Afroamericani alla conquista degli Academy


F.WhitakerNEW YORK. Quando nel 1964 Anne Bancroft gli consegnò la statuetta Sidney Poitier sorrise: “Il viaggio per arrivare fin qui è stato lungo”. Era il primo attore di colore della storia a ricevere l’Oscar, dopo il premio secondario assegnato nel 1940 dall’America della segregazione razziale ad Hattie McDaniel, la mammy di Via col vento che, a chi le rinfacciava quel ruolo rispondeva: “Meglio guadagnare 700 dollari a settimana interpretando il ruolo della serva che 7 al giorno facendo la serva”.

Oltre quarant’anni dopo, gli Oscar ad attori afro-americani superano di poco le dita di una mano, Denzel Washington e Halle Berry hanno vinto nel 2002, lo stesso anno del premio alla carriera a Poitier, Jamie Foxx ha trionfato nel 2005. Fine. Nessuna sorpresa dunque che le cinque nomination del 2007 facciano scalpore.
W.SmithVincerà Forest Whitaker nei panni militari del sanguinario dittatore africano Idi Amin (The Last King of Scotland) o Will Smith, perfetta incarnazione del sogno americano in La ricerca della felicità di Gabriele Muccino? Difficile dirlo specie quando gli sfidanti si chiamano Leonardo Di Caprio e Peter O’Toole (il quinto incomodo è il 27enne Ryan Gosling candidato per Half Nelson).

Gli altri candidati, nella categoria non protagonisti, sono Eddie Murphy e la debuttante Jennifer Hudson (Dreamgirls), Djimon Hounsou (Blood Diamond). Tutti, protagonisti e non, sono stati diretti da registi bianchi, tra cui Ryan Fleck e Kevin Mcdonald, entrambi al primo lungometraggio fiction.

Mentre La ricerca della felicità , che ha incassato finora 300 milioni di dollari in tutto il mondo, è uscito anche in Italia, The Last King of Scotland arriverà il 16 febbraio, a una settimana dalla cerimonia degli Oscar. Il film comincia in Scozia, paese del giovane e poco idealista Nicholas Garrigan (il promettente James McAvoy) e si tinge di rossi e gialli saturi (ricordano la fotografia di César Charlone in Cidade de Deus e The Constant Gardener) con il suo arrivo in Uganda nel 1971. Whitaker buca lo schermo mentre arringa trionfale il suo popolo, promette prosperità e costruisce un regime del terrore, all’inizio sostenuto dagli inglesi. Neppure Garrigan, bianco ingenuo e sopraffatto dalla ‘mitica’ (sic!) sensualità africana, resiste al fascino del “padre della nazione”. Diventa il suo medico, consigliere di fiducia nonché amante di una delle mogli, per poi provare sulla pelle l’inaudita crudeltà del dittatore.
The Last King of Scotland è un film dove la tensione hollywoodiana per il romanzo rosa e la messa in scena della violenza (il corpo fatto a pezzi di una donna, un uomo appeso con ganci attaccati ai capezzoli, in stile body art estrema) prendono il sopravvento sull’accuratezza storica e la rappresentazione del potere nell’Africa postcoloniale.

Nella sfida tra Whitaker e Smith, Esther Iverem, autorevole critica di colore americana, ex firma del ‘New York Times’ e fondatrice della testata online ‘SeeingBlack.com’, fa il tifo per entrambi “Whitaker meriterebbe un riconoscimento” e Smith, ha scritto, diventerà il protagonista di “un classico” che “ha catturato la crisi economica e sociale degli anni Ottanta quando la Reaganomics e la ristrutturazione dell’economia hanno allargato il gap tra ricchi e poveri, quando legioni di nuovi senza casa hanno riempito le strade delle città americane e i lavoratori hanno accelerato il passo per sopravvivere”.
Tuttavia, chiunque vincerà, nota la Iverem, l’Academy è ancora lontanissima dal pieno riconoscimento del cinema che racconta l’esperienza afro-americana: Malcolm X di Spike Lee e l’interpretazione di Will Smith in Alì di Michael Mann sono state non a caso occasioni mancate.

Miram Tola
13 Febbraio 2007

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