue stampelle, sulla tua gamba e sui tuoi bellissimi occhioni azzurri...

Quella giornata mi stava insegnando che avevi gambe più forti, più allenate e più veloci della maggior parte di tutti noi.

Tutti incontriamo ostacoli o viviamo difficoltà fisiche, emozionali, psicologiche: sono come montagne sulla nostra strada.

Possiamo fermarci a guardarle intimoriti e lasciarci sopraffare o possiamo provare a scavalcarle e fare dei nostri impedimenti e delle nostre diversità i nostri punti di forza.

L’autunno successivo ti ho ritrovato tra i banchi della mitica III D RIM e sei stato un mio allievo dei corsi di Italiano e Storia negli anni del triennio, fino alla maturità.

È stata per me un’altra occasione di scorgere “un varco rotto nella rete”, di scoprirti oltre lo scatto della gazzella....

Mi hai rafforzata nel credere che agli studenti vada data la possibilità di portare alla luce i propri talenti dal porto sepolto e di scegliere la lingua che amano per esprimersi. Mi hai convinta che a lezione è bello portare anche la voglia di coltivare i sogni.

Ecco perché non ti lascerò scivolare tanto facilmente dai ricordi.

Oggi sembri assai più vicino al Messia che a Messi. Ma dopo tanti titoloni fatti su di te, “Il Messi di Correggio”, “Oltre le gambe c’è di più”, “Il mio piede sinistro”, possiedi in cuor tuo un titolo inedito, che nessuno ha mai scritto?

Ho vissuto tutta un’altra vita in quest’ultimo anno e sto pensando di scrivere un altro libro.

Dopo “Mi chiamano Messi” mi piacerebbe che il titolo del nuovo libro, che arriva al termine di un grande cambiamento, fosse: “Mi chiamo Francesco”.

2018
Ottobre
Nati nel CSI
Cristina Guidotti

Le difficoltà della pandemia nelle parole dei dirigenti sportivi del CSI

Covid-19, quanto è stata dura!

Lo sport italiano comincia gradualmente a respirare aria di normalità. Dopo oltre due anni di stop, privazioni e rigide regole da rispettare, a causa delle note vicissitudini legate alla diffusione della pandemia da Covid-19, da qualche mese a questa parte le società sportive sono tornate alle vecchie abitudini, lasciandosi – in molti casi – alle spalle i brutti ricordi delle annate passate. Anche le tantissime associazioni, parrocchie, palestre, circoli e realtà sportive del Centro Sportivo Italiano hanno accolto di buon grado l’allentamento delle restrizioni, imposte dal Governo per contrastare la pandemia, che avevano inevitabilmente costretto numerosi atleti a interrompere i propri allenamenti e le gare ufficiali. «Durante il periodo del primo lockdown abbiamo chiuso definitivamente. Poi, quando c’è stata la possibilità di riaprire, ci siamo interfacciati con il comitato provinciale del CSI Roma – ricorda padre Aurelio D’Intino, parroco e presidente dell’ASD Santa Gemma a Roma –e abbiamo deciso di ricominciare subito con distanziamento, sanificazione e adottando tutte le restrizioni previste per legge. Abbiamo accolto la riapertura delle strutture sportive con grande gioia: ci ha portato parecchi ragazzi che

volevano ricominciare a muoversi, dopo i tanti mesi a casa, motivo per far conoscere sempre di più la nostra associazione sportiva e incrementare il numero dei partecipanti». Con la parziale riapertura di maggio 2020, sebbene con la possibilità di svolgere attività sportive in modo limitato e senza costituire alcun genere di assembramento, molte società hanno scelto di rimettere in moto la macchina organizzativa e di riaprire i battenti: «All’inizio avevamo un po’ di paura, in molti ci hanno definito incoscienti, ma abbiamo sempre svolto tutto secondo norma – spiega padre Aurelio –. Non è stato un momento buio, ma solo di preoccupazione iniziale. Abbiamo

superato la pandemia cercando di sfidare le nostre paure».

Non tutti, però, hanno avuto la fortuna di poter rientrare in campo immediatamente, a causa di vari impedimenti che hanno inesorabilmente tardato la data di avvio delle attività: «Non appena è stato possibile, abbiamo cercato di attuare una ripartenza, ma il problema più serio era causato dalla mancata disponibilità delle strutture sportive, che non ci venivano più concesse, come - per esempio - le strutture scolastiche. Purtroppo, la nostra società non possiede strutture private e gli esterni non ci autorizzavano ad usufruire degli impianti sportivi. Per circa cinque mesi, da marzo

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fino ad ottobre 2020, siamo stati completamente fermi», replica Pasquale Trezza dell’ASD CSI Cava Sports, polisportiva con sede a Cava de’ Tirreni in Campania. «Dal momento in cui siamo ripartiti, il 50% dei nostri vecchi iscritti non è tornato, se non dopo circa un annetto e mezzo. Da ottobre 2022, invece, abbiamo cominciato a registrare il rientro di coloro che avevano abbandonato – prosegue Trezza –. Il motivo è sempre legato alla mancata disponibilità di strutture e al fatto che non possedevamo i mezzi per portare avanti le attività. Ci siamo subito attivati con le lezioni online, però come si può ben immaginare non è la stessa cosa».

Molte realtà sportive, durante i mesi più duri e monotoni trascorsi tra le mura domestiche, hanno provato a coinvolgere i propri atleti con lezioni interattive, cercando di emulare in qualche modo la didattica a distanza adottata dal sistema scolastico italiano. «Nel primo periodo, quello di chiusura totale in primavera 2020, abbiamo avuto serie difficoltà a rimanere agganciati ai ragazzi –ricorda Lucio Rivera, presidente dell’AS Oratorio Santa Cecilia a Milano –. Ci siamo inventati delle lezioni via Zoom, la redazione di un giornalino con quiz sportivi o invitato campioni del mondo dello sport per provare a rimanere in contatto con gli atleti. Ci ha colpito molto la testimonianza dei più grandi, che hanno cercato in tutti i modi di incoraggiare i piccoli». Le difficoltà, però, non si sono arrestate subito, perché anche nei momenti in cui l’Italia sembrava essere in procinto di lasciarsi alle spalle la brutta esperienza della pandemia, in tanti manifestavano il proprio timore ad abbassare da subito la guardia. «Infatti, la nostra riapertura è stata graduale – conferma Rivera –. È stata ben accolta da alcuni genitori, che non

vedevano l’ora di “ributtare” i propri figli nella mischia; invece, molte famiglie hanno manifestato delle remore. Altri, attorno al 10% dei nostri iscritti, hanno abbandonato definitivamente lo sport, perché si sono seduti, hanno perso il desiderio di fare sport e si sono affidati al gioco online. Non hanno più risposto all’appello e, oggi, i loro genitori ci riferiscono che prediligono passare molto più tempo a casa o, peggio, in luoghi poco sicuri». Per di più, un altro dato rilevante è costituito dal fatto che le tante giornate trascorse a casa senza poter praticare attività motoria, e i mesi passati senza poter disputare allenamenti e gare, hanno inevitabilmente rallentato il percorso di crescita di molti bambini e ragazzi. «Nella testa dei ragazzi è tornato

quasi tutto come prima. Tuttavia, – denuncia Rivera – in alcune categorie, notiamo i disastri causati dalla mancanza di sport per due anni. A livello di preparazione fisica e tecnica, molti sono a un livello più basso rispetto ai propri pari età, che invece, negli anni passati, non hanno saltato tutti questi mesi di sport». Oggi, nonostante il Covid-19 sia ancora presente nelle nostre vite, il pericolo sembra essersi attenuato e la stagione sportiva 2022/2023 è cominciata nel migliore dei modi, portando un barlume di speranza a tutti coloro che amano lo sport. Sebbene le conseguenze della pandemia siano ancora evidenti nelle vite di tutti i giorni – come riporta sempre Rivera – «Forse l’unica difficoltà che ravvisiamo ancora è che se organizziamo qualche evento in sala e, in generale, al chiuso vediamo che c’è una certa difficoltà a partecipare», la voglia di praticare sport è alle stelle e le società sportive non possono far altro che rallegrarsi. «Al momento l’attività è ripresa a pieno regime e non c’è più quella paura che traspariva prima. Nonostante ciò, – sottolinea Trezza – noi dirigenti cerchiamo di far rispettare qualche regola che ormai non è più obbligatoria nei protocolli. Il nostro è un settore molto ampio con molti iscritti ed è una fonte di sostentamento per molti operatori sportivi, che lavorano nel settore. Questo blocco ha condizionato molto la vita di alcuni collaboratori e, chiaramente, dei ragazzi che hanno sofferto molto». Una sofferenza, quella di chi ama e vive lo sport quotidianamente, che si auspica sia ormai un lontano ricordo, al pari delle mascherine, del distanziamento sociale e di tutte quelle regole che per troppo tempo hanno privato la nostra società di azioni semplici e ordinarie, ma al contempo indispensabili per poter vivere serenamente.

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Dalle lezioni on line, dal distanziamento sociale e dalle mascherine all’auspicio che sia solo un ricordo lontano
Focus

Ferdinando (Fefè) De Giorgi, 61 anni di Squinzano (LE). Ex palleggiatore della “Generazione dei Fenomeni”, con l’Italia da giocatore si è laureato per 3 volte di fila campione del mondo (Brasile 1990, Grecia 1994 e Giappone 1998). Da commissario tecnico degli azzurri ha vinto l’Europeo nel 2021 e un anno dopo i Campionati del Mondo.

Fefè De Giorgi in due anni ha condotto il Volley azzurro alla conquista dell’Europeo e del Mondiale

«Il mio segreto? Dare fiducia ai giovani»

SEMPRE IN CAMPO CON IMPEGNO, PASSIONE E VOGLIA DI EMOZIONARSI

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FERDINANDO DE GIORGI ALLA GUIDA DELLA NAZIONALE MASCHILE HA CONQUISTATO L’11 SETTEMBRE A KATOWICE LA SPLENDIDA MEDAGLIA D’ORO AI CAMPIONATI DEL MONDO RIPORTANDO DUNQUE DOPO 24 ANNI L’ITALIA DELLA PALLAVOLO MASCHILE SUL GRADINO PIÙ ALTO DEL PODIO MONDIALE

Fefè De Giorgi da Squinzano in Puglia è stato premiato come «Miglior allenatore dell’anno». In carriera il ct dell’Italvolley maschile ha così portato l’azzurro sul tetto del mondo per quattro volte, sia da giocatore sia da tecnico. Da amico del CSI, ha regalato a Stadium qualche suo pensiero, qualche suo schema per arrivare a vincere non solo in campo ma anche nella vita.

Qual è il segreto di tanti successi?

«In ogni cosa credo che l’importante sia essere sempre sé stessi ed essere credibili in ciò che si fa. Appena mi hanno chiamato prima dell’Europeo del 2021 ho chiarito immediatamente nei fatti e non con le parole che avrei effettuato un cambio generazionale, portando ragazzi con qualità tecniche e morali a vestire la maglia azzurra. È quello che ho fatto, non immaginando certo che, con tanta immediatezza, saremmo arrivati a crescere e a vincere. Due cose assai difficili per noi allenatori. Ma evidentemente sono stato capace di infondere fiducia ai miei. Forse per il ruolo che avevo in campo da giocatore, di palleggiatore che detta schemi e imposta il gioco - e qui mi viene da pensare ad esempio anche al mio collega del basket Pozzecco, ex playmaker - noi coach siamo dei trasmettitori».

Come dimenticare infatti i tanti time-out nella finale Mondiale con la Polonia, dove ai ragazzi dicevi serenamente “fiducia”! Che è poi “fede”. Come dire semplicemente: “Credeteci!”

Fede e fiducia sono valori importantissimi nella vita, ma in particolare con dei giovani che in quella occasione stavano affrontando una sfida veramente tosta e difficile. Tutto il Mondiale è stato un crescendo di difficoltà. Il passaggio ai quarti con la Francia, ad esempio, contro i campioni olimpici, è stato determinante e poi ricordo la finale dove c’erano ben 12 esordienti su 14, tutti giovanissimi. Per me invece far crescere i giovani è un valore aggiunto, oltre ad un motivo d’orgoglio. Giovani capaci con tanto talento. È stata la dimostrazione che occorreva dare loro delle opportunità ed un contesto per esprimersi e dimostrare le loro qualità.

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Attualità
di Felice Alborghetti

segreto?

Dare fiducia ai giovani»

Bello poi che anche il pubblico polacco abbia applaudito la vittoria degli azzurri. Quel palazzetto effettivamente era una bolgia. Va detto che la pallavolo in Polonia è lo sport nazionale, è seguitissima, però i palazzetti sono frequentati assiduamente da famiglie e da giovani.

C’è un bell’ambiente, dov’è difficile trovare esagerazioni nel tifo. Sono stati molto sportivi. Per loro l’importante è arrivare a medaglia. Arrivare sul podio è comunque una soddisfazione. Non voglio dire che sono stati contenti di aver perso, ma mi piace sottolineare la mentalità. Hanno comunque festeggiato un argento. Tenere la medaglia al collo è un atteggiamento sportivo. Troppe volte abbiamo visto atleti premiati, specie in alcuni sport di squadra, sfilarsi la medaglia appena scesi dal podio. Sono messaggi sbagliatissimi, perché poi la vita di uno sportivo è breve, e in generale, occorre sempre dare il buon esempio. Lo sport in un flash, in modo rapido, trasmette valori, emozioni, rispetto, senso di appartenenza. Le agenzie educative come famiglia e scuola arrivano… ma lo sport lo fa più velocemente. Giocando. Chi come noi lo fa ad alto livello e da primo attore, comunica e trasmette immediatamente ed è perciò più importante che lo faccia responsabilmente.

Tu, prima che da tecnico, da palleggiatore in maglia azzurra, sei stato in ogni caso un modello per tanti giovani. Sono orgogliosissimo di aver

vestito la divisa della Nazionale e sono innamorato della maglia azzurra. Ho smesso tardi di giocare e, negli ultimi anni della mia carriera da atleta (sono diventato subito un allenatore anziano), a quasi 42 anni ho avuto la possibilità di giocare un Mondiale in Argentina. Sognavo di giocare la mia ultima partita della carriera indossando la maglia della Nazionale poiché pensavo significasse, appunto, che sei stato sempre un atleta in grado di migliorarti, motivato, anche al

Troppe volte abbiamo visto atleti premiati sfilarsi la medaglia scesi dal podio. Sono messaggi sbagliatissimi perché, da sportivo, occorre sempre dare il buon esempio

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“ «Il mio

crescere dell’età. Un obiettivo molto complicato da raggiungere, perché passano gli anni, ci sono tante generazioni di giovani, occorre essere sempre in forma con il fisico. Ci sono riuscito, principalmente perché mi sono fatto trovare pronto. È capitato ed è stata per me una grande soddisfazione.

Valori tecnici e umani. Segui i tuoi azzurri andandoli a vedere in allenamento per capire chi sta meglio e può

darti quella o l’altra cosa, dal punto di vista umano oltre che tecnicamente. Insomma valuti la persona dentro il giovane atleta.

Quando mi hanno nominato allenatore della Nazionale, ho subito deciso di fare il cambio generazionale, mettendo in mano ai giovani il mio destino da allenatore. Qualcuno più volte mi ha detto che sono stato scriteriato, altri coraggioso. Le mie considerazioni erano invece logiche e razionali. C’era un

Don Alessio e l’omelia con le parole di un Time out di Fefè

Simpatico siparietto nel corso della puntata del 23 ottobre di “Che tempo che fa”, quando coach De Giorgi era ospite nel programma di RaiTre condotto da Fabio Fazio, che gli domanda «ma davvero anche un prete ti ha citato in un’omelia»? Il Ct dell’Italvolley ha ricordato don Alessio Albertini e la sua predica, in riferimento alla finale dell’Europeo, quando eravamo con tanti giovani esordienti. Sotto 1-0 e sotto 11-10 nel secondo set. Dissi allora loro: «Ma che facce avete?…Cosa è quella faccia?… Mica è strano essere in difficoltà in una finale. Coraggio»! Don Alessio in effetti regalò quest’immagine nell’omelia prenatalizia ai suoi parrocchiani come nella Messa ai dipendenti e collaboratori del CSI. «Con la Slovenia avanzante – questa la citazione di don Alessio per il suo personale messaggio di auguri - gli azzurri magari si aspettavano nuovi schemi o qualche sostituzione e invece guardando uno ad uno i suoi giocatori l’appunto di coach De Giorgi andò sulle loro facce e sulla motivazione… Vittoria al tie break». Ed il parallelo seguente con Gesù Cristo. «Se oggi venisse tra noi e guardandoci ci dicesse “Cosa è quella faccia? Lo sai che ti ho regalato del tempo per stupire? Per costruire la storia?” C’è tempo per fare del bene. Per chiedere e regalare perdono. Possiamo quindi imparare a riconciliarci con gli altri. Con il Vangelo. Siamo così chiamati a diventare protagonisti con la storia di Gesù. E guardare le persone che ci contagiano di coraggio e di gioia in questo ed in ogni Natale».

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Attualità

bel gruppo di ragazzi bravi e talentuosi. Conoscevo la loro buona mentalità, ragazzi con dei valori evidenti, quali il rispetto, la voglia di faticare in allenamento, la cultura del lavoro. Con questi ingredienti mi sono messo nelle loro mani, cercando di guidarli e mostrare loro la strada giusta. Per questo sono doppiamente felice dei risultati ottenuti dal gruppo. Per il successo sì, ma prima ancora per il percorso che hanno intrapreso con me. I giovani della pallavolo sono una bellissima immagine di fiducia e di speranza in un mondo in cui, prima di dare giovani

un’opportunità, si impiega sempre troppo.

Un gruppo con età media di 24 anni. A Parigi avremo solo giovanissimi con due anni in più di esperienza.

L’età media dei campioni del mondo è esattamente di 23,8. Il cammino è segnato. Avere uno sguardo attento verso i giovani che si mettono in evidenza, con sempre dei nuovi da inserire e far crescere. Ma da allenatore della Nazionale dico che non ci sono porte chiuse per nessuno. Se ci sono giocatori con tanta esperienza che meritano

Penso che, ad ogni livello, lo sport, tramite il gioco, porti sul campo tutti i valori che servono anche alla crescita umana dei ragazzi: in campo devi socializzare, comunicare, hai delle regole da rispettare e tutto questo emoziona, sia che vinci, sia che perdi

l’azzurro, perché no… credo sia giustissimo chiamarli. Chiaramente dovranno andarsi ad allineare con i giovani più talentuosi.

Quanta Puglia c’è nei tuoi trionfi, da giocatore e da tecnico?

In Puglia c’è tutto quello che mi ha formato: la mia nascita, la famiglia, i luoghi in cui sono vissuto. In Puglia c’è tutto il mio percorso valoriale. Non ho mai cambiato residenza, nemmeno quando sono stato all’estero o quando ho dovuto girare tantissimi posti. Anzi quando andai ad allenare in Russia, ho portato sempre con me olio, vino, taralli della mia terra. In assoluto tutte le cose che contano, le fondamenta, provengono da lì: il senso di responsabilità, il credere nella squadra, tutto parte dai primi anni di Squinzano, Ugento. E poi abbiamo sole e mare splendidi. Ti danno un’idea diversa della vita.

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«Il mio segreto? Dare
fiducia ai giovani»

Hai iniziato proprio inSalento…

Ho iniziato a giocare in Salento prima con la Vis Squinzano e poi con la Falchi Ugento, qui ho imparato l’etica del lavoro, della fatica e del rispetto degli avversari. Penso che, ad ogni livello, lo sport, tramite il gioco, porti sul campo tutti i valori che servono anche alla crescita umana dei ragazzi: in campo devi socializzare, comunicare, hai delle regole da rispettare e tutto questo emoziona, sia che vinci, sia che perdi. Perché il gioco ti insegna anche a perdere. Per questo credo che

lo sport debba essere usato maggiormente come strumento educativo, perché porta emozioni e tutti questi messaggi educativi insieme.

Cosa diresti ai giovani pallavolisti del CSI o ai tecnici che allenano nelle palestre degli oratori?

Dico subito: entusiasmo e passione, un po’ quello che hanno trasmesso questi ragazzi in maglia azzurra, seppure con delle pressioni notevolissime esistenti. Credo infatti che abbiano trasmesso a pieno la loro gioia

di sfidare, cercando di essere sé stessi mentre svolgevano questa sfida importante.

Ecco perché spesso tanti sorrisi e tanta disinvoltura, consapevolezza e serenità.Quello che deve rimanere sempre in ogni sport è metterci l’impegno, avere quella giusta passione, il divertirsi inteso come emozionarsi e non fare una cosa tanto per farla.

Emozionarsi per quanto si fa, e avere sempre nella testa la voglia di migliorarsi. Vivendo lo sport con quei valori, utili in ogni contesto, che contraddistinguono le persone anche nella vita.

Melfefè, la mascotte portafortuna ha la maglia del CSI

«Melfefé sta benone, sta lì pacioccone e ha portato benissimo a noi. Deve sempre fare lui la sua parte di portafortuna». Il commissario tecnico italiano fa riferimento all’omaggio ricevuto dal CSI. «Ricordo una serata piacevolissima in Lucania con uno scambio di esperienze molto interessanti». Lo scorso anno, in occasione della X edizione del Galà dello Sport del CSI di Melfi, fu ospite Ferdinando De Giorgi, neo campione d’Europa. Nell’occasione a Fefè fu donato un elfo fatto a mano dal laboratorio artistico sensoriale del Centro di Riabilitazione Neuro-Pisco-Motoria AIAS di Melfi, un elfo portafortuna con le sembianze proprio di De Giorgi, battezzato da quest’ultimo come Melfefè e che a quanto pare, come il Galà, ha fatto il suo dovere, visto il successivo trionfo mondiale.

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Attualità

La soppressione della FASCI per opera del regime fascista

Riportiamo, dalle cronache del 1927, in pieno regime fascista: Il Consiglio dei ministri constatò «la necessità di riformare la legge (cioè il decreto legge del 9 gennaio 1927: NdR) secondo lo stile integrale e intransigente del fascismo» e di un nuovo decreto-legge, sopprimendo le eccezioni allo scioglimento ammesse l’anno precedente, vietando «qualsiasi formazione o organizzazione che si proponga di promuovere … l’educazione fisica, morale o spirituale dei giovani, eccettuate le

formazioni ed organizzazioni facenti capo all’Opera Nazionale Balilla». È la fine di un’esperienza meravigliosa di servizio ai più piccoli e ai più giovani, offerta dalle molteplici realtà di ispirazione cattolica. La reazione della Chiesa non è in realtà, con il Papa Pio XI, immediata e vigorosa come sarebbe forse (forse…) stato necessario. D’altra parte la partita aperta con il Partito Fascista e con il suo capo indiscusso, Benito Mussolini, per la Chiesa era molto ampia, tanto da imporre atteggiamenti sobri

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e attenti a non provocare reazioni violente. «Il Papa – racconta la nostra principale fonte storica, il libro primo dei Cent’anni di storia nella realtà dello sport italiano, edito dal CSI – si limita a protestare, quando vengono definitivamente soppressi gli esploratori cattolici (nel 1927 erano già state sciolte le istituzioni sportive della FASCI)… in quanto ha in mente un progetto di Azione Cattolica in cui non c’è posto per attività sportive e ricreative autonome. In fondo Pio XI, approfittando delle pretese del Partito Fascista, assecondò questa volontà politica perché, mentre coglieva il valore profondo dell’Azione Cattolica a livello educativo, considerava di poca importanza le altre associazioni di ispirazione cristiana ritenendole collaterali e secondarie». Forse non è inutile ricordare che questa parte della storia va letta con lo sguardo su quel periodo, cercando di contestualizzare le scelte e quindi va evitato accuratamente un atteggiamento giudicante su quella che all’apparenza può sembrare solo scarsa considerazione dell’attività sportiva. Bisognava essere in campo in quegli anni ed avere la responsabilità complessiva di un Pontefice per poter valutare con un minimo di competenza. Ed erano anni difficili. Divennero anni drammatici e poi tragici. Il Fascismo ad un certo punto della storia italiana, inseguendo idee di ampliamento dell’influenza italiana in particolare sull’Africa, per la “costruzione dell’impero” ad imitazione dello storico Impero romano, finì nell’abbraccio mortale del potentissimo Stato hitleriano, con il risultato di essere stritolato nelle sorti di una guerra sanguinosa e crudelissima, anticipata da leggi razziali che ancora oggi fanno pensare ad un periodo storico buio, chiuso ad ogni ideale di libertà e rispetto della dignità umana. Ma torniamo un attimo ad alcuni aspetti che possono illustrare come ci si avvicina alla decisione del Consiglio dei ministri fascisti di sciogliere la FASCI. La rilettura di questo brano è, a nostro avviso, particolarmente significativa di un atteggiamento più generale: «NON PER POLEMICA… Ogni tanto, sui giornali sportivi italiani fa capolino qualche giudizio sull’opera nostra e, peggio, qualche

critica poco serena… Ecco qua infatti la “Gazzetta dello sport”, edizione romana, che parlando di alcune vicende poco liete riguardanti l’invasione fascista di un circolo sportivo socialista, trova modo di prendersela con la FASCI e con gli esploratori cattolici. Il brano che ci interessa è questo: “Non è simpatico che la politica si immischi nello sport. E sopra tutto non è logico e non è utile. Lo sport deve essere al di sopra della mischia e nessun colore politico dovrebbe macchiarlo. Ma incominciarono i cattolici ad organizzare ricreatori e società sportive prettamente confessionali, con obblighi più o meno larvati, poi aggravarono il male con l’unirle in una loro speciale federazione, la FASCI, e lo peggiorarono ancora di più con l’istituzione dei loro boys scouts, in contrapposizione con gli altri che non sono antireligiosi, ma semplicemente a-religiosi”. Dunque – riprende Stadium – non per fare una polemica, ma per convincere noi che tutto questo è frutto di una concezione falsa dell’opera nostra affermiamo: 1) che confessionale non vuol dire… politico e che la FASCI è sorta 17 anni fa quando i cattolici la politica la facevano guardandola dalla… finestra! 2) che le nostre società federate non hanno altri obblighi oltre quelli apertamente sanciti nello statuto e nel regolamento federale: affermare il contrario è mentire. 3) che porre come base di un movimento educativo il principio religioso è necessario e indispensabile[…]».

Tanto altro ci sarebbe da riproporre di quella preziosissima documentazione. A noi, qui e oggi, basta poter segnalare che non fu solo il Fascismo a chiudere l’esperienza della FASCI, ma che gran parte della società liberale e benpensante di quel tempo dette il proprio sostanziale contributo.

E quando si è vittima di un odio strisciante e generalizzato è impossibile sopravvivere.

Il movimento sportivo cattolico comunque non fu ucciso ma solo messo fuori gioco finché il Fascismo non fu spazzato via dalle vicende – in particolare la seconda Guerra mondiale – che lo stesso aveva tanto fortemente voluto.

Torneremo con la nascita del Centro Sportivo Italiano.

Stadium 39 Pillole di Storia

Harry Haft The Survivor

Quando il ring ha corde di filo spinato

Regia di Barry Levinson, con Ben Forster, Peter Sarsgaard, Danny de Vito Genere Drammatico Sportivo Canada, Ungheria, USA, 2021, durata 129 minuti.

Il campo di Auschwitz è bufera su corpi e terra e orrore di tutti gli inferni. La sua liberazione è un giorno di fine gennaio che oggi noi ricordiamo privi di quel terrore su labbro e cuore dei sopravvissuti. Pochi sono stati. Pochissimi. Hertzko non ha neanche vent’anni e scava e suda e s’affama nella miniera di Jaworzno, a un passo da camere a gas e crematori. La reazione violenta contro un soldato tedesco dovrebbe segnarne la fine immediata, ed invece gli spalanca una sorte ancora peggiore: pugile ebreo per il divertimento dei gerarchi nazisti, tra scommesse e battute feroci, in combattimenti all’ultimo sangue. Il suo folle protettore lo esibisce nel circo più disumano che si possa concepire. Hertzko affronta 76 sfide e le vince tutte, alcune dalla sera al mattino senza mai interruzione; 76 avversari lasciano il ring esanimi, buoni solo per il camino. Sopravvive, Hertzko, ogni volta uccidendo; sopravvive per sé e per il fratello, con cui prenderà la via americana nel 1948 grazie ad uno zio nel New Jersey. La storia narrata da Barry Levinson – affermato regista di ‘Rain Man’ e ‘Good morning Vietnam’ – parte proprio dagli anni del dopoguerra, da un ormai Harry Haft con mille demoni che dentro rodono e sfiancano più del rivale Rocky Marciano. Come puoi raccontare al prossimo tuo di essere sopravvissuto ad Auschwitz grazie a pugni mortali su volto e stomaco di ebrei, rom, dissidenti politici? Come guardare in viso senza sensi di colpa le donne e gli uomini di una comunità ferita, perseguitata, inghiottita dal Male? Tutto sembra rotolare nel buio di abissi mai sepolti: la boxe come sfogo e mestiere, le amicizie, la ricerca della

ragazza amata scomparsa nei lager, il rapporto con la propria comunità. Tra il colore del presente e il bianco e nero dei flashback attraversiamo un biopic doloroso, classico e sapiente nella regia, con attori di livello, tra cui spunta per un paio di scene uno strepitoso Danny de Vito, del film anche produttore esecutivo insieme al bravissimo Ben Forster, che di Hertzko Harry Haft mette in scena con spessore ogni violenza ed ogni smarrimento fino ad un riscatto di luce che finalmente darà alla sua vita un attimo di pace. Sarà il figlio infatti nel 2003 a raccogliere le confessioni paterne per farne un libro tre anni dopo, da cui il nostro ‘Survivor’. Un film da vedere per gli interrogativi che pone alle nostre coscienze. E non solo il 27 gennaio, giornata della memoria e di storie come questa.

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CineSport
HARRY HAFT THE SURVIVOR di Andrea Barbetti

Il territorio al centro

La Madonna del Ponte dà il via ai Campionati di Basket CSI

Serata storica per il basket bolognese CSI, quella di metà ottobre, presso l’Hotel Bologna Airport. Serata di sport, ma anche di grandi emozioni, per tutti i partecipanti alla Presentazione della Stagione 2022/2023 della Pallacanestro CSI Bologna. A fare gli onori di casa, il Presidente della Commissione Tecnica Francesco Nanni ed il Presidente del Comitato CSI Andrea De David che hanno ringraziato tutte le società sportive presenti. A rendere però il momento solenne e, a suo modo, storico è stata la presenza di una copia dell’immagine della Madonna del Ponte di Porretta Terme. L’icona, proveniente dal Santuario della Madonna delle Grazie, è stata infatti di recente insignita del titolo di Patrona della pallacanestro italiana. Un iter lungo e importante che ha visto il suo termine nel mese di aprile del 2022, dopo aver coinvolto enti e istituzioni politiche, sportive, associative e religiose. «Non poteva che essere bolognese, come ovvio, la Patrona del basket» queste le pa-

role dell’Assistente Ecclesiastico del CSI Bologna don Riccardo Vattuone, con un importante passato di coach di settore giovanile prima, e poi di professore universitario. «Una patrona che deve essere di tutto il basket, del mondo dello sport e non solo, di tutti e di ciascuno, non certo per richiedere la vittoria ma come sostegno per la vita degli sportivi e delle loro famiglie». Un’icona che, dopo essere passata per il mondo dello sport di vertice e

di Federazione, è approdata finalmente allo sport di base, fra le società e i dirigenti che dal principio ne hanno condiviso i valori. Presente anche Federico Monti, Presidente del Gruppo Monti Salute Più, grande protagonista del rilancio del territorio attraverso il recupero delle Terme di Porretta. Tante idee in campo, tra cui anche il Santuario della Madonna del Ponte, da completare e valorizzare, ed il progetto di un museo che raccolga cimeli cestistici provenienti da tutto il mondo, che possa raccontare la storia delle acque termali, un tempo celebri in tutta Europa, e il valore devozionale del Santuario. In conclusione, premiazioni per molte società, e la targa consegnata al Prof. Romano Lanzarini, presidente della Polisportiva San Mamolo, di recente in festa per i suoi primi 50 anni di attività. A novembre la parola passa al campo, per un movimento cestistico che, unitamente al settore femminile e ai campionati giovanili, annovera a Bologna ormai quasi 150 squadre iscritte.

Campionato di corsa campestre CSI Belluno

Si è concluso domenica 27 novembre la 24a edizione del Campionato provinciale di corsa campestre del CSI di Belluno in sinergia con quello di Feltre e valido per l’assegnazione del Memorial Serafino Barp (classifica a squadre dedicata alle categorie giovanili) e per l’assegnazione del Trofeo Passport (classifica a squadre complessiva). La vittoria nella graduatoria complessiva per società è andata al GS Castionese che ha avuto la meglio sul

GS Astra Quero e sulla società organizzatrice dell’ultima giornata, il GS La Piave 2000. Il provinciale del cross cadorino ha visto il traguardo dopo altre 5 tappe. Sono stati oltre 400 i concorrenti che domenica 23 ottobre in Nevegal (Belluno) hanno dato il via alla prima prova. Ben 450 i partecipanti alla seconda prova, in un 30 ottobre, splendida giornata di sole, sul classico e velocissimo tracciato di Nemeggio di Feltre. A Ronchena di Lentiai il 6 novembre e a Lamon il 20 novembre le altre due tappe intermedie. Per quanto riguarda le classifiche finali, a imporsi nel Trofeo Passport è stato il GS Castionese mentre in quella giovanile (Memorial Serafino Barp) il GS La Piave 2000. Le premiazioni finali si sono svolte sabato 3 dicembre alla palestra della Piscina di Santa Giustina, nel corso del Natale dello Sportivo.

Spazio Reale per la danza a

Firenze

Domenica, 27 novembre, presso la Sala conferenze della struttura Spazio Reale di S. Donnino (Campi Bisenzio), il CSI ha tenuto un corso di formazione e di aggiornamento per insegnanti di danza che già possiedono una qualifica riconosciuta finalizzato alla regolarizzazione della propria iscrizione al registro nazionale degli operatori sportivi (tecnici ed istruttori possono sempre consultare la propria situazione mediante l’App MyCSI alla sezione aggiornamento qualifiche).

Il primo corso formativo toscano ha interessato le danze artistiche ed accademiche (classica, moderna) e riguardato la specifica formazione per imparare a comporre una lezione in sala e a fornire una giusta impostazione posturale ai piccoli danzatori e alle piccole danzatrici dai 5 agli 8 anni.

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In campo per imparare

Parte dalla formazione il nuovo anno sportivo del CSI di Ascoli Piceno. Si è partiti ad ottobre con il corso arbitro di calcio a 5 e il podismo per poi proseguire nei mesi di novembre e dicembre con i corsi per le qualifiche Coni BI005 e AS 002. A fine dicembre si passerà alla formazione e all’aggiornamento degli operatori BLSD in collaborazione con la Croce Rossa Italiana di San Benedetto del Tronto. Il corso arbitri ha visto la partecipazione di 15 discenti, tra i quali 5 aspiranti arbitri di calcio a 5. Il Clinic intitolato “Podismo”, curato dalla dott.ssa Michela Zandri, osteopata e preparatrice atletica, ha trattato diversi temi come: stabilire il ritmo di gara, quanti e quali allenamenti fare, lo stretching e le ripetute, quali e quante farne a seconda del tipo di allenamento. Per quanto riguarda i corsi di primo livello con qualifica CONI, sono stati attivati sia il corso Allenatore di 1° livello Calcio a 5 - 21 lezioni in didattica autonoma (e-learning) - sia il corso per Operatore Sportivo per l’infanzia – 7 lezioni in didattica autonoma (e-learning). Si è partiti dall’importanza dell’attività motoria e del gioco e, passando per lo sviluppo motorio e i princìpi didattici nella gestione dell’infante, si è arrivati all’organizzazione e programmazione delle attività ludiche. Dal 2016 tutte le ASD e gli impianti sportivi devono attenersi alle disposizioni vigenti in materia di defibrillatori a seguito del noto decreto Balduzzi. Perciò ogni anno il comitato ascolano propone il rinnovo delle qualifiche di operatore BLSD.

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CESENA È Cesena la città “Dove si pattina”

Da un’idea degli allenatori della società di pattinaggio del CSI Cesena è nato un bel video, dove i protagonisti sono atleti ed allenatori del gruppo sportivo cesenate. Decine e decine di tesserati CSI appaiono infatti nel video, dai piccoli atleti di 5 anni agli adulti che, da qualche anno, tutti i martedì sera si trovano per l’ora settimanale sui pattini a rotelle. Si tratta di un’opera davvero coinvolgente, girata nelle palestre dove si allenano gli atleti, ma anche in altri luoghi, in giro per Cesena.

Innanzitutto il Teatro Verdi, che ha gentilmente aperto le porte ai pattinatori, poi il Foro Annonario, la Piazza del Popolo, la Piazza della Libertà e via via altri punti importanti della città. La canzone, sulle cui note gli atleti si esibiscono, è il rifacimento della canzone ‘Dove si balla’ di Dargen D’Amico, col titolo strategicamente modificato in ‘Dove si pattina’. Un vero e proprio spot per la disciplina del pattinaggio, ma anche per la società del CSI Cesena e per la città, che ha patrocinato l’iniziativa. L’allenatore Marco Garelli, già pluricampione del mondo nella specialità ‘coppia artistico’, ha dimostrato di sapersela cavare ottimamente pure nelle vesti di cantante e di compositore: è stato infatti lui a riadattare il testo e a cantarlo. Tanti meriti anche all’allenatrice Tanja Lenaz, che ha affiancato il collega occupandosi di coreografie e dando spunti nella composizione del testo. Il video è visibile sulla pagina Facebook “Pattinaggio CSI Cesena”.

Al XIII Trofeo “Santo Gagliano” in gioco anche il Vescovo Renna

Concluse a Catania, presso gli impianti sportivi di Villa Angela, a San Giovanni La Punta, le iniziative sportive previste nell’ambito del XIII Trofeo “Santo Gagliano”, memorial sportivo dedicato all’indimenticabile dirigente del CSI etneo, che da anni ormai apre tradizionalmente la nuova stagione sportiva e associativa del comitato di Catania. Domenica 16 ottobre è stata la volta delle parrocchie della diocesi, ospitate nel “Villaggio dello sport” allestito presso l’oratorio della Parrocchia della Sacra Famiglia, dove circa un centinaio di bambini e ragazzi hanno potuto cimentarsi in gare di calcio, volley, tennnistavolo, tchoukball e in diversi percorsi ludico-sportivi e attività laboratoriali con la presenza, e soprattutto la benedizione, di un capitano di eccezione: il vescovo catanese S.E. Mons. Renna che ha anche scherzato e “palleggiato” con i più piccoli con grande

calore e allegria. Domenica 23 ottobre, nel giorno in cui cade la ricorrenza della scomparsa del compianto ex vicepresidente nazionale del CSI, Santo Gagliano, al Palaclan di San Giovanni La Punta è stata invece la volta del calcio a 5 under 10 e under 12 e della pallavolo under 18. Presenti le società sportive Ardor Sales, Sporting Etneo,

Catania Nuova, Morace F.C., Rinascita San Giorgio, Gupe Volley, Sport Etnea e San Giuseppe Adrano. Giornate piene di sole e di allegria con protagonisti i bambini e i ragazzi nel ricordo di un dirigente sportivo che è stato prima di tutto un educatore che ha dedicato la sua vita, nella scuola e nello sport, al servizio dei ragazzi più fragili.

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PIACENZA

Don Albertini dà il calcio d’inizio alla stagione

“La squadra siamo noi!”. All’evento organizzato dal CSI Piacenza in una sala dell’Università Cattolica piacentina, in collaborazione con la società calcistica SPES, sono intervenuti un centinaio di ragazzi della squadra con i genitori e i tecnici, insieme anche ad atleti della squadra di basket Special Dream Team. Ad “animare” l’appuntamento Don Alessio Albertini, l’assistente ecclesiastico nazionale del CSI, chiamato dal presidente della SPES, Maurizio Russo, per iniziare con il piede giusto il campionato. Come nel suo stile, Don Alessio ha intrattenuto i ragazzi con battute e aneddoti sportivi, motivandoli a dare il massimo in tutti gli ambiti della loro quotidianità e ricordando loro che non esiste una formula per vincere, se non quella di impegnarsi per non perdere la partita della vita. Dal velocista Steven Bradbury al marciatore Alex Schwazer, diversi gli episodi citati dal sacerdote milanese. Vicende capaci di catturare l’attenzione dei ragazzi e che hanno spiegato loro che lo sport è fatica, impegno, sacrificio, spesso coronati dalla vittoria se si crede in se stessi.

Molti degli insegnamenti impartiti dallo sport valgono anche al di fuori del campo di gioco e aiutano i giovani ad affrontare situazioni

difficili che possono presentarsi in altri contesti quotidiani. Ottenere successi, superare ostacoli e difficoltà, sentirsi parte di un gruppo e migliorare le proprie prestazioni, aiuta i giovani ad acquisire maggiore sicurezza e consapevolezza delle proprie capacità, ma soprattutto li aiuta a non arrendersi di fronte agli ostacoli e a pensare alla sconfitta o al fallimento come occasione di crescita e miglioramento.

“La squadra siamo noi!” è la sintesi della serata: urlata a gran voce dai ragazzi a fine incontro e ad inizio campionato come saluto e ringraziamento a Don Alessio.

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FOLIGNO

Mountain bike senza soste

Un fine ottobre intenso quello dedicato alla due ruote che ha riservato agli amanti della bicicletta percorsi strepitosi e paesaggi mozzafiato. Le società del CSI di Foligno non si sono risparmiate ed hanno creato tre eventi presi d’assalto.

Si è iniziato con l’ASD Pale Guerru Hero che ha organizzato una bellissima uscita sulle strade della Foligno-Norcia. Un percorso che ha risalito il fiume Menotre, fino alle sorgenti di Rasiglia. Per poi percorrere la val Castoriana da Ponte Chiusita a Forca di Ancarano, passando per il piano di Santa Scolastica fino a Norcia.

Pellegrini a Pompei con il CSI Cava

Nell’ambito delle attività che il CSI cavese svolge all’interno della comunità ecclesiale della diocesi di Amalfi-Cava e in attesa della presentazione del progetto “La parrocchia scende in campo” con le attività sportive delle Parrocchiadi, il comitato metelliano ha organizzato un pellegrinaggio trekking della fede a Pompei.

Operatori, collaboratori di comitato, atleti e dirigenti i partecipanti al pellegrinaggio ai quali si sono aggiunti, strada facendo, altri operatori a San Giuseppe al Pozzo, Nocera Superiore e Nocera Inferiore raggiungendo, dopo cinque ore di cammino, la Basilica di Pompei, con l’assistenza durante tutto il percorso degli operatori di Mani amiche e con l’ausilio del pulmino del CSI Cava. Giunti a Pompei, dopo aver preso parte alla S. Messa, tutti in Piazza per la foto di rito e ripartenza con i mezzi messi a disposizione dal comitato per il ritorno a casa. Dopo due anni di pandemia il CSI Cava ha voluto fortemente riproporre un momento così importante, testimoniando ancora una volta l’appartenenza del comitato all’interno della realtà ecclesiastica della comunità dove opera. «Una grossa soddisfazione» - il commento del presidente del CSI Cava, Giovanni Scarlino, che ha preso parte al pellegrinaggio - «questo è solo il primo dei tanti momenti successivi che il CSI metterà in campo in ambito ecclesiale».

Quindi la società Umbria Gravel Experience ha proposto la prima edizione de “Il foliage della vite del Sagrantino Pure Gravel”. Un appuntamento di promozione e valorizzazione del territorio, da un punto di vista paesaggistico ed enogastronomico. Nei due percorsi gli atleti hanno visitato i luoghi della campagna umbra durante lo scenario autunnale caratterizzato dal foliage della vite del Sagrantino, attraversando le colline, le strade sterrate e i borghi medievali e facendo tappa nelle cantine di grande prestigio. Infine oltre 600 erano i partecipanti agli eventi organizzati per l’VIII edizione della Sassovivo Wild organizzata dalla All Mountain. Un raduno durato due giorni in mezzo alla natura tra sentieri tortuosi e una vista mozzafiato. Quattro gli eventi della manifestazione: la Wild Kids, la Wild Competition Campionato Regionale CSI, la Wild Mutant Edition, raduno non competitivo e la Wild Trekking.

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Nel cuore del Cross

In una splendida giornata di sole con temperatura gradevole a Boissano si è svolta la prima tappa del circuito di corsa campestre del CSI Savona-Albenga. Erano 120 i partecipanti che si sono sfidati nei due percorsi, uno ricavato interamente all’interno del campo di atletica leggera e l’altro, per le categorie dai cadetti in su, con passaggi nella strada a fianco. Dodici i successi individuali per l’Atletica Ceriale nelle varie categorie, 6 per Atletica Run Finale Ligure, 3 per Atletica Cairo e 2 per Atletica Varazze. Il 20 novembre si è svolta anche una gara interprovinciale a Camporosso organizzata dall’U. S. Pigna, mentre il 18 dicembre tappa ad Arnasco per una prova organizzata all’Atletica Ceriale. La grande novità di quest’anno per il comitato del CSI di Savona-Albenga - che di questo circuito ne fa il fiore all’occhiello di tutta la proposta sportiva - sarà la Festa del Cross, prima dei campionati nazionali CSI, dove verranno proclamati i campioni regionali e la squadra vincitrice del circuito.

Entusiasmante e ricca giornata di sport ad Altamura per il Centro Sportivo Italiano. Il centro zona del Comitato CSI di Bari ha organizzato, lo scorso 19 ottobre, in collaborazione con la parrocchia SS. Redentore, l’ASD Circolo San Filippo Neri CSI, Auxilium e con il patrocinio del Comune di Altamura, la manifestazione “Tutti in gioco: vince il benessere”.

Presso il neonato centro sportivo DM10, dedicato alla memoria del compianto Domenico Martimucci, l’evento promosso da don Nunzio Falcicchio, assistente ecclesiastico regionale del CSI Puglia, è iniziato con i giochi multidisciplinari riservati alle scuole primarie e secondarie di I livello, con il prezioso intervento della dott.ssa Antonia Bello, responsabile neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza nell’area dell’Alta Murgia.

A seguire, nel pomeriggio e in serata, una gara podistica e l’atteso quadrangolare di calcio inclusivo, a cui hanno preso parte le delegazioni del Liceo “Cagnazzi”, Lions, Anffas, parte del Consiglio comunale di Altamura e gli atleti dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti “ASD Uic Bari 1988”.

Una meravigliosa e cospicua cornice di pubblico ha assistito alle gare di calcio a 5 in cui si sono confrontati – in squadre miste – atleti normodotati, ipovedenti e non vedenti, dimostrando concretamente come lo sport sia in grado di distruggere qualsiasi barriera.

Il CSI L’Aquila, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha organizzato una serie di eventi, dal 5 novembre al 10 dicembre, per sensibilizzare la comunità sul tema. “Lo Sport contro la discriminazione e la violenza sulle donne” il titolo della manifestazione contro la violenza di genere e patrocinata da diversi enti ed associazioni, con le donne come protagoniste. L’iniziativa, multiforme, contenitore di più eventi ha visto, in San Benedetto dei Marsi, il comune guida. Diversi gli appuntamenti, con attività sportive e convegni, tra cui quello intitolato: “Fermati finché sei in tempo” del 26 novembre, incentrato sulla violenza di genere, cui hanno partecipato numerose autorità delle istituzioni locali, della Chiesa e dello Sport aquilano, a cominciare dal presidente territoriale Luca Tarquini. Un dia-

logo contro la violenza sulle donne, aperto alle buone pratiche. La kermesse annovera anche, il 24 novembre, l’incontro di calcio a 11, rigorosamente al femminile ovvero ASD Pucetta Avezzano ed Aquila Soccer Women, ed ancora l’approfondimento del 26 e 27 novembre, nel Corso Nazionale di Formazione per “Allenamento al Femminile” con successivo rilascio del Diploma Nazionale riconosciuto dal CONI ed iscrizione Albo Nazionale Tecnici CSI. Così come dal 3 al 10 dicembre, un Corso di Difesa Personale Femminile totalmente gratuito.

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AREZZO

Grande successo per l’inaugurazione del San Domenico Village

Sabato 5 novembre è stata una data molto importante nel calendario storico del Centro Sportivo Italiano – Comitato di Arezzo.

In terra aretina, più precisamente in via del Balilla 11 di Arezzo, è stata inaugurata la nuova casa dell’ente: il “San

Domenico Village”. Per la prima volta nella sua storia, il CSI Arezzo avrà una struttura dove poter organizzare attività ludiche, sportive e aggregative a tutto tondo. In questa “casa” verranno svolte attività con il progetto di educare attraverso lo Sport veicolando i giovani in un percorso di crescita volto a formare i dirigenti del futuro. Il ruolo fondamentale e fondante sarà quello di divenire riferimento per il centro storico aretino non solo per parrocchie e oratori, ma anche per tutti i contesti fa-

miliari che in essi vivono. Con questa nuova ubicazione il CSI di Arezzo vuol essere effettivamente un punto nevralgico per le parrocchie che hanno bisogno di assistenza, un supporto al mondo cattolico ma anche alle famiglie e alle società sportive. Nella struttura è presente un campo polivalente in sintetico dove è possibile giocare a basket, tennis, pallavolo, e un campo in erba per il calcio a 5. All’interno possono essere svolte attività ludico ricreative ed educative come feste di compleanno, feste a tema, attività di doposcuola, ritrovi per riunioni, insomma… socialità. Nel giardino esterno sarà possibile organizzare attività sportive con vari partner per far vivere lo sport all’interno delle mura di Arezzo.

A San Luca l’evangelizzazione passa anche dal gaming

I videogame come strumento di incontro e addirittura evangelizzazione. È il progetto “Sport4Joy”, promosso dalla CEI in collaborazione con il CSI, che sbarca a Roma, nella parrocchia di San Luca Evangelista, quartiere Prenestino. A raccontarne gli obiettivi il 13 novembre, all’inaugurazione della prima sala gaming della diocesi, don Francesco Indelicato, direttore dell’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport del Vicariato, e il presidente del CSI Roma Daniele Pasquini. «Lo scopo del progetto, sperimentale, è quello di avvicinare giovani e giovanissimi alla fede, anche attraverso il gaming, che è a tutti gli effetti uno sport e come tale è già riconosciuto e lo sarà sempre di più, anche nelle Olimpiadi del futuro». La sala della parrocchia di San Luca «nasce da un magazzino - ha raccontato il parroco don Romano De Angelis - con l’obiettivo di avvicinare i tanti giovani del quartiere». Molti ragazzi e ragazze si sono già tesserati nella nuova sezione e-sports della parrocchia attraverso il CSI.

L’attività, inserita all’interno della più ampia progettualità degli Avamposti

Sportivi promossi dalla CEI, prevede la possibilità per ragazzi e ragazze preadolescenti e adolescenti di ritrovarsi in presenza in oratorio a giocare insieme agli e-sports, allenati e accompagnati da due edugamer, educatori parrocchiali esperti in videogiochi. Nuove frontiere da esplorare, dunque, «per sperimentare metodi di educazione e formazione, grazie a quelli che noi chiamiamo edugamer, ovvero persone che stiano accanto ai ragazzi per insegnare loro come giocare tenendo la barra dritta e lontano da devianze e perico-

li tecnologici», sono le parole di Daniele Pasquini del CSI Roma.

«Gli e-sport serviranno per evangelizzare e per includere davvero tutti» - la conclusione di don Indelicato - infatti senza barriere in questa sala potranno partecipare anche ragazzi diversamente abili o con difficoltà economiche e sociali, che non avrebbero possibilità in altri contesti». Questa è la sfida dell’innovazione pastorale a cui il CSI Roma si fa trovare pronto con la neonata commissione e-sports guidata da Davide Rossi.

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RAVENNA

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“Correndo senza frontiere”. Festa per atleti disabili

Una sessantina tra atleti con disabilità intellettivo-relazionale e i loro accompagnatori in rappresentanza di 4 associazioni cittadine. Questi i numeri della quarta edizione di “Correndo senza frontiere – Tutti insieme”, la non competitiva di 3 km, organizzata dal CSI di Ravenna e inserita all’interno della Maratona di Ravenna. Domenica 13 novembre, il gruppo dei partecipanti si è trovato al via di Porta Serrata. E, dopo un percorso nel centro storico, toccando alcuni monumenti, il gruppo ha varcato il traguardo posto di fronte al MAR, Museo d’arte città di Ravenna, stesso traguardo poi tagliato

dai tanti podisti che hanno preso d’assalto la città romagnola, contribuendo allo straordinario colpo d’occhio offerto dalla città. Protagoniste la Gym Academy col Progetto Basket per ragazzi con disabilità, i Cacciatori di idee con il progetto ExtrAbili, la cooperativa La Pieve con i ragazzi impegnati nei servizi del Centro stampa, Arcobaleno, La Valle, San Francesco e Officine Creative e il Centro Sport Terapia Judo. Sul palco gli atleti di “Correndo senza frontiere” sono stati premiati dal Prefetto di Ravenna, Castrese De Rosa, dal sindaco di Massa Lombarda, Daniele Bassi,

membro dell’assemblea dei sindaci della Provincia, dal presidente di Ravenna Runners Club, Stefano Righini e dal presidente del CSI Ravenna, Alessandro Bondi, che ha ribadito al termine: «C’è bisogno di garantire

un’attività sportiva seria, sana e gioiosa alle tante persone che, per via della loro disabilità, non trovano molte occasioni per esprimersi in pieno. Confidiamo di essere ancora più numerosi nella prossima edizione».

MELFI

Le realtà speciali del CSI Melfi

Il CSI Melfi da sempre è dedito all’inclusione di piccoli e grandi atleti diversamente abili.

Diverse le sue realtà “speciali”: Club Athena, S. Giovanni de Matha ed il Gabbiano AIAS Melfi.

In prima linea anche la 010 BiKe Melfi impegnata nell’avviamento al ciclismo di ragazzi con sindrome di down, grazie a bici speciali dono dello Stabilimento Barilla di Melfi e bici “tradizionali” dono della Pro Humanitate.

Con l’AIAS Melfi, Centro di Riabilitazione Neuro-Psico-Motoria, specie impegnato nelle attività equestri, da anni c’è una stretta collaborazione, specie per i campi estivi (aperti a soggetti autistici) o per giornate sportive dedicate ai soli residenti della struttura sanitaria; encomiabile l’apporto del laboratorio artistico dell’AIAS per il Galà dello Sport del CSI, in programma il 17/12/22.

TERAMO

Un Calcio alle dipendenze: festa di sport a Teramo

Si è svolto giovedì 17 novembre “Gioco libero: un calcio alle dipendenze”. L’evento, promosso dal CSI in collaborazione con la Asl di Teramo, ha segnato l’avvio ufficiale della gestione dell’impianto Besso di San Nicolò a Tordino da parte del CSI Teramo. Il gruppo cinofilo della Polizia di Stato ha realizzato un’esibizione per i ragazzi della scuola calcio Sannicolese, quindi l’inaugurazione della targa tenuta a battesimo da Monsignor Lorenzo Leuzzi e da numerose autorità locali. Nel triangolare a squadre miste - in campo con gli slogan contro le dipendenze - il calcio d’inizio è stato affidato al Vescovo Leuzzi, al direttore generale Asl Maurizio Di Giosia, e all’ex arbitro Gianpaolo Calvarese. Le tre squadre: la compagine arancione costituita da dirigenti e arbitri del CSI, sacerdoti della diocesi, rappresentanti dell’università e delle società appartenenti al CSI, la selezione bianca costituita da dirigenti della SSD Città di Teramo, operatori della polizia di

Stato e dal sindaco di Teramo Gianguido D’Alberto, la selezione blu invece con rappresentanti del calcio Sannicolese, ex giocatori e dirigenti della società locale con anche l’assessore Antonio Filipponi. «Lo sport combatte la solitudine - ha dichiarato il numero uno teramano De Marcellis - può essere davvero un valido supporto contro le dipendenze. Le nostre 151 associazioni sportive sono punti di riferimento per il territorio e il campo Dino Besso deve essere un luogo accogliente per bambini, giovani e adulti, dove ognuno possa trovare una sana e costruttiva offerta per il proprio tempo libero».

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MODENA

“Materica”: il movimento che semina cultura

Materica, progetto nato da un’idea della Commissione Danza del CSI di Modena in collaborazione con le scuole di danza affiliate, prende vita nel 2021 per portare la danza in palcoscenici culturali non convenzionali. Il progetto sperimentale del CSI di Modena di sconfinamento tra movimento e arte, che si propone di creare laboratori artistici esperienziali di performance di danza nei luoghi della cultura di Modena, ha portato in scena sabato 19 e domenica 20 novembre, otto appuntamenti performativi di danza contemporanea con suggestioni legate ai temi più che mai attuali, della Giustizia e della Temperanza, all’interno della personale di Eva & Franco Mattes Most to Least Viewed a Palazzo Santa Margherita a Modena. L’evento concepito in collaborazione con la FMAV (Fondazione Modena Arti Visive), in occasione del progetto Materica, ha visto coinvolte quattro scuole di danza del territorio modenese con coreografie ispirate alle opere degli artisti. Le quattro scuole di danza che hanno partecipato all’evento sono state: LaCapriola di Modena, Backstage di Formigine, Tersicore per la danza di Finale e Emilia e Khorovodarte di Mirando. La cultura per il Comitato di Modena è anche questo movimento generato dallo sconfinamento della performance di danza che dialoga con l’opera d’arte, esulando dai

luoghi a cui è solitamente preposta, per approdare su palcoscenici altri; urbani e culturali. Generare movimento significa generare nuovi orizzonti culturali. Questo l’obiettivo di Materica, che il 19 e 20 novembre ha avuto più di 400 presenze compresa la prima classe in uscita didattica. Continueranno gli appuntamenti di arte performativa nei luoghi della cultura di Modena il prossimo gennaio, proseguendo il lavoro sinergico di studio dei contenuti artistici da parte delle scuole di danza affiliate al CSI.

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Il territorio al centro MASSA CARRARA Illuminiamo il Natale 2022

Presso la prestigiosa sede dell’ ANFFAS di via del Castellaro a Carrara si è tenuta la cerimonia di presentazione dell’edizione 2022 di “Illuminiamo il Natale”.

L’evento, nato dalla partnership appunto di ANFFAS, Panathlon, Coni, Miur e Centro Sportivo Italiano Massa Carrara, riparte quest’anno alla grande con il coinvolgimento diretto delle scuole primarie della provincia e soprattutto con la voglia di nuova visibilità e inclusione dopo i due grigi anni di “pandemia” che ne avevano alquanto ridotto l’impatto promettente della prima edizione.

Obiettivo primario: diffondere il valore universale della pace praticando i valori comuni dell’inclusione e dello sport quali equità, partecipazione, comunità, rispetto, collaborazione ed etica attraverso la realizzazione “in progress” di un albero di Natale VIRTUALE, sui siti di ANFFAS e Panathlon, addobbato virtualmente con i contributi che man mano arriveranno, e di uno REALE addobbato dagli ospiti delle residenze ANFFAS con i contributi ricevuti riportati su carta riciclata prodotta nei laboratori.

Il lavoro di classe potrà essere un pensiero, un disegno, una foto o altro che vorrà essere proposto a tema “Pace, sport ed inclusione”.

CSI e UNICEF insieme per i diritti dell’infanzia

Si è tenuta domenica 20 novembre la giornata evento che ha visto riunirsi CSI e UNICEF, presso il “CSI Certezza” di Grugliasco, per celebrare la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Per tutto il pomeriggio le due sigle si sono impegnate nella gestione dell’attività ludico sportiva che ha visto coinvolte dieci società con bambini e bambine U8 e U10. Categorie a cui il CSI Torino è particolarmente attento a garantire un’attività strutturata in un percorso educativo ludico sportivo, all’interno del progetto polisportivo CSI, offrendo ai più piccoli un’opportunità per sviluppare un corredo motorio generale che garantisca loro

la consapevolezza delle proprie capacità, all’interno di una positiva esperienza di socialità, aggregazione e inclusione. Stessi principi della forte sintonia di valori, messa in campo da UNICEF e CSI Torino, da sempre dediti alla promozione di attività che contribuiscono alla promozione dei diritti e del benessere per i minori. Non è mancata la presenza di numerose famiglie, di educatori sportivi e allenatori formati dal Comitato Territoriale. In questa occasione Cristina Armellino, Presidente del CSI Torino e Antonio Sgroi, Presidente Provinciale UNICEF hanno consegnato alle società sportive presenti la Carta dei Diritti dei bambini nello Sport.

Il 16 Dicembre evento conclusivo con lettura e visione di alcuni contributi e riconoscimento a tutti i partecipanti e l’assegnazione del “Corsini Spa Award 2022”, sponsor ufficiale dell’evento.

«Abbiamo aderito con entusiasmo a questa edizione 2022 – ha commentato Diego Vitale Presidente del CSI Massa Carrara – perchè con tutti gli altri amici e partner abbiamo creato un’ottimo gruppo di lavoro per portare avanti sempre e tutti insieme i valori promossi da questo evento che sarà poi preludio al Memorial “Sport e Legalità” - Falcone e Borsellino che come CSI Provinciale organizzeremo in primavera a Fivizzano e Massa per non dimenticare mai il messaggio lasciato dai due giudici e portare avanti in staffetta il loro testimone».

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Pagine di sport tra gli scaffali

IL POTERE

DEL PALLONE

di Andrea Goldstein

Editore:

Ventidue sciocchi che corrono dietro a un pallone. Chissà quante volte abbiamo sentito dare al calcio una definizione del genere da chi, naturalmente, il calcio non lo sopporta. Ma, volenti o nolenti, ci sono pochi dubbi sul fatto che questo sia uno tra gli sport più capaci di coinvolgere la gente e di stimolare passione nei tifosi, grandi e piccoli che siano. Quali sono i motivi di questo successo? Certamente sono troppi per poterli elencare qui. Ma forse ne esiste uno in particolare, che non sempre risulta chiaro: il lato sportivo del calcio o, per meglio dire, la dimensione legata semplicemente al gioco in sé, sconfina ormai in molti altri aspetti. Economici e politici, per esempio. E Andrea Goldstein, con un testo preciso e dettagliato, ma allo stesso tempo curioso e stimolante, ne approfondisce i legami, portando a galla le tante sfaccettature di uno sport che non può più ritenersi ancorato alla mera parte di campo, in quanto ormai connesso sotto tanti punti di vista alla nostra vita. Non mancano ovviamente aneddoti in tutte le salse, che accompagnano il testo e rendono la lettura piacevole e scorrevole.

PUNTO. A CAPO

STORIE INCREDIBILI DELLE OLIMPIADI

di Antonio Fantin Editore:

Il profumo del cloro, l’acqua fredda, un bambino sul bordo della vasca.

Inizia così il viaggio di rinascita di Antonio Fantin, che con l’acqua ha dovuto prenderci confidenza piano piano, dopo che a circa tre anni una rara malformazione artero-venosa lo costringe ad una difficile operazione e ad una lunga riabilitazione in acqua. Un tuffo però, quello che alla fine Antonio è riuscito a fare, in vasca e nella sua nuova vita, che l’ha portato lontano. A forza di bracciate sempre più decise Antonio Fantin si è fatto strada ed oggi è campione paralimpico,detiene un record mondiale ed è stato più volte campione europeo e mondiale. Ma non è solo come atleta che Antonio è cresciuto da quel giorno seduto a bordo vasca. Il suo cammino più grande l’ha fatto come persona. Le esperienze che ancora vive ogni giorno gli hanno insegnato che spesso «la più grande difficoltà diventa la migliore opportunità».E ogni giorno Andrea sente di essere sostenuto da Gesù, una forza più grande di lui che gli fa dire: «sono fragile, vero, ma con Lui posso riuscire». E ci sta riuscendo.

di Luciano Wernicke Editore: De Agostini

Ègià passato più di un anno, eppure sembra di essere ancora lì. Ad emozionarsi davanti alla rivincita con il destino di Gimbo Tamberi, a saltare sul divano per l’oro di Marcell Jacobs, a meravigliarsi di fronte allo strapotere fisico di Greg Paltrinieri.

Questi sono soltanto alcuni degli incredibili momenti che le ultime Olimpiadi ci hanno regalato e che testimoniano come lo sport, al pari di poche altre cose, sappia unire la gente. Sarà che si svolgono ogni quattro anni, sarà che raccolgono un numero impressionante di atleti, sarà che ci mostrano discipline che raramente abbiamo occasione di ammirare ma i Giochi olimpici ci affascinano da sempre, e non smettono mai di trasmetterci emozioni forti. Da questo presupposto, probabilmente, nasce la curiosità di Luciano Wernicke nell’indagare sulle origini delle Olimpiadi e sulla loro storia. Anni e anni di aneddoti, episodi, momenti epici, magari passati in secondo piano rispetto alle medaglie e alle vittorie, ma ora protagonisti di una lettura avvincente e ricca di curiosità.

In Libreria 48
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